Come essere sereni nella sofferenza
IL CONVEGNO. Riflessione al centro Paolo VI per la giornata del malato
La vicenda di monsignor Novarese che sarà proclamato beato
«Il corpo, immagine dello Spirito»: con questa frase Benedetto XVI ha voluto dedicare un pensiero a tutti gli ammalati in occasione della XX Giornata mondiale del malato, che si celebra ogni 11 febbraio. Anche la Chiesa bresciana si è mossa per far sentire la propria vicinanza a chi sta soffrendo, organizzando un convegno all’interno del Centro Paolo VI, in cui diverse personalità hanno portato la propria esperienza personale di vicinanza con i malati e la malattia. Filo rosso della discussione è stato monsignor Luigi Novarese, che quest’anno verrà proclamato beato: colpito da una grave malattia all’età di nove anni, Novarese guarì inaspettatamente durante l’adolescenza, e poco dopo decise di diventare sacerdote e di dedicare la sua opera ai malati. Fondò cosi il Centro volontari della sofferenza, i Silenziosi operai della Croce e i Fratelli degli ammalati, realtà che ancora oggi operano per il recupero totale dell’ammalato partendo dalla cura della sua anima.
L’ESPERIENZA di monsignor Novarese è incarnata perfettamente in Paolo Marchiori, malato di Sla dal 2005, che nonostante una patologia che lo inchioda su una sedia a rotelle, a chi chiede come sta risponde: «Il corpo sempre peggio, lo spirito sempre più in alto». Marchiori è intervenuto rivelando che «la sofferenza fa capire cos’è l’amore. Quando mi hanno diagnosticato la malattia ero molto distante dalla Chiesa, e ho pensato di farla finita; poi ho conosciuto il Cvs, che mi ha convinto ad andare a Lourdes. Qui ho incontrato una famiglia, tutte le paure sono svanite». Il corpo di Marchiori non risponde più, il contrario si può dire per la mente: «Sono riuscito a liberare la mia anima, riempirla d’amore e farla volare. Ho creato l’associazione per la Sla per dare sostegno, fede e amore a chi ne sente il bisogno: nella sofferenza bisogna trovare la forza per dare aiuto agli altri. Un malato di Sla, anche all’ultimo stadio, può dare più amore di cento sani». L’obiettivo di Novarese, come ha sottolineato don Roberto Lombardi, responsabile del servizio diocesano per la Pastorale delle persone con disabilità, era «mettere il malato al centro della riflessione della Chiesa, magari limitato nel corpo ma raddoppiato nello spirito». Mauro Anselmo, giornalista di Panorama, ha pubblicato una biografia su monsignor Novarese, e ha rivendicato i meriti di un sacerdote poco conosciuto, «perché aveva tempo solo per prendersi cura degli ammalati. Si schierò contro le barriere architettoniche, fece la prima trasmissione radio dedicata ai malati, fondò la Casa di esercizi spirituali a Re, organizzò corsi professionali per i disabili: Novarese merita di essere al centro del dialogo tra spiritualità e medicina».
FELICE BONOMI, specialista dell’Humanitas Gavazzeni di Bergamo, ha raccontato la sua esperienza di giovane medico, «preparato professionalmente ma non psicologicamente al dolore. Nel primo pellegrinaggio a Lourdes sono andato in crisi, perché vedevo i malati sorridere e pregare per gli altri. Quando sono entrato nell’Unità di terapia intensiva a Leno, noi medici e infermieri abbiamo cominciato a pregare con gli ammalati: se il malato è inserito in un gruppo trova una grande forza, anche dalla preghiera». Don Armando Aufiero, responsabile dell’apostolato del Cvs, rileggendo le parole del Papa ha notato che «nel vangelo di Luca, Gesù non dice che i lebbrosi sono sfortunati, ma amati da Dio. La fede è un abbandono fiducioso che i malati devono affrontare: il samaritano ha capito la gratuità del gesto di Gesù, e risponde con gratitudine».
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