Un ricordo indelebile di Giovanni Paolo II

Ricorrono domani, 2 aprile 2020, 15 anni della morte di Papa Giovanni Paolo II. Personaggio straordinario, noto a tutti, amato da tutti, già proclamato santo e sono in corso le pratiche per nominarlo ufficialmente “patrono d’Europa” e “dottore della Chiesa”.

Su di lui sono stati scritti libri, saggi, articoli e si continua a scrivere.

Uno dei libri pubblicati in questo periodo si intitola “Il Papa di Fatima – Vita di Karol Wojtyla”.

Autore, Renzo Allegri, un noto giornalista e scrittore, già autore di altri tre volumi su Papa Wojtyla e nostro fedele collaboratore.

<<In questo libro ho voluto “leggere” l’esistenza di Karol Wojtyla soprattutto alla luce delle apparizioni di Fatima>>, dice Allegri. <<Lo stesso Giovanni Paolo II, dopo l’attentato del 13 maggio 1981, volle rendere pubblica quella parte del famoso “Segreto di Fatima” che ancora non era svelata. E disse di essersi riconosciuto in quel “vescovo vestito di bianco”, che “mezzo tremulo, con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena”, sale verso la montagna sulla quale sarà ucciso. Quelle immagini erano state fatte vedere ai veggenti nel 1917. Tre anni prima che Wojtyla nascesse. Se lui si era riconosciuto in quel “vescovo”, voleva dire che di lui si era parlato in cielo tre anni prima della sua nascita. Alla luce di questa ipotesi ho voluto rivedere tutta l’esistenza di Wojtyla che è costellata da episodi misteriosi e da pericoli mortali ai quali sempre è sfuggito per interventi inspiegabili>>.

Il libro, 350 pagine, copertina molto attraente, è stato pubblicato dalla Casa editrice cattolica Ancora. E’ un libro avvincente, anche per la scrittura chiara e asciutta dell’autore, che ha alle spalle 60 anni di professione giornalistica, arricchita da un centinaio di libri.

Leggendo questo volume, sono rimasto colpito soprattutto dai capitoli che riportano la cronaca dettagliata che va dal 30 marzo all’8 aprile 2005, e comprende le 72 ore di agonia del Papa, la sua morte e ciò che accadde nei giorni successivi. Un evento che, nel suo insieme, è unico. Vissuto, grazie ai giornali, alla televisione e alla radio, in diretta dal mondo intero, e che difficilmente si ripeterà nella storia.

Da quando le condizioni di salute del Papa si erano aggravate, la sala stampa del Vaticano aveva dato l’accredito a seimila tra giornalisti, fotografi, operatori radiofonici e televisivi accorsi da ogni parte del globo. Già nel corso della giornata del 31 marzo, Piazza San Pietro si era andata trasformando in un’enorme sala stampa a cielo aperto.

Tutti quei giornalisti e operatori televisivi erano in contatto con le loro redazioni e la notizia dell’agonia del Papa, diffusa in diretta attraverso l’etere, si era trasformata in una valanga di emozioni planetarie. L’interesse e l’attenzione aumentavano con il passare delle ore. E’ stato calcolato che verso la sera del 2 aprile, quando la condizioni del Papa erano date come gravissime, alcuni miliardi di persone, appartenenti a tutte le religioni, a tutte le razze, a tutte le categorie sociali, si trovassero spiritualmente uniti da sentimenti di compassione e di amore verso quel moribondo.

E anche in Piazza San Pietro si era radunata una folla, in gran parte costituita da romani, ma anche da pellegrini. Molti i giovani. Soprattutto i “Papaboys”, i giovani del movimento che si era formato intorno a Papa Wojtyla fin dagli anni Ottanta e che seguiva il Pontefice ovunque. Erano i ragazzi per i quali il Papa aveva inventato le GMG, “Giornate mondiali della gioventù”. Giovani che egli amava chiamare “Sentinelle del mattino”, ai quali aveva affidato le sorti dell’avvenire, e che a ogni appello del Pontefice accorrevano numerosi come sciami di cavallette.

Saputo che il Papa stava male, i Papaboys si erano mobilitati, erano partiti con i sacchi a pelo, le chitarre ed erano giunti in piazza San Pietro trasformandola in un vivace campeggio. La loro presenza era iniziata fin da giovedì 31 marzo, da quando cioè le notizie sulla salute del Pontefice erano diventate allarmanti. Con il passare delle ore, il numero era aumentato e alla sera del sabato, 2 aprile, costituivano una gran parte della folla presente.

Si erano accampati in gruppi sotto le finestre del Palazzo apostolico. Pregavano, cantavano e ogni tanto chiamavano a gran voce il Papa, per fargli sentire la loro presenza. Gridavano “Giovanni Paolo”, e poi battevano quattro volte le mani e poi ancora “Giovanni Paolo” seguito da colpi di mano. Cori da stadio: ricordavano quelli felici dei vari raduni oceanici delle Giornate mondiali della gioventù. Ma quella sera, sotto le finestre di un Pontefice in agonia, sembravano fuori posto. Qualcuno aveva anche protestato. Erano intervenuti gli addetti del Vaticano alla Sicurezza. Poi era arrivata un’informazione del portavoce del Papa, Joaquin Navarro-Valls, il quale aveva detto che il Santo Padre sentiva le voci dei giovani e, tra indicibili difficoltà, era riuscito a formulare una frase diretta a loro: “Vi ho cercato, adesso siete venuti da me e per questo vi ringrazio”.

Quella frase aveva stroncato ogni protesta.

