«A Lourdes con noi le malattie dell’anima. E una teca piena di preghiere»
Meno carrozzine, più “feriti della vita”: il presidente Rocco Palese racconta il pellegrinaggio nazionale che ha portato a Lourdes 4mila partecipanti da tutta Italia. Con tanti giovani e volontari
Tredici aerei, otto pullman, tre convogli ferroviari: quando Unitalsi si muove verso Lourdes per il suo pellegrinaggio nazionale – partito lunedì, conclusione domenica – è come un fiume di vita che si forma raccogliendo goccia a goccia migliaia di partecipanti, con le loro storie, ferite, attese. Sono 4mila in questa edizione 2024 centrata sulle virtù teologali (speranza, fede, carità, abbinate ai tre colori del pellegrinaggio: verde, giallo, rosso) e sull’espressione mariana “Che si venga qui in processione”. Accompagnati dall’assistente nazionale monsignor Rocco Pennacchio, arcivescovo di Fermo, i pellegrini sono guidati dal presidente Rocco Palese. Che a Lourdes si sente a casa, come tutti loro.
Quattromila partecipanti, il segno di una forza attrattiva che perdura. Presidente, cosa dice oggi Lourdes agli ammalati?
Oggi Lourdes dice speranza, quella meravigliosa sensazione che prende sotto la Grotta e che comunica attenzione e sollievo alla sofferenza. La Madre guarda i suoi figli e come fece con Bernadette li abbraccia e sorride loro, rassicurante. Lourdes oggi dice fede: rinsaldare le nostre certezze partendo dal Vangelo e da qui ritornare nelle nostre case rafforzati. Lo dice a tutti, e soprattutto ai nostri amici ammalati: la roccia della Grotta ha una potenza disarmante in grado di rasserenare. Pensiamo al nostro fondatore, Giovan Battista Tomassi, che, malato, andò a Lourdes per suicidarsi sotto lo sguardo di Maria e tornò invece a casa desideroso di far vivere l’esperienza che gli aveva cambiato l’esistenza a molte più persone. Oggi Lourdes, infine, dice carità, quell’Amore che viene da Dio e che attraverso suo Figlio insegna a tutti uno stile di vita, e ci dice che non siamo soli. Che abbiamo qualcuno accanto che ci sa ascoltare, che ci sa accompagnare come fanno i volontari dell’Unitalsi grazie al loro servizio verso gli ammalati, i sofferenti e i più fragili.
Come vede cambiare nel tempo la tipologia dei partecipanti?
Quello che oggi cambia è la percezione della malattia, che è meno “visibile” ma sempre presente. Meno persone in barella o in carrozzina, ma non meno ammalati. Ci accade di accompagnare sempre più persone ferite non solo nel corpo ma anche nello spirito. Nel 2024 durante ogni pellegrinaggio della nostra associazione abbiamo raccolto in una teca le intenzioni di preghiera dei pellegrini e di coloro hanno affidato a noi le loro attese affinché le portassimo sotto la Grotta. I numeri delle preghiere raccolte sono davvero significativi, a testimonianza dei molteplici bisogni dei fedeli che a Lourdes diventano richiesta, speranza e fiducia.
Ormai si approssima il Giubileo, dedicato alla speranza, uno dei temi del pellegrinaggio. Di speranza la nostra società è assetata, i malati e le loro famiglie anche di più. Qual è il messaggio di Unitalsi oggi?
Nel nostro pellegrinaggio la speranza è raffigurata come una donna con in mano l’ancora. Abbiamo rappresentato l’essere umano che confida in Cristo, àncora di salvezza, che consente di rimanere saldi nella gioia e nella fede. La donna da noi raffigurata con l’altra mano sfiora un’anfora in riferimento all’acqua del battesimo, porta della speranza. Ognuno di noi è portatore di speranza e può essere seme che germoglia, chicco di grano che diventa fermento e nutrimento di una società che ha il dovere di stare accanto alle persone sole, sofferenti, in difficoltà e alle loro famiglie. La speranza ci insegna che dobbiamo sempre guardare negli occhi il fratello e la sorella che abbiamo accanto e che il nostro compito è di camminare insieme a chi ha il passo più lento.
La condizione dei malati è spesso segnata da solitudine ed emarginazione, che acuiscono la tentazione di trovare persino ragionevole il “diritto di morire”. Cosa pensa del dibattito sul fine vita chi sta sempre con i malati?
L’argomento è molto delicato e attiene a una sfera molto personale. Come associazione operiamo nel rispetto della dignità di ogni essere umano, nella vicinanza alla sofferenza in tutte le sue forme e stadi. Lo stare accanto significa saper tenere la mano in ogni momento.
Un fenomeno straordinario è quello dei volontari, con molti giovani e anche non credenti. Cosa li attira di questa esperienza, e cosa gli resta? Perché “ne vale la pena”?
Perché vale sempre la pena donare per amore. E Lourdes ce lo ricorda diventando per i volontari occasione di impegno concreto e credibile. Non solo un’esperienza di fede ma anche esperienza di vita, che con gioia ed entusiasmo riesce a far emergere la bellezza e la spontaneità dei volontari, la voglia di crescere, di spendersi e di avere uno scopo. Essere luce e sorriso assume concretezza nelle azioni quotidiane: accompagnare, accudire, guidare, intrattenere con canti e risate, ascoltare diventano gesti che arricchiscono chi li riceve e chi li compie.
Servire ci permette di imparare gli uni dagli altri. Diventare gambe, occhi e braccia per la nostra sorella o per il nostro fratello ci fa andare oltre i limiti con la consapevolezza che insieme tutto diventa un po’ più semplice. Da anni l’Unitalsi partecipa al Bando del Servizio civile universale accogliendo giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni includendoli in progetti di vicinanza alle persone con disabilità e alle famiglie con bambini ricoverati nei principali ospedali pediatrici e oncologici italiani. Vivere una esperienza di volontariato, formarsi donando tempo e dedizione agli altri significa crescere come uomini e donne consci del proprio ruolo in famiglia, nella società e nel mondo. Perché da un pellegrinaggio “nessuno torna a casa uguale a prima di partire”.
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