Il sogno americano

1Intervista a Giuseppe Russo, giovane attore italiano, trasferitosi a Hollywood per affinare la sua professione artistica – Sogni e speranze, gioie e dolori, soddisfazioni e difficoltà di una avventura meravigliosa, in un Paese duro, che esige impegno totale e premia i risultati

Di Nicola Allegri

Secondo un’indagine dell’Istituto Giuseppe Toniolo, il 90 per cento dei giovani italiani sotto i 30 anni ritengono che, per poter affermarsi nella vita e nella professione, bisogna andarsene dall’Italia.
Un risultato sconcertante e drammatico, che trova riscontri anche in altre inchieste del genere. E questo significa che la quasi totalità dei giovani nel nostro Paese, ha sperimentato che lo Stato italiano, nella situazione attuale, non è in grado di risolvere le loro naturali aspettative.
Quanti sono i giovani che ogni anno se ne vanno dall’Italia? Le cifre oscillano tra i 60 e i 90 mila individui. Riguardano tutte le categorie: operai, laureati, artisti, musicisti, attori, registi, eccetera. Di questa folla che varca i confini con grandi speranze, poi non si sa più niente. I media riferiscono le vicende di qualcuno che sfonda, che si afferma e fa notizia. Ma tutti gli altri?
Anche in questo caso ci sono delle statistiche. Non gloriose, ma positive: quasi tutti trovano una sistemazione. Magari non quella ideale che sognavano, ma che permette loro di vivere dignitosamente.
A Los Angeles ho conosciuto diversi giovani italiani che si sono trasferiti in quella metropoli con sogni e ideali grandi. Quasi tutti sono stati costretti a ridimensionare le loro aspettative, ma quasi tutti sono felici della decisione presa.
<< Vivo a Los Angeles dal gennaio del 2014. Quello che mi aspettavo di trovare, si è rivelato in parte un’illusione. Ma sono moltissime le opportunità che non avevo preso in considerazione quando stavo in Italia. Complessivamente, la mia decisione, è stata giusta e positiva>>.
2Così mi dice Giuseppe Russo.
Romano, 36 anni, laureato in Economia aziendale, ma fin da ragazzo impegnato in un unico ideale: fare l’attore.
Un ideale perseguito caparbiamente, e che in patria gli aveva dato anche grandi soddisfazioni, ma non quella di essere un professionista con un avvenire sicuro. <<Anche quando raggiungevo affermazioni importanti>>, dice <<mi sentivo nella condizione di un “dilettante”, uno con “l’hobby” del teatro. Un precario, quindi. Magari bravo, geniale, ma sempre precario>>.
In patria, Giuseppe Russo aveva raggiunto traguardi ragguardevoli. Diploma alla migliore scuola di recitazione, la “Clasis Arte”. Scuola di fama internazionale fondata e diretta da Carlo Merlo, considerato un maestro mitico.
Nel 1996, un giornale di teatro di Los Angeles scrisse: “5 minuti con il maestro Carlo Merlo valgono quanto quattro anni di recitazione”.
Il maestro Merlo aveva intuito il grande talento di Giuseppe Russo e, al termine del corso 1999-2000, lo aveva inserito in uno spettacolo di cui era regista, “Sharahazad”, piece di Tawfiq Al Hakim, il massimo autore della moderna letteratura araba.
Il giovane Russo aveva poi continuato ad arricchire la sua formazione con master class in altre scuole di recitazione, quella di Beatrice Bracco, quella di Claudio Boccaccini, quella di Annamaria Cianciulli, tutte di alto livello. E aveva nello stesso tempo iniziato a lavorare.
Dopo Carlo Merlo, fu Claudio Boccaccini, un altro mitico regista e insegnante di recitazione a prendersi cura di lui. Nel 2001 lo volle nello spettacolo “Il processo di Giordano Bruno”, un testo di Mario Moretti, di grande rilievo drammatico, e sempre nello stesso anno gli affidò la parte di Benvolio in “Giulietta e Romeo” di Shakespeare. Nel 2002, lo promosse protagonista di “La Cerimonia” di Giuseppe Manfridi. Ma anche altri registi stimavano Russo, e tra il 2000 e il 2013, egli lavorò in 32 spettacoli teatrali, in 8 lavori televisivi, in 6 cortometraggi e in un film.
Nel 2010, portò in scena un monologo “Tommy”, di Giuseppe Manfriti, autore d’avanguardia tra i più affermati. Il testo era importante, ma complesso, difficile e l’attore ne fece uno spettacolo straordinario. La critica fu unanime nelle lodi. “Un grande testo per un interprete grandioso”, scrisse il critico de “Il Tempo”, quotidiano di Roma.
Con quello spettacolo Giuseppe Russo aveva raggiunto una affermazione grande. Era considerato uno dei migliori attori giovani del teatro italiano. Ma fu proprio allora che cominciò a pensare di andarsene dall’Italia.

