I piccoli «miracoli» e la spiritualità antiscettici
Lourdes, la fede, i souvenir. I piccoli «miracoli» e la spiritualità antiscettici
Dopo la guarigione della donna malata di Sla. Fra i pellegrini, spunta anche Luciano Moggi
LOURDES (FRANCIA) – Ci sono due Lourdes e se aspiri a una conversione ti conviene evitare accuratamente la seconda, planando a occhi chiusi nel Santuario. Lì, anche per uno scettico, c’è qualche speranza. Se invece passi nelle strade adiacenti anche solo per pochi minuti, un sano disgusto potrebbe suggerirti di tornare sui tuoi passi e di abbandonare subito l’impresa. È il regno dei simoniaci, peccatori che Dante conficcò nella terra a testa in giù, i «rapaci per oro e per argento» verso i quali «or convien che (…) suoni la tromba». La tromba, a quanto pare, non è mai suonata. Sicché le due Lourdes sono Paradiso e Inferno a due passi l’uno dall’altro, separati solo da un ampio cancello e per di più in un continuo e assurdo travaso reciproco di anime pellegrine. Ciò che di qua è dolore, speranza e felicità, cioè pura spiritualità, di là diventa commercio. E ti chiedi come un credente possa tollerare a cuor leggero una contraddizione così abbagliante. Tanto più che anche dentro il Santuario, a due passi dalla Grotta in cui nel 1858 Bernadette vide la Madonna, c’è un ufficio in cui si vendono messe a 9 euro l’una e ceri che vanno dai 20 (per due chili) ai 400 (per mostri di 70 chili).
Ma tant’è. Immagina dunque di planare, senza soste intermedie, sull’Esplanade, l’enorme spiazzo che sta davanti alle due basiliche sovrapposte (quella del Rosario e quella Superiore), magari in piena mattinata, quando è più formicolante il viavai di carrozzelle barellieri dame bianche azzurre e rosa. Ti capiterà di incontrare un gruppo di ventenni boy-scout di Biella, uno dei quali, Andrea, guarito dalla leucemia a otto anni, che oggi è un omone con un gran pizzo nero e fa il vetraio al suo paese: «Quando da bambino mi hanno portato qui per farmi fare il bagno in piscina, ero talmente inconsapevole che ho chiesto alla Madonna di farmi passare il dolore a un’unghia incarnita e non di guarirmi dalla malattia vera». Barelliere, come gli altri. Significa svegliarsi alle 5 e mezza del mattino, caricare e scaricare valigie, accompagnare i malati per vie crucis, messe e processioni, aiutarli a immergersi nelle piscine. Una giornata lunga diciassette ore, una birretta tra amici la sera e a nanna per passare a un’altra giornata di diciassette ore. Eppure li trovi felici. Stremati e felici. Come Cristina, che insegna matematica a Torino, viene a Lourdes da dieci anni e parla di una «settimana massacrante» con i bambini disabili: «Però poi tornando a casa ti dici che sei fortunato e trovi un miliardo di ragioni per non lamentarti, perché almeno riesci a parlare e a farti il segno della croce, cose che i miei bambini non riescono a fare». Ciò che non le piace è il «clima da stadio», il fanatismo di quelli («soprattutto italiani, bisogna ammetterlo») che tornano a casa con le valigie piene di taniche d’acqua miracolosa o quelli che «passano sopra i malati in carrozzella pur di arrivare per primi alla Grotta».
