Ma Verdi e Wagner, credevano in Dio?

05-tallone-con-lavvocato-alberto-bagattiniIl  22 maggio scorso sono stati ricordati i 200 anni della nascita di Riccardo Wagner; il 10 ottobre ricorrono i 200 anni della nascita di Giuseppe Verdi: nel corso di questo grande bicentenario, critici, storici e musicologi hanno affrontato, in centinaia di pubblicazioni, tutti i vari aspetti della vita e dell’arte dei due  giganti del melodramma, trascurando, però,  il loro rapporto nei confronti del soprannaturale.

MA VERDI E WAGNER, CREDEVANO IN DIO?

 

Di Renzo Allegri

 

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Questo interrogativo è certamente ritenuto inutile da molti. Ma non per chi ha delle persone un’idea immortale, nel senso che crede “nella vita eterna” come  insegna il Cristianesimo.   Giuseppe Verdi e  Richard Wagner, durante la loro esistenza in questo mondo, sono stati  i due massimi rappresentanti del teatro in musica. Le loro opere  sono state le più amate dal pubblico e le più rappresentate. E questi due grandi artisti sono tuttora due persone “viventi”. Viventi in un “altrove” che “fisicamente” ci sfugge. E,  attraverso i loro capolavori, continuano a trasmettere i valori nei quali hanno creduto.

Capolavori wagneriani come “Tannhauser”, “Lohengrin”, “L’anello del Nibelungo”, “Tristano e Isotta,”, “I maestri cantori di Norimberga”, “Parsifal”, eccetera; e capolavori verdiani come “Nabucco”, “Trovatore”, “Traviata”, Rigoletto”, “Vespri siciliani”,  “Simon Boccanegra”, “Ballo in maschera”, “Don Carlos”, “Forza del destino”, “Aida”,  “Otello”,  “Falstaff”  eccetera, sono patrimonio della cultura mondiale, sempre presenti nelle stagioni teatrali più importanti, scelti dalla case discografiche per nuove  incisioni, diffusi con ogni mezzo, e continuano a suscitare emozioni, riflessioni, cioè a trasmettere quei valori nei quali, durante il corso della loro esperienza terrena, i due autori hanno creduto.

E’, perciò, perfettamente logico interrogarsi e approfondire quei valori.  Soprattutto perché l’intera produzione artistica di Verdi e Wagner è pervasa  da tematiche che si richiamano ai valori  spirituali cristiani.  Magari non sempre affrontati direttamente,  ma  tenuti come “sfondo costante” delle storie che hanno musicato, nelle quali si rispecchia la vita dell’umanità nella sua visione biblica,  con le lotte tra il Bene e il Male e dove, alla fine, sempre primeggia il Bene e l’apertura verso quei valori eterni, che “impregnano” la coscienza dell’uomo.  Forse in nessun altro compositore come in questi due è sempre presente il destino ultimo della vita, e, attraverso le vicende dei vari protagonisti, quello dell’umanità nel suo complesso.

E’, quindi, perfettamente lecito formulare anche domande che superano l’estetica e la stessa arte perché riguardano la “realtà immutabile”.  Wagner e Verdi erano credenti?  Quale idea avevano della vita, della vita oltre la vita, del soprannaturale, di Dio?

E’ difficile dare una risposta. I due musicisti sono vissuti nell’Ottocento, secolo nel quale quasi tutti gli artisti e gli intellettuali amavano mostrarsi, in pubblico, seguaci della moda imperante, e cioè scettici e materialisti.  Wagner viene abitualmente descritto come un egocentrico, superbo, invidioso, avido, antisemita, cultore della razza, precursore del nazismo, del comunismo. Apparentemente, una persona molto lontana dalla tematiche religiose.

01_verdi-nel-1880Verdi, soprattutto in Italia, è stato usato come emblema dell’anticlericalismo, ateo, avaro, avido, misantropo. Giuseppina  Strepponi, grande cantante e sua seconda moglie, in una lettera del 1872 scriveva a un amico: <<Verdi è una perla d’onest’uomo, capisce e sente ogni delicato ed elevato sentimento, ma con tutto ciò questo brigante si permette d’essere, non dirò ateo, ma certo poco credente, e ciò con una ostinazione ed un calma da bastonarlo. Io ho un bel parlargli delle meraviglie del cielo, della terra, del mare, ecc. ecc. Mi ride in faccia e mi gela in mezzo del mio entusiasmo tutto divino col dirmi: siete matti! e sfortunatamente lo dice in buona fede».

