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Pellegrinaggio a Lourdes, viaggio dell’anima

Concluso il 31 agosto il cammino delle parrocchie romane nei luoghi di Bernadette, guidato dal cardinale Agostino Vallini: «Un’occasione per riappropiarci del nostro respiro»

di Mariaelena Finessi

«Viaggio dell’anima»: è così che il cardinale vicario della diocesi di Roma, Agostino Vallini, definisce il percorso che il credente compie per recarsi a Lourdes, il santuario che sorge ai piedi della catena montuosa dei Pirenei, là dove la Madonna apparve per diciotto volte a Bernadette Soubirous a partire dall’11 febbraio 1858. Guidando il tradizionale pellegrinaggio diocesano svoltosi dal 27 al 31 agosto, accompagnato dai vescovi ausiliari Paolo Schiavon, Guerino Di Tora, Lorenzo Leuzzi e dal vicegerente Filippo Iannone, il porporato sottolinea infatti come «il mettersi in cammino verso la città mariana» coincida, o dovrebbe coincidere, «con la rivisitazione della nostra vita, per riappropriarci del nostro respiro, cioè di quel qualcosa che non si vede ma c’è, e senza il quale sarebbe vana l’esistenza».

A dare senso e sapore alla vita, che per l’uomo «resta un mistero», è allora altro, come spiega il cardinale introducendo il tema pastorale di questo 56esimo pellegrinaggio oltralpe compiuto dalle parrocchie romane, “Lourdes, una porta della fede”, articolato attraverso cinque tappe di riflessione: la Via Crucis, la fiaccolata, la processione eucaristica con la benedizione dei malati, la visita ai luoghi di Bernadette, la Messa internazionale e la celebrazione presso la Grotta delle Apparizioni. Quel “qualcosa”, chiarisce il porporato, è «il salto della fede che si è chiamati a compiere – precisa – specie quando il buio della croce ci fa paura, quando i nostri dubbi prendono il sopravvento e ci fanno dire “Perché è successo a me? Perché Dio non mi libera da questa ingiustizia?”». La fede chiede di attraversare «una strada stretta». Non è facile ma «è l’unica strada possibile». In fondo «la vita è come un ricamo di cui noi vediamo il rovescio, quella parte disordinata e piena di fili, ed è soltanto la fede che, di tanto in tanto, ci permette di vedere un lembo della parte dritta».

Monsignor Liberio Andreatta, vice presidente dell’Opera romana Pellegrinaggi, l’organismo che organizza questo pellegrinaggio diocesano, rilancia: «Diffidate da chi propone un cristianesimo facile. Se siamo infelici è perché noi non accettiamo l’idea che anche la sofferenza e il dramma umano possano aiutarci a crescere». La vera malattia, sintetizza monsignor Andreatta, rivolgendosi ai pellegrini, molti dei quali veri e propri “veterani”, alla loro 30esima o 40esima esperienza nella città mariana, è il peccato: «Se riportate a Roma le taniche d’acqua raccolta qui a Lourdes, credendola miracolosa, ma non il perdono e la grazia, allora avete fatto una fatica inutile». Susanna Tamaro, che ha scritto i testi per la via Crucis celebrata nella diocesi di Trieste, era tra i 1.200 pellegrini arrivati in Francia con un treno, una nave e cinque aerei. Dalla sua fatica sono stati tratti alcuni stralci letti durante la Via Crucis del 30 agosto, su per i sentieri della collina che sovrasta Lourdes, tornata ad affollarsi dopo le inondazioni del giugno scorso, durante le quali il fiume Gave aveva allagato anche la grotta di Massabielle.

Nella prima stazione, la scrittrice si sofferma sulla folla che si lascia galvanizzare dal “Crucifige!”. Una folla che è la stessa di oggi, anche a causa della comunicazione telematica, la cui rapidità spesso annichilisce la coscienza, e allora «basta una parola distorta, un fatto manipolatore, per far divampare le fiamme da un lato all’altro della Terra». E l’unica cosa che la moltitudine sa chiedere è il sangue, la giustizia a buon mercato. Mentre le tre cadute di Gesù sotto il peso della croce fanno pensare al mondo che «è scivolato in un’arrendevole banalità», al nostro prostrarci, illusi di essere liberi, agli idoli del potere, del sesso e della tecnica. La scena del Golgota arriva però a indicarci che la via dell’innocenza è quella del distacco e della nudità.

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