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Io, a pochi centimetri dal Mistero – Guarire a Lourdes

Io, a pochi centimetri dal Mistero  – Guarire a Lourdes

di Marina Corradi

Il responsabile del Bureau medical di Lourdes, l’ufficio incaricato di accertare la natura delle guarigioni, da pochi mesi è il dottor Sandro de Franciscis, 54 anni, napoletano. Ex deputato della Margherita, ex presidente della Provincia di Caserta, ex responsabile giovanile vincenziano, volontario Unitalsi fin da ragazzo, quando il vescovo di Lourdes gli ha proposto l’ incarico de Franciscis ha riflettuto a lungo. Poi ha chiesto scusa ai suoi elettori, ha salutato Caserta ed è partito.

Singolare parabola di un medico animato da una forte passione politica: l’onorevole che pochi anni fa sedeva alla Commissione Bilancio della Camera ora è qui, in questa corte di preghiera e di sofferenza che è il santuario più frequentato d’Europa. Da lui vanno i pellegrini che ritengono di essere guariti alla Grotta. A lui spetta iniziare e seguire il lungo, spesso decennale e rigorosissimo iter che si conclude con la dichiarazione, da parte del Comitato medico internazionale di Lourdes, di “guarigione eccezionale”. E i miracoli? «La dichiarazione del miracolo spetta alla Chiesa – risponde il dottore –. Io, sono un medico».

Nel 2008 a novembre a Parigi il Comitato medico internazionale ha dichiarato cinque guarigioni eccezionali. Ma sono tutti casi “maturati” in diversi anni. È estremamente complesso il processo che porta a questa conclusione.  Occorre, spiega il dottore, che siano rispettati rigorosamente sette criteri: «La malattia deve essere grave, di natura organica, e con diagnosi certa. La guarigione non deve essere ascrivibile ad alcuna terapia, dev’essere istantanea, completa e durevole nel tempo. Il mio lavoro in sostanza consiste nel cercare con la massima accuratezza ogni possibile spiegazione medica alle guarigioni che mi vengono sottoposte. Quando un pellegrino si presenta e mi dice: “Dottore, sono guarito”, io lo visito e se lo ritengo posso convocare il Bureau medical di Lourdes, cioè tutti i medici che si trovino a Lourdes quel giorno e vogliano partecipare. Se anche questa tappa viene superata, il processo prosegue. Per molti anni».

Il dottore estrae da un archivio un ingiallito faldone di carte alto almeno quindici centimetri. È il procedimento che ha portato alla certificazione del miracolo di Vittorio Micheli, italiano, guarito da un osteosarcoma negli anni ’60. Le lastre mostrano il bacino dell’uomo, intaccato da un tumore maligno, e poi come ricostruito. Il professor Michel-Marie Salmon, allora membro dell’Accademia di medicina di Francia, firmò la dichiarazione finale: «Nessuna spiegazione medica può essere data».

«È così – continua de Franciscis nella quiete del suo studio silenzioso a pochi passi dalla grotta di Massabielle – che lavoriamo al Bureau. Con una coerenza medica blindata. Qui il mio essere medico prevale sull’essere credente. Cerco in ogni modo spiegazioni razionali. Quando non le trovo, mi fermo. E devo dire che in questi mesi mi è diventato chiaro che il rapporto tra fede e scienza è assolutamente possibile. Il terreno su cui si compie, è la ragione umana». Che talvolta, raramente – 67 miracoli dichiarati, ad oggi, dal 1858 –  davanti a certe lastre radiografiche come quella del signor Micheli, e dopo laboriosi consulti e osservazioni prolungate negli anni, si arresta. Come dicendo: questo, non lo sappiamo spiegare. «Io, lo ripeto, faccio il medico – dice de Franciscis –. E però qui sono, come dire, a pochi centimetri dal Mistero. Come in prima linea, o alla frontiera».

Di quelle cinque “guarigioni eccezionali” dichiarate dal Bureau a novembre – 4 donne e un uomo, tutti francesi – il dottore ne ha incontrate personalmente quattro. Racconta di una di queste persone, una donna, «affetta da una grave patologia neurologica del midollo spinale. Ci ha raccontato che era venuta a Lourdes a chiedere la forza di sopportare la malattia. Mentre, ancora malata, ringraziava Dio, si è sentita guarita».

Sarà “miracolo”? Questo lo deciderà la Chiesa, cui occorre tempo. Un passo lento, scrupoloso, di piombo. Per questo il dottore, quando gli chiediamo della signora del Sud Italia che pochi giorni fa si è detta guarita dalla Sla, sorride: «Io, al momento, non ne so niente. Attendo che la signora, se vuole, venga qui a raccontarmelo. È nella natura umana, del resto, che uno che si sente guarito lo dica in casa, agli amici, e solo dopo torni a Lourdes. Vedremo. Se questa signora verrà, inizierà l’esame del suo caso».

Ma dottore, quest’anno qualcuno è venuto a dirle per la prima volta di essere guarito? «Ventidue pellegrini. In alcuni casi l’ipotesi di guarigione eccezionale decade subito, in altri si va avanti. Benché ultimamente succeda che anche di fronte a un fatto che potrebbe essere una guarigione, il pellegrino non abbia voglia di divulgare la storia. E se la tenga per sé, come se riguardasse solo lui».
Le giornate del quindicesimo, dal 1883, medico permanente del Bureau iniziano di prima mattina, in un susseguirsi di visite, incontri, poi nella processione eucaristica pomeridiana a cui è tradizione dal 1883 che il responsabile del Bureau medical sia presente. Ogni giorno fra le barelle, le carrozzelle dei malati e dei vecchi, faccia a faccia con la sofferenza. Eppure de Franciscis, se gli domandi se non rimpiange la politica, risponde netto di no: «Era un lavoro che mi appassionava, anche se facendolo ho capito come avesse ragione Paolo VI quando diceva che la politica è la più alta forma di carità. Ma quando il vescovo di Lourdes mi ha chiamato ho pensato: ci sono 108 presidenti di Provincia in Italia, e solo un responsabile del Bureau medical di Lourdes». E solo un posto come questo: da gestire con «coerenza medica blindata», e però «a pochi centimetri dal Mistero». Poi, è sera, il dottore ed ex onorevole de Franciscis chiude l’ufficio. Appena fuori si accende una sigaretta. Il responsabile del Bureau medical di Lourdes fuma? Alza le spalle, sorridendo: «Poco. E poi, vede, il fatto è che io sono un medico un po’particolare. Sono il medico dei guariti. Da me vengono solo quelli che, oramai, si sentono bene…».

Ma pochi passi per il piazzale del santuario reimpongono l’evidenza imponente di dolore e speranza di questo posto. Dottore – indaghi – com’è che ha deciso di diventare medico? «A 17 anni – risponde – sono venuto qui per la prima volta come volontario per l’Unitalsi. Mi hanno mandato alle piscine dei bambini. Ho visto la sofferenza intollerabile dei bambini, quella che fa gridare a Dio: perché? E ho deciso di diventare pediatra. Ma non dimentico quei giorni alle piscine, da ragazzo. Perché adesso, quando vedo lo stesso sgomento e ribellione negli occhi di tanti malati, so che cos’è. Ci sono passato, ho provato anche io».

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