Ma, se si analizza con serenità e senza pregiudizi l’esistenza di questi due artisti, si trova che non erano affatto come abitualmente vengono descritti. Sotto un’apparenza esteriore, usata forse anche come difesa dalla propria privacy, nascondevano uno spirito ricco proprio di quei valori che esaltavano nelle loro opere.

In genere, nella vita delle persone contano molto le radici. Cioè, “la qualità” delle esperienze che fanno all’inizio della loro esistenza. I valori e i principi che vengono assimilati negli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza, difficilmente vanno perduti.

Richard Wagner apparteneva a una famiglia di media cultura. Ultimo di otto fratelli, non conobbe il padre che morì lo stesso anno della sua nascita. Fu allevato dalla madre, che aveva ricevuto un’ottima educazione in un importante collegio di Lipsia. Rimasta vedova ancora in giovane età, si risposò e Richard, a sei anni, venne mandato in pensione da un pastore  protestante, di nome Wetzel, che abitava in campagna, a Dresda. Era un uomo colto, che trasmise al piccolo Richard  solidi valori religiosi e anche un grande  amore per la storia e per la mitologia.

Nel 1827, quando aveva 14 anni, Richard Wagner fece un’esperienza che segnò profondamente la sua vita. Ricevette la Prima Comunione. E  fu sconvolto da quel rito. Non solo per il suo intrinseco significato religioso, ma per tutto un insieme di circostanze che impressionarono enormemente la fantasia e la sensibilità del futuro artista. La penombra della chiesa, gli odori della cera e dell’incenso, la varie fasi della cerimonia, il simbolismo in esse contenuto,  il suono dell’organo, i canti corali della gente, tutto questo insieme provocò in lui uno stato di esaltazione mistica profondissimo, che lo tenne in agitazione per giorni, e che non dimenticò per il resto della vita. Quell’esperienza significava per il ragazzo la scoperta di un mondo invisibile, inspiegabile, irrazionale anche, ma estremamente affascinante, che rimase  nel Wagner adulto un punto di riferimento assoluto.

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Qualche anno dopo, Wagner andò a studiare in una celebre istituzione di Lipsia, la Thomasschule, Scuola di San Tommaso, fondata dai Padri Agostiniani nel 1212 e che,  dal 1723 al 1750 era stata diretta Johann Sebastian Bach. Cento anni dopo, all’arrivo del giovane Wagner, il direttore e  principale insegnante di musica della Thomasschule era il maestro Christian Theodor Weinlig, uomo di forti principi religiosi, che aveva in Bach il suo mito, e che aveva studiato musica a Bologna, sotto la guida dell’abate Stanislao Mattei, a sua volta allievo del celeberrimo Padre Giovanni Battista Martini.

Wagner aveva 18 anni. Aveva conclusi gli studi secondari, e voleva dedicarsi soprattutto  alla musica. Ma non era affidabile. La sua vita privata era disordinata. Aveva la passione del gioco, si ubriacava, trascorreva le notti nei bagordi.

Tutto questo era inaccettabile per il severo maestro Weinlig, che, dopo pochi mesi, indignato, decise di cacciare Wagner dall’Istituto.  Ma dentro il cuore di Wagner “dissipato”, viveva ancora la fiamma dell’esperienza mistica della Prima Comunione con le emozioni che aveva provocato, e fu quel ricordo a salvarlo. Si rese conto della propria vita dissipata. Si pentì, andò dal maestro Weinlig a chiedere perdono promettendo di cambiar condotta e di studiare seriamente. Il maestro Weinlig sospese il provvedimento di espulsione. Wagner mantenne le promesse e divenne uno dei migliori allievi, il prediletto di Weinlig e iniziò lì la sua grande e vera carriera di musicista.

La struttura interiore di Wagner era  quindi solida e ancorata a quelle esperienze spirituali di tipo mistico che aveva fatto da ragazzo. Esperienze che furono sempre presenti nella sua attività di compositore.

Le tematiche di fondo che si trovano nelle sue opere, sia pure espresse attraverso un sincretismo mitologico a volte esasperato, richiamano i principi fondamentali del “sacro”, del “mistero”, del “divino”, il “tema della redenzione”,  “dell’amore che salva attraverso il sacrificio”, le figure di Gesù e di Maria, spesso citate, il tema del Graal .

