Giulini, il “Santo” delle Sinfonie

Oggi il pensiero va al maestro Carlo Maria Giulini, direttore d’orchestra. Era nato il 9 maggio del 1914 e, se fosse vivo, compirebbe 106 anni. Ma ci ha lasciati nel giugno del 2005, quando di anni ne aveva 91.

Nella Storia della direzione d’orchestra, Giulini occupa un posto di primissimo piano. E’ ricordato come uno dei più grandi interpreti. Le sue incisioni discografiche continuano ad essere ricercate e ammirate da un pubblico di appassionati sempre vasto.

Per i critici sono “magistrali”. La prestigiosa etichetta discografica tedesca, Duetsche Grammophon, ha riproposto di recente, in un box con 42 CD, l’integrale delle incisioni fatte da Giulini negli anni Sessanta e Settanta per questa etichetta.

Una edizione di lusso, con copertine originali e un libretto illustrativo di 80 pagine.

Oltre che un grande artista, Giulini è stato un maestro di vita. Una persona speciale e rara. La fama, il successo, la popolarità, le lodi, la ricchezza non ebbero mai la forza di oscurare o porre in secondo piano i valori umani e cristiani che professava. Fu un credente solare e gioioso. Anche il suo amore per la musica prendeva luce e grandezza dalla sua fede religiosa.

Di questo aspetto dell’esistenza di Giulini non si parla mai. Forse anche perché egli lo visse in una riservatezza nobile e quasi gelosa. Ma fu importantissimo e costituì l’ossatura della sua esistenza e della sua arte.

3In una intervista del 1979, mi disse: <<A quindici anni, quando lasciai la famiglia e la mia città, Bolzano, per recarmi a Roma, deciso a intraprendere la professione di musicista, avevo nell’animo un proposito ben chiaro: “servire la musica”>>.

Fece una pausa e ripetè la frase “servire la musica” sottolineandola con la voce per richiamare la mia attenzione. E aggiunse: <<Da allora sono passati 65 anni, una vita, e credo di poter dire che in tutto questo tempo ho mantenuto sempre fede a quanto mi ero prefisso: ho servito la musica e continuo a servirla con amore e dedizione assoluta.

<<Nella mia vita>>, aggiunse << ho lavorato moltissimo, ma non esiste una sola persona che possa esibire una mia lettera in cui abbia chiesto qualche cosa. Avendo la possibilità di misurarsi ogni giorno con Beethoven, Bach, Mozart, si acquista il senso delle proporzioni. Noi direttori d’orchestra siamo solo dei piccoli uomini che hanno il grandissimo privilegio di lavorare con i geni. Da questa consapevolezza nasce il mio bisogno di essere “fedele servitore della musica”>>.

Ma queste fedeltà, in un ambiente complesso e a volte infido del mondo musicale, richiede a volte coerenza eroica. <<Certo>>, mi disse Giulini <<per servire la musica ho dovuto lottare, affrontare difficoltà, vincere intrighi, sottrarmi a intrallazzi, perdere lavoro, rinunciare a posti di prestigio e a guadagni che in certi periodi rappresentavano il pane per la mia famiglia. Ma non ho rammarichi. Se dovessi ricominciare da capo, rifarei tutto>>.

Ero andato a trovare il maestro perché ricorreva il suo ottantesimo compleanno. Ricorrenza straordinaria, che amici musicisti, dirigenti di teatri, di case discografiche, di sale da concerti sparse in giro per il mondo avevano programmato di celebrare con la massima solennità, perchè il maestro godeva di una stima incondizionata ovunque. Ma Giulini si era rifiutato di partecipare a qualunque manifestazione in suo onore. <<La mia vita privata non ha niente a che fare con la professione>>, mi disse. <<Mi dispiace, ma il compleanno, anche se è quello degli ottant’anni, voglio celebrarlo in casa, con la mia famiglia e basta>>.

4E così fece. Nessuno riuscì a fargli mutare idea. La festa fu rigorosamente familiare e di quei momenti felici non esiste neppure una fotografia.

Il maestro Giulini entusiasmava e affascinava tutti coloro che lo avvicinavano. Dalla sua persona emanava un fascino misterioso. Per la sua genialità è stato definito “il maestro dei maestri”, “il più grande direttore vivente del repertorio italiano”. E per la sua proverbiale bontà d’animo “il santo”. Il critico del New York Times Donal Henahan lo definì una volta “San Carlo della Sinfonia” e scrisse: <<Se dovessimo elevare a dignità di culto un personaggio, Carlo Maria Giulini è fra coloro che indubbiamente lo meriterebbero>>.

