Quanto amore per Dio nelle bestemmie di Zola
Ripubblicato il romanzo del grande autore francese contro il santuario. Ce lo racconta una scrittrice che ha fatto lo stesso tragitto. Con esito opposto
Nella pacchiana geografia delle intercessioni mariane il santuario di Lourdes, con la pratica dell’avventuroso viaggio in treno di variopinte torme di aspiranti miracolati versione pellegrini e malati, e la relativa sardana commerciale, da oltre cento anni seguita a suggestionare la gente.
I visitatori credenti sono pronti a esaltarsi per l’incredibile proliferazione di suggestive e solenni cerimonie religiose non-stop, tipo le processioni notturne aux flambeaux, salvo ritornare a casa mezzi ubriachi di «sacro da supermercato» e carichi di parafernalia assolutamente «made in China». Mentre gli scettici tradizionalisti, quelli che indossano la cotta del più scontato e ormai caricaturale neopositivismo, seguitano a ribadire i soliti strali anticristiani, articolati per smozzicati luoghi comuni, senza mai premurarsi di corredarli delle debite argomentazioni logiche, anzi spesso affiancando alla derisione e al sarcasmo nei confronti del cattolicesimo, comunque declinato, una bonaria e convinta comprensione verso le moderne religioni fai-da-te, quelle pratiche devozionali come il buddhismo de noantri, mezzo religione e mezzo fashion, destinato a cadere miseramente nel nulla quando la vita terrena è prossima a svanire, ché a tale appuntamento non si sfugge, e allora non di rado quegli stessi che lontano dal traguardo tanto avevano irriso le ingenue forme di devozione popolare, in limine sono pronti a raccomandarsi alla triade Gesù-Giuseppe-Maria.
Si ripubblica in questi giorni un testo accompagnato da nera fama, oggetto di messa all’indice e di seguente simbolico rogo, quel Lourdes di Émile Zola (Medusa, pagg. 105, euro 10) uscito per la prima volta nel 1894.
Su Lourdes e sul suo mistero mariano, sull’impero economico-devozionale che ne è scaturito, in molti si sono espressi; del santuario pirenaico e dell’umanità che vi conviene si è scritto in mille modi, sempre abbastanza arroganti e superficiali, se non offensivi. Sono state accreditate ad arte ipotesi volgarmente scristianizzanti o del tutto fantascientifiche, come la leggenda dell’acqua che non bagna, che furoreggia fra le pellegrine italiane di mezza età. Il motteggio declina fino alle soglie della più gaglioffa goliardia, come nella ricostruzione per cui nella grotta Santa Bernadette avrebbe intravisto, anziché la Vergine, l’allegra moglie di un ufficiale che si intratteneva con un «suo amico» e che questa signora avrebbe furbescamente spaventato la rozza pastorella, spacciandosi con gran vena d’attrice per ben altra, al fine di preservare la sua serenità domestica e non allarmare rovinosamente il consorte; fino al film Lourdes della regista Hausner, stranamente gradito a credenti e no, quando invece – a mio avviso – la pellicola rappresenta impietosamente, in una profonda solitudine e miseria spirituale, i poveri malati, sì accuditi dai volontari di turno, ma terribilmente esiliati nei loro corpi-guscio bacati dalla malattia, visione che non corrisponde affatto a quello che è il senso ultimo del pellegrinaggio mariano ai Pirenei.
Lourdes è invece uno dei pochi luoghi dove la malattia fisica e il dolore sembrano acquistare un senso, un valore etico, una giustificazione ultraterrena. Qui le malattie diventano espressione collettiva di elevazione dello spirito. Perciò prestare assistenza volontaria alla cura di estranei ammalati acquista un significato simbolico e potentissimo di redenzione. Qui il povero miserabile corpo martoriato, il fenotipo cristiano dell’Ecce Homo, diventa veicolo fra l’umano e il divino e a Lourdes la malattia e la sofferenza fisica, con tutti i suoi terribili annessi, non sono più catene, bensì trampolini di lancio diretti verso Dio.
Anch’io, come l’illustrissimo Zola, sono andata in pellegrinaggio a Lourdes, la prima volta come una sprovveduta damina, piena di pretese ultraterrene talché mia intenzione era quella di «litigare col Padreterno», e questo perché avevo visto morire mio padre, nel breve volgere di una delirante nottata all’ospedale, per un banale episodio di malasanità; ma questa è una storia vecchia e decrepita, anche se coincide con l’inizio della mia carriera di scrittrice e la genesi del romanzo Lourdes, uscito per Adelphi dodici anni fa.
Anche nel mio romanzo, come nell’omonimo zoliano, la protagonista si chiama Maria; e le due Marie, la mia e quella di Zola, si assomigliano. È una similitudine giudicabile equamente come strana e anche fatale, perché quando scrissi il mio libro non avevo letto Zola, né avrei potuto come lui ispirarmi al fanatico negazionismo che animava promotori e attivisti – tra cui lo stesso romanziere – di una campagna contro Lourdes, culminata in una mozione di chiusura del santuario rivolta al primo ministro Combés nel 1900, anno in cui dall’esercito antimariano venne pure ottenuto un risultato chiaro: l’estromissione dalla comunità religiosa della cittadella santa dei padri assunzionisti, i più invisi ai compagni di Zola in quanto tacciati di far commercio dell’acqua spacciata come miracolosa, con gravi conseguenze sanitarie se non epidemiologiche.
Il romanzo zoliano racconta dunque il pellegrinaggio di Maria De Guersaint attorniata da altri personaggi simbolici di profilo assai prevedibile, come l’immancabile prete che perde la fede, che si staglia in una pittoresca galleria di donnette neuropatiche sedicenti miracolate, afflitte da malattie astruse tipo la tallonite o certe orticarie rosacee. Per parte sua, la protagonista guarisce da quel che si rivela un’isteria con l’avvento del menarca, dettaglio truculento – oggi si dovrebbe dire pulp, ma mi è difficile – di quelli che mi hanno sempre fatto amare il realismo di Zola.
Feroce nello sguardo, incapace di sottrarsi ai più grevi stereotipi anticlericali tipici del tempo in cui fu composto, questo romanzo merita ancor oggi di essere letto, per la potenza di scrittura e il segno di trattato antropologico che lo rendono attuale. Su Lourdes e il suo mistero esprime una tesi tanto manichea da non poter convincere altri da chi sia già convinto, fornendo allo scettico un nitido specchio per le sue certezze. Tanto da lasciar pensare che Zola agisse come quei mistici altomedievali, usi a percorrere fino in fondo le strade più sordide, a provocare il Sacro negandolo e biastemandolo, nella speranza di ricevere un segno capace di incrinare il silenzio di un Dio che invece parla, in maniera del tutto chiara, a chi sappia disporsi all’ascolto.
Rosa Matteucci autrice di Lourdes (Adelphi) e Tutto mio padre (Bompiani)
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