Tutta l’opera di Wagner è un rito, teso alla realizzazione di uno spettacolo in cui la musica non deve essere più importante della religione, dell’arte, della filosofia, della vita. E queste tematiche sono ribadite ed esaltate soprattutto nel suo ultimo capolavoro, il Parsifal,  suo testamento, dramma mistico per eccellenza, carico di esplicite e forti allusioni religiose, contrapposte allo sviluppo tecnologico della sua epoca positivistica. Per questo  fu attaccato da alcuni intellettuali del suo tempo, come Nietzsche che accusò Wagner di essersi “accasciato ai piedi della croce”.

La parabola artistica di Giuseppe Verdi è tutta diversa, ma porta alle stesse conclusioni.  Verdi apparteneva al popolo più umile, quello dei contadini. La passione per la musica era in lui istintiva, e si sviluppò da sola. Il Verdi bambino iniziò a suonare su una vecchia spinetta, apprese i primi rudimenti della musica dal parroco del paese, che gli permetteva di strimpellare l’organo. E la sua formazione ideologica e religiosa, ricevuta in quell’ambiente povero ma sano, fu  assolutamente solida.

Come musicista, Verdi fu “allievo” del popolo della sua terra. Era nato in una piccola frazione di Busseto, in provincia di Parma. La frazione si chiamava e si chiama “Le Roncole”: poche case, la chiesa e il cimitero. Un centinaio di abitanti, tutti contadini, ma con un grande amore per la musica, quella semplice, tradizionale.

Verdi nacque con un immenso amore per quella musica, che si sviluppò spontaneamente e crebbe  alimentato da ciò che vedeva e sentiva dalla sua gente.  Quindi, niente alta istruzione, niente scuole specializzate,  niente letture particolari, niente frequentazioni di artisti celebri. Solo istinto, doti naturali, che si facevano strada da sole.

03-bachA 19 anni, Verdi andò a Milano per sostenere un esame che gli avrebbe permesso di entrare al Conservatorio. Ma venne bocciato.  Tutte le strade tradizionali che portano un giovane ad apprendere le tecniche di un’arte  per la quale si sentiva portato,  furono negate a Verdi.  E quando, per una serie di fortunate circostanze, potè comporre un’opera  per un teatro importante, la Scala di Milano, il suo genio naturale esplose con il fragore di una bomba.  Ma subito il destino avverso si accanì contro di lui.  Mentre stava componendo la seconda opera che il Teatro  alla Scala gli aveva commissionato, fu colpito da una serie di tremende disgrazie: nello spazio di un breve tempo,  gli morirono, uno dopo l’altro, i due figli piccoli e poi la giovane moglie. Voleva morire anche lui. Per due anni visse come un barbone disperato. Poi, di nuovo la fortuna, la composizione di quel “Nabucco”, opera immortale che ancora viene eseguita nei teatri di tutto il mondo. Ed iniziò la grande,  immensa carriera.

Giuseppe Verdi è diventato il genio che tutti lodano e ammirano. Le sue opere, a differenza di quella di Wagner, si ispirano alla cronaca, alle vicende storiche, alla vita quotidiana. Niente ideologie, studi mitologici, simbolismi, leggende. E niente tematiche religiose esplicite. Eppure, i personaggi delle sue opere sono tutti guidati da un senso religioso pratico di grande potenza.

E in certe circostanze della sua vita, Verdi affrontò direttamente anche la musica sacra. Lo fece nel 1874 con la “Messa di Requiem”, per ricordare la morte di un uomo che egli ammirava moltissimo: Alessandro Manzoni, grande scrittore e grande cristiano. Il “Requiem” è un’opera che viene definita “un vero trattato teologico”. Permise a Verdi di riflettere sui  problemi di fede, e di affermare concretamente ed esplicitamente le proprie profonde convinzioni religiose. Cosa che fece anche in altre importanti opere di musica sacra: lo “Stabat Mater”, composto nel 1897, quattro anni prima della morte. E in particolare il “Te Deum”, inno sacro monumentale, il suo addio alla vita,  un susseguirsi di situazioni, come egli stesso scrisse,  esultanza, contemplazione del Cristo incarnato,  invocazione della  sua misericordia e, infine, quel grido “In te, Domine, speravi”,  affidato a una sola voce di soprano  alla quale si unisce poi  tutto il coro in un crescendo strapotente: “una richiesta dello stesso Verdi di avere speranza e luce nell’ultimo tratto della sua vita”, come disse Benedetto XVI dopo aver ascoltato l’esecuzione di questo “Te Deum” nell’Aula Paolo VI, in Vaticano, nel maggio dello scorso anno, diretto da Riccardo Muti.  Verdi era così legato a quel “Te Deum” da lasciare scritto, nelle sue disposizioni testamentarie, che la partitura manoscritta fosse posta nel feretro sotto il suo capo. Era forse il suo modo di dire “grazie” a Dio, per tutto quello che da Dio  egli aveva ricevuto.