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Perché?

<<Ero felice dei risultati raggiunti, ma mi sentivo “precario”. Il teatro italiano era in crisi. Io desideravo che il mio lavoro, fatto di sacrifici, studio, abnegazione, passione, fosse visto e considerato, con la stessa serietà con il quale lo vedevo io. Desideravo che, nonostante tutte le difficoltà, quella mia scelta di vita mi offrisse un percorso sicuro. Volevo essere un professionista, orgoglioso del mio lavoro. Invece, intorno a me era tutto fumoso, provvisorio, precario appunto. Avevo la sensazione di sprecare la mia vita lottando contro i mulini a vento. Così cominciò a farsi strada nella mia mente Hollywood.


Quando hai deciso di partire?

<<L’idea di andare via è maturata durante un periodo molto duro a livello personale in cui ho dovuto affrontare grosse delusioni e nodi irrisolti da tempo. Non ero felice né della mia vita né della mia carriera. Sapevo che avrei potuto avere e dare molto di più di quello che in quel periodo stava accadendo. Pensavo di rinunciare a fare l’attore. Ma poi ho ricominciato a studiare. Prima con alcuni insegnanti inglesi, poi con Bernard Hiller, un acting coach di Los Angeles. E quando questo insegnante mi invitò ad un masterclass negli Stati Uniti, non ci pensai su due volte e partii. Fu un’esperienza incredibile ed illuminante! Per la prima volta, sentii, dentro di me, con sicurezza, che la professione artistica era la vera strada.
<<Tornato a Roma, contattai un avvocato americano incaricandolo di farmi ottenere un visto di lavoro artistico per potermi trasferire a Los Angeles il prima possibile. La pratica è durata 8 mesi. Ma a fine ottobre 2013 ho ricevuto il mio visto, valido per tre anni, e a gennaio 2014 sono partito>>.

E’ stata dura lasciare la casa, la città, la famiglia? Dove hai trovato la forza?

<<Non è stata dura. Per me è stata una scelta naturale. Detto così, può sembrare folle…quasi da ingrato e menefreghista, ma non posso mentire: è stato assolutamente naturale per me, in quel momento della mia vita, decidere di fare le valigie e ricominciare tutto da zero dall’altra parte del mondo. Io sono romano, sono attaccato alla mia città, adoro la mia famiglia ed ho un rapporto molto bello con i miei genitori, ho molti amici e colleghi a cui tengo tantissimo, ma tutto ciò non mi ha bloccato. La forza di salire su quell’aereo, mi è venuta probabilmente dalla frustrazione di constatare che la mia carriera non era in grado di darmi le soddisfazioni che ero sicuro di meritare>>.

Come ti sei trovato a Los Angeles?

<<All’inizio, le difficoltà sono state tante. Mi sono trovato in un mondo completamente diverso: valori, usi e costumi, convivenza civile, rapporti interpersonali, tutto diverso. Ho dovuto cominciare una nuova vita: prendere la patente di guida americana, affittare un appartamento, trovare un “day job” che mi permettesse di pagare le bollette, comprare una macchina, iniziare a fare provini in inglese, eccetera. Tutto questo, se da un lato sembrava dannatamente complicato e nuovo, dall’altro mi ha fatto scoprire di avere una capacità di adattamento, un’abilità nell’affrontare e risolvere situazioni inaspettate che non conoscevo>>.

4Perché hai scelto proprio Los Angeles?

<<Perché Los Angeles è il luogo perfetto per un artista. Io dico sempre che ho la sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto. E’ una città immensa, completamente dedicata all’industria dell’intrattenimento. E uso la parola “industria” non a caso! Vivere da attore a Los Angeles significa avere a che fare con professionisti all’avanguardia, ognuno nel suo campo, che prendono il proprio lavoro in modo dannatamente serio. E anche il tuo.
<<In Italia avevo fatto principalmente teatro, e quando ho deciso di trasferirmi negli States avevo due alternative: New York o Los Angeles. La grande mela sarebbe stata perfetta se avessi voluto continuare a fare teatro/musical, ma visto che il mio obbiettivo è il cinema, la scelta non poteva essere altro che Los Angeles>>.