Nel 1994, un giovane direttore d’orchestra italiano, al rientro da una tournée di concerti in America, mi disse: <<In tutti gli ambienti musicali dove sono stato, appena sapevano che ero italiano, infallibilmente mi dicevano: “Allora conosci Giulini”. E solo perchè sono compatriota di questo maestro, venivo trattato con grandi riguardi>>

Nonostante questa fama, Giulini non ha mai fatto vita mondana, non è mai stato legato a partiti politici, raramente concedeva interviste, e più raramente ancora posava per fotografi.

Le case discografiche, per poter avere delle immagini da mettere sulle copertine dei suoi numerosi dischi, dovevano sempre sudare le fatidiche sette camicie.

Ma tanta riservatezza e modestia non hanno impedito che diventasse popolarissimo. Quando dirigeva, in qualsiasi parte del mondo, anche se non era stata fatta pubblicità del concerto, la gente accorre in massa. Il messaggio “C’è Giulini” veniva trasmesso spontaneamente, dagli ammiratori, via telefono, come un tam tam nella giungla.

2

Ricordo alla Scala nell’ottobre 1977. Erano anni in cui il grande teatro milanese era politicizzato e artisti come Giulini, che avevano sempre rifiutato le tessere dei partiti, venivano trascurati. Il maestro mancava dalla Scala da diverso tempo. Tornava per dirigere la “Nona” di Beethoven. Il teatro non fece alcuna pubblicità, ma i biglietti andarono a ruba. C’era un tale fermento che il teatro, per accontentare tutti, fu costretto a istallare un impianto di amplificazione che diffondeva il concerto all’esterno. E quella sera, piazza della Scala era zeppa di gente, soprattutto giovani, accorsi da ogni parte per sentire Giulini. E la corale partecipazione si ripetè, quell’anno, in molte altre città italiane.

La sua carriera era iniziata subito dopo la guerra. Dal 1945 al 1952 fu direttore stabile dell’orchestra della RAI. Una sera Arturo Toscanini, mentre era nella sua casa di Milano, ascoltò per caso alla radio un concerto diretto da Giulini. Volle subito conoscere il giovane maestro e lo tenne tra i suoi amici prediletti fino alla morte.

Dal 1951 al 1956 Giulini fu direttore stabile della Scala, e quello fu uno dei periodi musicalmente più interessanti del teatro milanese nel dopoguerra. Furono gli anni delle regie di Visconti, di Zeffirelli, della famosa “Traviata” con Maria Callas. Fu Giulini a volere la Callas protagonista di quell’opera. Aveva diretto Maria in “Traviata” a Bergamo nell’ottobre 1951, e subito la volle alla Scala.

Nel 1956, qualche cosa accadde all’interno del Teatro milanese e Giulini se ne andò.

Ho dovuto scegliere>>, mi raccontò Giulini. <<O la Scala o la famiglia. Il mondo teatrale non è tutto rose e fiori. Per far carriera occorre a volte accettare compromessi. Ma io non sono il tipo per queste cose. Volevano farmi vivere a modo loro. Ho dovuto sostenere battaglie tremende. Ho detto di “no” a persone alle quali era assurdo dire di “no”, e me ne sono andato. Tutti pensavano che fossi “liquidato” per sempre. Invece, fui subito chiamato all’estero e fu la mia fortuna>>.

<<Ho 80 anni>>, aggiunse ancora il maestro durante quell’intervista. <<Dicono che sono famoso, conosciuto in tutto il mondo. Nella mia vita ho incontrato tante persone, tanti artisti, ho insomma una esperienza molto vasta. Ebbene, la cosa più bella e più preziosa della mia vita è, per me, la famiglia. Sono sposato da 52 anni e sono innamorato di mia moglie come il primo giorno. Ho tre figli e sono fiero di loro perchè hanno una visione seria e responsabile dell’esistenza.

Con una professione come la mia, non è facile salvare valori fondamentali come la famiglia. Ma io le ho dato la precedenza su tutto. Ho affrontato molte rinunce e molti sacrifici per la mia famiglia. Se fosse stato necessario, avrei rinunciato anche alla carriera. Se lei mi chiede quanto guadagnavo quando ero direttore alla Scala e direttore stabile delle varie Orchestre in giro per il mondo, le rispondo che non lo so, perchè non ho mai letto i miei contratti. Ho sempre lasciato fare ai miei manager. Intervenivo personalmente soltanto per far includere nel contratto una clausola: nessuna ingerenza nella mia vita privata, nessun coinvolgimento della mia famiglia nelle esigenze pubblicitarie del lavoro.

<<Parlare di questi valori, oggi, può sembrare anacronistico e ridicolo>>, concluse Giulini. <<Ma se lei vuol sapere chi è il maestro Giulini, questa è la risposta. Io sono un musicista che ha dato tutto il possibile alla musica, ma sono soprattutto un uomo che non ha mai accettato nessun compromesso con la sua coscienza per far carriera>>.

Renzo Allegri

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