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Disabile grave scrive ai politici

62015113101522Marietta-2Adottateci per una settimana e dopo fate leggi che ci sostengano

“Sono Marietta Di Sario. La mia storia inizia quando a soli quattro anni, l’età in cui i bambini dovrebbero correre e giocare, la poliomielite bussa alla mia porta. Pochi anni dopo, a undici anni, non cammino più e da allora la carrozzina diventa la mia compagna inseparabile di vita. Ora ho sessant’anni e sono invalida civile al 100% agli arti inferiori e superiori: i miei sono stati cinquantasei anni di sofferenze, del corpo e del cuore”.

È quanto scrive la signora Marietta Di Sario, disabile dell’UNITALSI e residente a Carpi, in una lettera (in allegato il testo completo) indirizzata a Papa Francesco, al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, al Presidente del Senato Pietro Grasso e al Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, nella quale racconta le difficoltà incontrate nella propria vita e invita lo Stato a farsi maggiormente carico dei problemi delle persone disabili.

“Da sola – prosegue la lettera della sig.ra Di Sario – non riesco a compiere neppure il più banale gesto e per stare seduta sulla carrozzina devo portare un busto rigido che mi sostiene. Dipendo completamente, in tutto e per tutto, dagli altri. Anche solo per bere un bicchiere d’acqua, sfogliare un giornale, voltarmi nel letto, dipendo da altre persone. Le mani che ora scrivono sono in prestito e non sempre è facile trovare persone disponibili a sopperire a qualsiasi azione che a me non è permesso svolgere.

La mia vita è stata sempre una dura prova: oltre alla poliomielite e ai numerosi interventi chirurgici alle articolazioni, ho dovuto affrontare anche un’operazione per asportare un meningioma al cervello. Il mio corpo è stato flagellato, ma nonostante tutto non ho mai smesso di amare la vita e affrontare con fede la sofferenza. Convivere con la sofferenza, accettarla e accoglierla per testimoniare il valore e la bellezza della vita, sono tappe di un cammino lungo e difficile, ma che con gioia percorro ogni giorno e che mi conduce ad amare anche il mio corpo provato e la mia vecchia carrozzina. In questo percorso di accettazione della mia condizione fisica, e di fede e amore verso la vita, sono stata aiutata dall’U.N.I.T.A.L.S.I., un’associazione che offre un sostegno nelle necessità e un coinvolgimento per uscire dall’isolamento. Quest’associazione di volontari, che da oltre cento anni accompagna in pellegrinaggio i disabili oltre a creare occasioni di condivisione nella quotidianità, mi ha accolta sia a San Chirico che a Carpi. Per me è diventata una seconda famiglia, che mi ha dato la possibilità di uscire dalle mura domestiche per conoscere nuove persone, lasciare attimi di libertà e intimità a mia sorella e alla sua famiglia, e che mi è stata vicina nelle difficoltà e che ha alimentato il mio coraggio e la mia fede”.

“Ma è giusto – scrive la sig.ra Di Sario – che il più grande aiuto arrivi da un’associazione di volontari, mentre ci si debba sentire abbandonati dallo Stato? Oggi, dopo tutti questi anni, mi trovo a riflettere su come sia più semplice per me accettare la mia malattia alla luce della fede piuttosto che rassegnarmi all’indifferenza di chi ci governa e a un immobilismo legislativo che ferisce e abbandona i cittadini meno fortunati e più soli.

L’assenza di politiche serie e concrete per i disabili gravi mi ha costretta a lasciare un piccolo paese della Basilicata, San Chirico Raparo, a cui sono molto legata e dove sono vissuta per più di cinquanta anni con tante difficoltà. Fino al 1992 ho abitato in una casa di sedici metri quadri, con un bagno largo cinquanta centimetri e alto cento, separato da una tenda dal resto dell’appartamento. Per raggiungere la strada dovevo superare circa quaranta gradini che per me erano un muro enorme, invalicabile. L’unica possibilità per uscire da casa era quella di essere portata in braccio. Per diversi anni abbiamo cercato invano un’abitazione adatta alle mie condizioni, fino a quando sono venuta a conoscenza di alcune case popolari e, finalmente, nell’aprile del 1992 mi è stato assegnato un alloggio idoneo, privo di barriere architettoniche. Dopo qualche anno mi hanno proposto di acquistarlo. Decisi di accettare.