Sono tantissimi i giovani che arrivano a Hollywwod per recitare, per inseguire il loro sogno. Generalmente, si conoscono le loro difficoltà, le loro speranze e spesso i loro drammi attraverso il cinema. Quanti film che raccontano la storia di aspiranti attori che fanno mille sacrifici per arrivare al successo! E’ davvero così dura la situazione?

<<Ho letto che sono circa 15000 gli attori o aspiranti tali che ogni anno vengono a Los Angeles in cerca di fortuna, e altrettanti se ne vanno sconfitti. Questo significa che il sogno hollywoodiano ancora fa molte “vittime”.>>

Stai studiando in qualche scuola di recitazione anche qui a Los Angeles?

<< L’unica cosa che non manca qui sono scuole e corsi di ogni tipo per affinare la tua tecnica di recitazione. Prima di partire per gli Stati Uniti avevo cominciato a studiare un libro dal titolo “Il potere dell’attore”, scritto da Ivana Chubbuck, che è la “coach”, più famosa del momento ad Hollywood. Ha lavorato con molte star, da Halle Berry a Charlize Theron, da James Franco a Brad Pitt. Nel suo libro spiega un nuovo metodo di recitazione, da lei sperimentato e messo a punto e che condivido. Quando mi sono trasferito ho deciso di andare a frequentare le classi nella sua accademia. Dopo i primi sei/sette mesi ho cominciato a lavorare proprio con Ivana stessa. Sento che le mie capacità interpretative nell’arco di questi ultimi due anni sono cresciute, rafforzandosi incredibilmente. Ora ho una migliore dimestichezza nell’analisi del testo che mi porta a lavorare su di un copione con grande efficacia. Cosa che un po’ mi mancava in precedenza vista la mia maggiore esperienza in teatro piuttosto che davanti alla macchina da presa. Ora ho raggiunto una grande confidenza nel saltare da una situazione interpretativa ad un’altra, caratteristica importantissima per chi si vuole cimentare nell’industria cinematografica, dove siamo chiamati ad essere assolutamente duttili e pronti ad ogni ciak, a raggiungere picchi emotivi con pochi secondi di preparazione. Ma vorrei studiare anche altre tecniche, soprattutto di improvvisazione e di audition tecnique>>.

5So che in America è necessario aveva un agente per poter lavorare nel mondo dello spettacolo. Ne hai trovato uno?

<<Ho un agente per le pubblicità (Pacific Talent and Model) ed una personal manager (Gigi Garner Management). Ho avuto la fortuna di firmare con l’agenzia pubblicitaria praticamente appena arrivato in America. Una mia cara amica attrice ha fatto da gancio con loro, quando si è presentata l’occasione di un ruolo in cui cercavano un attore che parlasse italiano e da allora mi seguono. Con loro ho vinto tre provini per tre importanti pubblicità: SMUD, che è la compagnia elettrica di Sacramento, capitale della California; NBA, e Kuveé, un rivoluzionario brevetto mondiale che permette, grazie ad una sofisticata bottiglia intelligente, di conservare la fragranza ed il sapore del vino, come se fosse il primo bicchiere versato anche a giorni e giorni dalla prima apertura.
Poi, grazie ad uno dei tanti workshops ai quali ho partecipato in questi anni ho conosciuto Gigi Garner, figlia della stella hollywoodiana James Garner. Lei ha subito apprezzato le mie caratteristiche e i miei tempi comici, ma vista la mia mancanza di crediti non poteva farmi firmare un contratto. Mi disse di tenerla informata, perché le piacevo davvero. Sono passati dei mesi. Ogni tanto le scrivevo tenendola informata su tutto ciò che stavo facendo. Poi, a fine estate scorsa, ho ricevuto una telefonata in cui mi diceva che, nonostante non avessi ancora maturato tanti crediti, era contenta e stupita di quanto avessi fatto, e voleva prendermi a bordo. Abbiamo firmato un contratto.
<<Avere un manager e un agente è indispensabile per poter lavorare qui in America. Ma non è costoso: lo paghi con una percentuale sul lavoro che lui ti procura>>.

E’ vero che per un attore è importante fare vita mondana, frequentare locali celebri o feste esclusive. Farsi, insomma, notare.