<< E’ quasi impossibile pensare che un vero grande musicista sia ateo>>, mi disse un giorno  Cesare Augusto Tallone, mitico liutaio, amico di D’Annuncio, Toscanini, Benedetti Michelangeli, inventore di un pianoforte che porta il suo nome e che è il primo pianoforte italiano gran coda da concerto.  Avevamo ascoltato insieme un giovane pianista che il quel momento godeva di grandissima fama e che era molto amico di Tallone. Al termine del concerto, mi sembrava che il vecchio Tallone fosse perplesso. . <<Non le piace?>>, chiesi.   <<E’ un grande tecnico>>, rispose deciso << ma non sarà mai un grande artista>>.    <<Perché?>>, domandai meravigliato.  <<Perché non crede in Dio>>, sentenziò.

06-rachmaninovGiudicai quella frase eccessiva. Ma, riflettendo, in seguito, capii  quale senso voleva dare Tallone a quella sua affermazione.  La fede è una enorme apertura verso un mondo che sfugge alla fredda  razionalità. Credere in Dio, comporta avere, della vita e del creato, una visione senza confini, senza barriere. <<E’ come avere  una finestra aperta sull’infinito>>, mi disse Tallone. << L’ateo materialista è limitato, ha confini. La sua creatività è prigioniera dello spazio e del tempo. Non decolla verso l’infinito>>.

Dopo un breve silenzio, il vecchio Tallone, quasi a voler spiegare meglio il suo concetto,  aggiunse enigmatico: <<Johan Sebastian  Bach, il più grande genio musicale della storia, iniziava la scrittura delle proprie pagine musicali con due J. J., che rappresentavano una sua semplice e spontanea preghiera: “Jesus Juva” (Gesù aiutami).  Tutte le partiture di Joseph Haydn, altro gigante della musica,  portano nell’intestazione le parole “In nomine Domini” (nel nome del Signore), oppure “Soli Deo gloria”, (Solo per la gloria di Dio) e alla fine scriveva: “Laus Deo” (Sia lode a Dio) .  Nella sua biografia, Charly Chaplin racconta di aver invitato una sera a casa sua per una cena alcuni amici: il pianista e compositore russo Sergei Vasilievich Rachmaninov , il direttore d’orchestra John Barbirolli, il pianista russo americano Vladirmir Horowitz, con sua moglie Wanda Toscanini. Parlando, qualcuno portò il discorso sulla religione. Chaplin disse  di non essere credente.  Rachmaninov, meravigliato, replicò: “Ma come: può esservi forse arte senza religione?”>>.

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Renzo Allegri

1 Commento

  1. Un saggio di Renzo Allegri che affronta una delle più antiche ma sempre presenti tematiche che, in un determinato momento della nostra vita, si affacciano nella nostra mente quasi esigendo perentoriamente da noi precise risposte, considerazioni personali in base anche alle nostre esperienze maturate fino ad un certo momento, ai nostri studi, alle nostre visioni ideali forse anche correlate alle nostre prime sgroppate nel ‘fantastico’ ! Renzo Allegri compie un mirabile excursus molto coinvolgente confrontando le vite di due grandissimi compositori, Wagner e Verdi, e riuscendo a dimostrare, attraverso l’analisi delle rispettive composizioni che in entrambi, nonostante le diverse formazioni culturali, non può essere esclusa la loro fede in Dio! Valga per Wagner l’esame approfondito del suo ultimo capolavoro, il Parsifal (il tema del Graal), un autentico dramma mistico , e per Verdi le composizioni sacre: nell’ordine la Messa di Requiem, composta in occasione della morte di Alessandro Manzoni, per finire al TE Deum, il suo vero addio alla vita, composto quattro anni prima della sua morte..! Il pregevole articolo di Allegri si conclude riportando un aneddoto che vede protagonisti il celebre compositore e pianista russo Sergei Vasilievich Rachmaninov ed il grande Charly Chaplin. Quest’ultimo, nel corso di una cena da lui stesso organizzata, disse ai presenti di non essere credente. Rachmaninov, molto sorpreso, anzi meravigliato, rispose laconicamente:” Ma come? Può esservi forse arte senza religione?”

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