Verso le 21 era iniziata in piazza San Pietro la recita di un Rosario per Giovanni Paolo II, guidata dal cardinale Edmund Szoka. A un certo momento, qualcuno si accorse che nell’appartamento papale si erano, all’improvviso, accese troppe luci. In quelle stanze era accaduto qualche cosa. «È morto il Papa». La frase percorse la folla come un brivido. Veniva ripetuta, sussurrata, gridata, e molti occhi si riempirono di lacrime. I canti e le grida dei Papaboys tacquero all’improvviso. La piazza fu invasa da un silenzio pesante, quasi irreale. Si udivano sommessi sospiri, qualche singhiozzo, e si vedevano volti contratti, rigati dalle lacrime. Una ventina di minuti più tardi arrivò lo scarno comunicato ufficiale del portavoce del Vaticano: «Il Santo Padre è deceduto questa sera alle 21.37 nel suo appartamento privato». Quelle parole furono accolte da un lungo applauso e nuovamente da un fiume di lacrime.

Indimenticabili le giornate che seguirono fino all’8 aprile, giorno dei funerali. Per tutto il giorno 3 aprile, Radio e televisioni continuavano a riferire la cronaca. Il corpo del Papa era stato portato Nella Sala Clementina per ricevere l’omaggio dei cardinali, erano iniziate la pratiche di preparazione della salma perché, a cominciare dalla mattina del 4 aprile, sarebbe stata esposta in San Pietro per ricevere la visita dei devoti.

Io abito a circa 250 chilometri da Roma. Appena saputo che il corpo del Papa sarebbe stato esposto alla visita dei fedeli, mi sono organizzato con mia moglie e siamo partiti. Come, del resto hanno fatto moltissimi altri, da ogni parte d’Italia e anche dall’estero.

Quando arrivammo in Piazza San Pietro, era già in atto una potente organizzazione. La protezione civile aveva fatto arrivare camion carichi di transenne. Erano stati creati dei corridoi, in modo che la gente potesse raggiungere la basilica ordinatamente e, dopo aver reso omaggio al Papa, andarsene altrettanto ordinatamente. Al nostro arrivo, si era già formata una lunga fila di persone che volevano entrare in San Pietro. E quella fila continuò a crescere. Ad un certo momento arrivava fin sul Lungotevere. Un enorme serpentone di donne e uomini con il cuore traboccante di dolore e di affetto.

Alle ore 16 di lunedì 4 aprile 2005, la salma di Wojtyla fu traslata alla basilica di San Pietro. Verso le ore 19 iniziò l’omaggio della gente comune. Noi, che eravamo arrivati in Piazza San Pietro tra i primi, restammo in colonna per 8 ore. Ma quelli arrivati dopo di noi fecero 10, 15 e perfino 20 ore di attesa.

Da ogni parte d’Italia e dall’estero si avevano notizie di pellegrini in partenza per Roma. Treni speciali, pullman, auto, e anche aerei: una marea di gente aveva deciso di raggiungere la capitale per rendere omaggio al Papa. Già nella giornata di mercoledì, Roma era paralizzata dal traffico. Le auto e i pullman non potevano entrare in città, e venivano convogliati in grandi aree periferiche destinate a punti di raccolta. Le stazioni e gli aeroporti erano congestionati. Le zone intorno a San Pietro sembravano un formicaio. C’era gente dappertutto. Un bivacco enorme.

E in mezzo a quel bivacco, il serpentone della folla incolonnata dentro le transenne che si muoveva lentamente si entrava in basilica a un ritmo di 350 persone al minuto; 21.000 l’ora.

La basilica rimase aperta al pubblico ininterrottamente, giorno e notte, tranne tre ore ogni notte, dalle due alle cinque del mattino, per poter compiere i necessari interventi di pulizia. Il numero dei pellegrini che raggiunsero la capitale in quei giorni sfiorò i quattro milioni. Ma solo un milione e duecentomila riuscirono a passare di fronte alla salma di Giovanni Paolo. Passare, ma senza potersi fermare. Vedere quel volto, salutarlo, magari scattare una foto con il telefonino. Una manciata di secondi, ma che nessuno di quel milione e duecentomila persone che ebbero la fortuna di vivere quei pochi secondi guardando il volto di Karol Wojtyla ha mai potuto dimenticare, me per primo.

Dimenticavo di aggiungere che sono sempre stato un devoto del “Nonno Papa”, l’ho sempre sentito come un Nonno, al punto di chiamare il mio primo figlio Giovanni Paolo, facendo fede ad un voto fatto proprio in quel giorno e durante quella fila.

Tony Assante

Il papa di Fatima. Vita di Karol Wojtyla
di Renzo Allegri

L’autore di questo libro è un giornalista che per oltre mezzo secolo ha svolto il suo lav oro di inviato speciale in giro per il mondo. E ha avuto la fortuna di dedicare a Karol Wojtyla decine di articoli, a cominciare dal giorno della sua elezione a papa. Per necessità professionale, non potendo ripetersi, ha dovuto ogni volta impegnarsi nel trovare spunti nuovi; ha così avvicinato decine di persone che erano vissute accanto a Wojtyla, raccogliendo una grande quantità di informazioni dirette, dalle quali ha ricavato innumerevoli articoli e infine questo libro. Che non è una biografia in senso tradizionale, ma un percorso, tendente a capire il senso di una vocazione, che non si è manifestata precisa fin dall’inizio, ma si è chiarita poco a poco, alla quale Wojtyla ha creduto con adesione totale. Un libro fatto di testimonianze dirette di chi ha vissuto i fatti riferiti.

 

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