<<Sicuramente riuscire ad avere buone public relations aiuta sempre. Ma non è tutto! Ho notato che molte persone a Los Angeles sono indifferenti ai VIP. Questo significa che un contatto con l’attore di grido o con il produttore importante raramente si traduce in serie opportunità di lavoro. Fa scena, ma poi i provini si vincono davanti alla camera da presa, durante il call back con il regista ed il produttore dimostrando di essere un serio professionista, e la carriera si costruisce facendo un gran lavoro sul set ogni volta che ne hai occasione>>.

I film spesso mostrano che negli USA chi insiste arriva, che ha doti prima o poi sfonda. E’ vero? Funziona realmente la “meritocrazia”?

<<Si! La meritocrazia ha un peso forte. Magari, come dicevo prima, se conosci qualcuno giusto, riesci ad arrivare a prendere una parte che sennò non sarebbe mai stata data a te, ma se non sei in grado di far fruttare il prodotto, non avrai una seconda occasione. Questo si chiama “show business” perché “è” un business, e se il tuo film non incassa perché il protagonista è un raccomandato senza alcun talento, il tuo business fallisce. E ti assicuro che oltreoceano sono molto sensibili a questo tipo di ragionamento>>.

A Los Angeles ci sono posti dove i giovani attori, gli studenti, si ritrovano?

<<La città di Los Angeles è talmente vasta che ci sono tantissimi posti di questo tipo, generalmente sono a ridosso di accademie di recitazione. Per esempio, di fronte allo studio di Ivana ci sono locali come “fratelli” o “frankye’s” dove è facile trovare attori che provano i loro dialoghi o lavorano a progetti insieme. Il clima caldo ti porta facilmente a lavorare all’aperto quindi è molto facile sederti ad un caffè a west Hollywood ed essere circondato da persone intente a leggere sceneggiature o a discutere di fronte ad uno storyboard book. È la città del cinema: quindi dovunque vai respiri cinema>>.

6A proposito, quando hai deciso di diventare attore?

<<Credo che il piacere di “recitare in pubblico” abbia sempre accompagnato la mia vita , sin da quando a 10 anni suonavo il pianoforte di fronte a parenti e amici.
<<La prima volta però che ho capito che sarei diventato un attore fu alla prima audizione per entrare in un laboratorio teatrale. Il provino consisteva in una improvvisazione guidata. “Allora Giuseppe, ora fai finta che…”. Beh, quel “fai finta che” mi ha dato una carica potente che non avevo mai conosciuto prima. La mia immaginazione si è sentita libera e si è scatenata. Mi ha dato le ali per poter volare ed emozionare chi mi guardava. Non esito a dire che mi ha reso per la prima volta in vita mia, libero!
Da quel giorno, non ho mai smesso, ed ogni volta che mi ritrovo su un set, ad un provino, su di un palcoscenico, quell’ incredibile mix di sensazioni che solo la recitazione mi sa dare si ripete con la stessa intensità di quel primo provino, e mi fa sentire felice, appagato>>.

Ho letto che hai iniziato presto anche a suonare il pianoforte…

<<Ho studiato musica per parecchi anni, passando dalla classica al Jazz. La prima cosa che ho comprato nel mio nuovo appartamento a Los Angeles, dopo il letto, è stato un pianoforte elettrico. Suonare per me è vitale. Scrivo canzoni e adoro cantare. Ma la musica non mi dà le emozioni forti e profonde che provo recitando in palcoscenico>>.

Quali sono i tuoi progetti prossimi?

<<Il più importante è di poter restare qui ancora per diverso tempo, perché so che sto imparando molto. Il permesso di soggiorno che ho ricevuto arrivando, scade tra un anno. Sto cercando di poter avere la Green Card, una autorizzazione che mi consentirebbe di risiedere negli Stati per un periodo di tempo illimitato. Cerco di fare di tutto perché questo accada. Gestisco ogni giorno decine e decine di e-mail che ricevo su progetti in corso e audizioni. Vado a lezione da Ivana una volta a settimana. Preparo le scene con i miei vari partners che di volta in volta mi vengono assegnati. Seguo le direttive del mio manager riguardo workshops a cui sarebbe meglio che partecipassi, in modo da conoscere il numero più alto di casting directors che contano. A breve, “Avoy” il mio ultimo cortometraggio, per la regia di Pedro Duran, parteciperà a vari festival internazionali, e dedico del tempo per sfruttare anche questa opportunità per il mio scopo. Sto inoltre scrivendo, una sceneggiatura con un altro giovane regista con cui ho già collaborato. Insomma, voglio dimostrare alle autorità americane che sono attivo, lavoro, merito fiducia>>.

Nicola Allegri

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