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Settecento Bresciani a Lourdes

Un ex calciatore fra i volontari

GIOVANNA FERITI

IL PELLEGRINAGGIO. È partito ieri da Brescia il «treno bianco» diretto in Francia con malati, fedeli e tanti assistenti
Luciano De Paola: «Ho bisogno di sentire di poter essere d’aiuto a chi è stato meno fortunato di me»

Oltre 700 bresciani ieri, poco dopo le due del pomeriggio, sono partiti alla volta di Lourdes per il pellegrinaggio pasquale organizzato dal centro Volontari per la Sofferenza: 700 volti sorridenti nonostante la sofferenza, 700 storie, 700 speranze dirette in Francia con il loro carico di fede e di dolore. Tra loro non solo persone malate e bisognose, ma anche tanti volontari desiderosi di fare del bene, cittadini comuni attratti dall’idea di una condivisione che troppo spesso manca nella società attuale. Fra gli altri, Luciano De Paola, ex calciatore del Brescia ed ex allenatore del Darfo Boario (l’esonero è arrivato proprio l’altro ieri) che si è presentato al primo binario della stazione per salire sul treno diretto a Lourdes insieme all’amico Paolo Marchiori, presidente dell’Aisla di Brescia e affezionato partecipante al pellegrinaggio.
«Quando l’anno scorso ho accompagnato Paolo alla partenza ho respirato un’aria che mi ha profondamente toccato – racconta l’ex calciatore -. Quel giorno ho deciso di prendere parte al pellegrinaggio e ora ho fatto per mantenere la promessa fatta innanzitutto a me stesso». «Ho bisogno di questa esperienza, di sentire di essere di aiuto a chi è meno fortunato di me», aggiunge De Paola che al collo ha la sciarpa azzurra dei Volontari della sofferenza anzichè quella neroverde del Darfo: «E’ andata bene così – sdrammatizza l’ex allenatore della squadra camuna a chi gli chiede dell’esonero -: a Dargo ho trascorso due anni meravigliosi e ho lasciato la squadra nei play off. Ci sono state divergenze con il presidente, ma non rimprovero niente a nessuno».

L’ENTUSIASMO che si respira, sul primo binario. è contagioso. E non solo tra gli «affezionati» che come Paolo Marchiori hanno preso parte più volte all’iniziativa («Finchè il mio corpo mi consentirà di farlo continuerò a partecipare – promette – perché è un momento di spiritualità importantissimo, in cui stacchi da tutto per entrare in te stesso e comprendere il vero valore della vita e delle cose», ma anche per quanti si approcciano all’esperienza del pellegrinaggio in modo più ingenuo. E’ il caso Elvira Pedretti, settantenne di Gardone Val Trompia che a Lourdes va per la prima volta («Vado per accrescere la mia fede: se poi tornerò che starò meglio sarò ancor più felice», confessa) o della giovanissima Carola Cabassi, che a soli 15 anni è già alla seconda esperienza da volontaria, ma non non ha abbandonato il candore e l’emozione della prima volta: «Credo sia un’esperienza utilissima anche per noi giovani che possiamo toccare con mano cosa significhino il dolore, la carità e la capacità di donarsi agli altri», racconta Carola. un angelo che, come molti altri giovani volontari, si occuperà delle attività del refettorio durante i sette giorni del pellegrinaggio.

E SE AI PARTENTI si domanda cosa significhi un viaggio a Lourdes, perdippiù nella settimana che precede la Pasqua, per tutti sembrano valere le parole della signora Giovanna Feriti. Che ha 67 anni, viene da Berzo Demo e senza indugi spiega:«E’ una esperienza unica e rara, non soltanto per la crescita della propria fede, ma anche e soprattutto per l’opportunità che è data di incontrare altre persone che soffrono come e più di noi. Così, guardando agli altri, si impara a relativizzare e a godere di tutto ciò che la vita davvero sa offrire». Una chiave di lettura condivisa da Cesare Maghini, 66 anni e già quindici pellegrinaggi a Lourdes sulle spalle, da volontario della sofferenza: «Ogni volta è un’emozione nuova, da pelle d’oca – confessa -. E’ vero che si può pregare dappertutto, ma farlo davanti alla Grotta della Madonna di Lourdes è un’altra cosa».
Angela Dessì

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