De Andrè: 20 immagini inedite del 67

Renzo Allegri racconta un suo incontro con Fabrizio de Andrè nel lontano 1967 e ci fa conoscere uno straordinario documento fotografico: una serie di immagini che egli stesso ha scattato e che sono rimaste finora assolutamente inedite.

Di Renzo Allegri

Della mia attività di giornalista conservo anche molti negativi fotografici. Mi piaceva fotografare le persone che incontravo per conservare un ricordo di quell’incontro. Soprattutto se erano persone che, nel corso dell’incontro, si rivelavano particolarmente interessanti e simpatiche.

Rovistando tra le migliaia di negativi che conservo, ho trovato delle immagini di un carissimo amico, Fabrizio De Andrè che risalgono a 40 anni fa.

Fabrizio aveva allora 27 anni. Era già un musicista raffinato, ma non  aveva ancora raggiunto la grande popolarità. Era un autore e un interprete d’elite. Un intellettuale. Le sue ballate, raffinate e originalissime, conquistavano soprattutto gli intenditori più esigenti sia di musica che di poesia, perché Fabrizio era un poeta vero. Il suo idolo era Geroges Brassens, l’indimenticato chanchonnier francese. La vera popolarità per Fabrizio De André sarebbe iniziata l’anno successivo, nel 1968, quando Mina incise una delle sue ballate più belle, “La canzone di Marinella”, facendo finalmente conoscere al grande pubblico questo straordinario artista genovese.

Incontrare Fabrizio, in quella sua dimensione  ancora per certi versi “riservata” e familiare, è stata un’esperienza emozionante. Fabrizio non mi ricevette perché ero un giornalista. Non aveva alcun desiderio che scrivessi un articolo su di lui. Anzi, non gliene importava proprio niente di un articolo. Mi ricevette solo perché alcuni suoi amici che avevo conosciuto gli avevano riferito la mia ammirazione. E mi ricevette come se fossi stato un suo amico, insieme a quei due amici che gli avevano parlato di me.

Si trattò quindi di un incontro libero da interessi. Sincero e affettuoso insieme. Fabrizio  aveva fama di essere scorbutico, ostico, misantropo. In realtà fu umanissimo, cordiale, simpatico. Restai a casa sua, a Genova, tutto un pomeriggio. Mi ricevette in pigiama e vestaglia. Senza nessuna formalità.  Non ricordo esattamente di che cosa parlammo. Ricordo che fu un incontro cordialissimo. Fabrizio era un compagnone, amava scherzare, il suo linguaggio era spesso ironico, anche nei confronti di se stesso e della sua musica. Rideva e si prendeva in giro quando lodavo le sue ballate. Era anche timido. Arrossiva sentendo i comoplimenti.

Avevo la macchina fotografica con me. Non sono mai stato un buon fotografo ma, come ho detto, mi piaceva fotografare le persone che incontravo e con le quali instauravo un rapporto di simpatia.Quel pomeriggio ho potuto così scattare delle immagini di Fabrizio De Andrè che penso siano abbastanza rare, perché in quel periodo i fotografi non lo cercavano e lui, poi, era un tipo molto riservato, non era facile avvicinarlo e tano meno fotografarlo.

Ritrovare quei negativi mi ha fatto un grande piacere. Mi ha riportato indietro nel tempo di quarant’anni ed ho rivissuto quell’incontro. Mi dispiace di non ricordare i nomi delle persone che  mi avevano accompagnato da Fabrizio e che sono con lui nelle foto. Mentre si conversava, ogni tanto facevo qualche scatto, in modo da avere delle immagini spontanee, vere. Era assolutamente impossibile chiedere a Fabrizio di mettersi in posa. Le foto quindi lo rappresentano così, come era nella realtà, nel suo comportamento abituale, mentre pensa, un po’ distratto, mentre sorride, e anche un po’  non a suo agio per la presenza dell’obiettivo fotografico. Il bambino che appare in due foto, penso sia suo figlio Cristiano, ma non ne sono sicuro, perché è passato tanto tempo.

Dopo quell’incontro, ci siamo incontrati solo poche altre volte. Benchè io, allora, come giornalista, mi interessassi molto di musica e di cantanti, (infatti partecipai per 22 anni consecutivi al Festival di Sanremo come inviato speciale), non intervistai mai Fabrizio. Lui era così mitico che non aveva bisogno di articoli per la sua professione,  e io lo ammiravo troppo per scrivere su argomenti che non fossero strettamente attinenti al suo lavoro. Ma non ci dimenticammo mai. Tra noi era nata una vera amicizia. Lo constatai in un paio di occasioni quando, molti anni dopo, mi telefonò per chiedermi se potevo fargli un favore.  Non certo un favore per lui stesso. Credo che non abbia mai chiesto niente a nessuno per sé.  Ma mi chiese se potevo interessarmi di una persona a lui cara.

<<Tu che sei nei giornali…. te ne sarei grato>>.

Poche parole, ma si capiva quanto bene voleva a quella persona, quanto gli stava a cuore. Gli pesava chiedere, ma lo faceva perché era certo che l’amico era in grado di capire il giusto significato della sua richiesta. E questo era un segno di vera amicizia.

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