Nel 2000 è morta mia madre, sono rimasta sola ma ho scelto di restare a San Chirico. Le risorse economiche non erano sufficienti per vivere dignitosamente e le esperienze avute con le badanti sono state a dir poco disastrose. Mi sono ritrovata in casa con persone alcolizzate, alcune mi hanno addirittura derubata e mi sono sentita impotente in diverse circostanze. Rimaneva un’unica soluzione: trasferirmi a Carpi, vicino Modena, dalla famiglia di mia sorella. Per garantirmi un’assistenza continua, la mia amata sorella ha dovuto rinunciare al suo lavoro in fabbrica; nel cambiare residenza la casa di San Chirico è diventata seconda casa e, oltre a vivere il dispiacere per il distacco, mi sono ritrovata anche a pagare l’ICI sull’unica casa di mia proprietà, che non ho venduto per tornare nel mio paese natale quando possibile e visitare i miei cari al cimitero”.

“Con questa lettera – prosegue la sig.ra Di Sario – sono a chiedere di aprire gli occhi e il cuore sulla dolorosa e gravissima realtà dei disabili gravi e dei familiari che li assistono. Una sola persona non è sufficiente per assistere un disabile grave e i sostegni al reddito non bastano a garantire una vita dignitosa. Mia sorella mi assiste con amore e dedizione, ho accanto dei familiari con un cuore grande ma mi rendo conto che assistere un disabile grave richiede risorse economiche, sacrifici e rinuncia alla privacy, al proprio tempo libero e persino al lavoro.

Non sarebbe giusto venire incontro a queste famiglie? Nel 2015 al Fondo per le non autosufficienze sono stati tagliati 75 milioni di euro: invece di aumentare il sostegno alla disabilità, si costringe a fare dell’assistenza un onere esclusivo della famiglia. La separazione tra il mondo delle Istituzioni e la vita sociale reale impedisce ai rappresentanti della “cosa pubblica” di conoscere le proporzioni realistiche dei costi determinati dall’esistenza di gravi disabilità.

Un’altra conferma di questa enorme distanza tra politica e paese reale è la notizia di questi mesi sul nuovo conteggio dell’ISEE, che tiene conto delle provvidenze assistenziali, delle pensioni sociali, delle indennità di accompagnamento nel suo calcolo. Tutti i contributi di sostegno all’assistenza personale sono conteggiati come se fossero un reddito da lavoro o una rendita finanziaria. In questo modo diventa reddito ciò che lo Stato e gli Enti Locali erogano con fini puramente assistenziali a persone che già si trovano in fortissima difficoltà, mentre il reddito della famiglia che accudisce un disabile grave non dovrebbe tenere conto di questi aiuti, che spettano di diritto.

Spesso i familiari sono costretti ad abbandonare il lavoro, per cui a chi si occupa del disabile dovrebbe essere riconosciuto uno status giuridico cui deve corrispondere un riconoscimento economico, perché oltre ad adempiere a un proprio dovere morale sostituisce lo Stato, laddove questi non assolve la funzione costituzionale di farsi carico dei disabili generando un risparmio economico notevole in termini di spese assistenziali e anche ospedaliere, determinato dal ricovero in famiglia e sotto l’assistenza di un congiunto. In quest’ottica, s’inserisce la proposta di prevedere la tredicesima sulle indennità di accompagnamento e il prepensionamento per i familiari che assistono disabili gravi e gravissimi. La legge sul prepensionamento è importante per i familiari dei disabili per restituire loro un po’ di vita, anche perché nessuno sa seguire un disabile grave come un familiare stretto e quindi lo Stato deve permettere che questo sia possibile”.

“Invito i politici – conclude la sig.ra Di Sario – a provare a ospitare per una settimana un disabile gravissimo, con tutte le sue necessità di essere accompagnato in bagno, pulito, lavato e imboccato ventiquattro ore su ventiquattro: solo allora si avrebbe la giusta cognizione di cosa serve a un disabile grave. Vi invito a toccare con mano cosa sia la sofferenza, cosa significhi essere meno fortunati. Vi invito a considerare i disabili non come un numero, ma come singole persone: ognuna di esse con un volto, un nome, una storia di dolore alle spalle, un futuro di fede, in cui quelli che sono dei diritti non vengano ignorati. Io vi ho detto il mio nome, ho raccontato la mia storia. Ora per voi non sono più un numero, una tra le tante: sono Marietta e do voce alle persone che, come me, devono lottare per conquistare, giorno dopo giorno, una vita dignitosa”.

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