Qui non è Assisi. Lo diceva, nel suo Viaggio a Lourdes, anche Mario Soldati chiedendosi se «simili brutture» siano «compatibili con un’atmosfera di Grazia Divina». In effetti trionfa il cattivo gusto del posticcio, nelle facciate delle chiese, nei mosaici, nelle gigantesche rampe laterali ad archi che si allungano a scivolo sulla spianata. Ma per questo, senza la «distrazione» dell’arte, la forza di intimo trascinamento, non puoi negarlo, appare ancora più autentica, come purificata. E te ne renderai conto meglio dopo esserti spostato, magari nel silenzio del primo pomeriggio, verso la Grotta, sovrastata dalla Madonna bianca deposta dentro una nicchia in alto a destra. Tra i tanti possibili, c’è anche un miracolo di statica: come possa quel piccolo buco nella roccia reggere il gigante che all’inizio del Novecento fu edificato sulle sue spalle, guglie simil-gotiche annesse. Quello dove Bernadette andò a inginocchiarsi sembra un antro come tanti, circondato da file di panchine di ferro dove i pellegrini si stringono, mentre un corteo entra nella cava rocciosa sfiorando con le dita l’acqua che cola. Più tardi, quando la folla si diraderà, vedrai qualche bella ragazza farsi fotografare dal fidanzato in posa ispirata, ma per il momento è un viavai di carrozzelle spinte da padri, madri, mariti, mogli, figli e figlie, amici, fratelli e sorelle, barellieri, dame, sacerdoti, suore. Sono carrozzelle con coperture azzurre (oggi pioviggina su Lourdes e sul suo fiume, il Gave), due grandi ruote dietro, una rotella davanti, occupate da uomini e donne immobili, qualcuno senza gambe, i più con mali che la medicina definisce irreversibili o quasi. Per te, come per altri pellegrini-turisti, è un’immersione sconvolgente nel dolore del mondo che per una volta, lì sotto i tuoi occhi, diventa anche il tuo. Come diventa tua la speranza. È per questo che il sacerdote che guida la Via crucis organizzata per il gruppo Unitalsi di Treviso invita a «credere oltre ogni evidenza, sperare oltre ogni speranza». Tutte cose che sa bene Marco, un trentenne che per la Via Crucis abbandona la carrozzella e si aggrappa a due stampelle trascinandosi dietro le gambe per le quindici stazioni in salita sotto le querce e i pini bagnati: «Vengo a Lourdes da dieci anni, — dice — io qui mi sento bene». Sorride prendendosi gioco della tua sanità. Il selciato umido lo potrebbe tradire, ma lui non chiede aiuto. «Va’ pian, va’ pian, va’ pian» è il consiglio di un medico al seguito, ma sorride pure lui: sa che Marco ce la farà. È questa pacifica forza convinta di sé a trascinare, a commuoverti e a far vacillare persino lo spirito più illuminista. «Ti saluto o croce santa…».
Ritornando nei pressi delle piscine, dove le donne (molto più numerose degli uomini) aspettano in coda da ore che si aprano i cancelli, ascolterai da una signora di Modena il racconto della guarigione di suo marito: «Piccoli miracoli che succedono sempre e che la Chiesa nemmeno calcola». Miracoli come quello che, pochi giorni fa, ha fatto alzare dalla sedia a rotelle Antonietta Raco, 50 anni, malata di Sla. E sentirai un lungo e lugubre muggito e dovrà passare qualche minuto perché tu capisca che quel verso viene dalla gola di un ragazzo cinese paraplegico tenuto per mano da sua madre. E non farai in tempo a distogliere lo sguardo dai suoi occhi non domati per evitare che ti fissino come per rimproverarti la colpa di essere sano. E allora proverai un brivido come di paura. Ma il resto, qui, è pace. Dolore e gioia: una bella madre africana con turbante variopinto sulla testa, seduta in carrozzella e spinta da un marito forte, si porta il figlio di pochi anni sulle ginocchia, accarezzandolo, e quando arriva alle fontane gioca a spruzzare d’acqua santa il bambino, che scende urlando e corre via divertito. Durante la fiaccolata della sera, da interista incallito riuscirai a tollerare persino la nuca di Luciano Moggi che, giubbetto bianco fosforescente sui jeans, sta lì in processione proprio davanti a te, con la sua candela in mano circondata da un paralume di carta, come le altre migliaia di candele che seguono la Madonna mentre si alza il canto dell’«Ave, ave, ave Maria… ». Anche la candela della ragazza napoletana che mentre cammina attaccata al cellulare dà istruzioni alla madre per collegarsi al sito di Lourdes se vuole «vedere in diretta che sta succedendo mo’, ché magari vedi pure me e Lorenzo che stiamo qui».
Il cielo è ancora trasparente di un azzurro rosato. I lumini accesi sono uno spettacolo per l’anima più che per gli occhi. Sono già le nove e mezza, un anziano spinge la carrozzella di sua moglie: «Andiamo, Lori, è finita». Ora puoi uscire anche tu. Superato il cancello, nella piccola Time Square dei Pirenei troverai i negozi ancora aperti: rosari blu, rosa, neri, candele e ceri di ogni dimensione, bidoni e bottiglie che aspettano di essere riempiti e messi in valigia, acquasantiere, appendiabiti con l’immagine di Bernadette che prega, palle di vetro con la Grotta sotto la neve. E la Madonna di Lourdes ti guarda dai termometri, dagli orologi a cucù, dai portapenne, dai tagliacarte, dai cavatappi, dai boccali, dalle caraffe, dai portachiavi, dai sottopentola, dalle clessidre, dai braccialetti di Swarovski, dai berretti, dalle borse, dai cioccolatini, dagli strofinacci e dai guanti da cucina, dai thermos, dagli zainetti, dalle vetrine della Bijouterie Pax Mundi, dalla Pasticceria Notre-Dame, dall’Emporio Sainte-Marie «O’ sole mio» da Anna. Dove «le croci da appendere in macchina non so’ normali, so’ stilizzate, so’ cchiù particolari e c’è pure la certificazione».
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