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Giusy Barraco e la svolta di #Lourdes

Giusy e il furto della carrozzina: «Era le mie gambe e i ricordi più belli»

La campionessa paralimpica di nuoto Giusy Barraco: «Fa parte di me, l’ho usata alle mie nozze, ci ho danzato e l’ho usata in teatro. Avermela tolta è un atto violento. Ma resto ottimista e continuo a sperare»

Nota di tonyassante.com: Esprimiamo piena condanna verso un atto cosi riprovevole e odioso. Siamo tutti con te Giusy. Speriamo di rivederci presto (magari a Lourdes)

«Mi hanno tolto le gambe. Per la seconda volta. La prima è stata la malattia a farlo. Ora invece la colpa è di quei delinquenti che mi sono entrati in casa e mi hanno rubato la carrozzina». Giusy Barraco è stata una campionessa paralimpica di nuoto, è salita su un palcoscenico teatrale per raccontare la sua storia, proprio su quella sedia a ruote ha iniziato a danzare, si è innamorata e sposata, ha viaggiato dentro e fuori dall’Italia. Insomma, una vita piena di interessi e impegni, sempre muovendosi grazie a quel mezzo indispensabile: «Per me e tutti coloro che hanno problemi a utilizzare le gambe è uno strumento prezioso. Fa parte di noi, quasi un prolungamento del nostro corpo».

Ricordi e affetti

Ecco perché è arrabbiata con chi le ha tolto un ausilio fondamentale, ma anche ricordi e affetti: «Su quella carrozzina mi sono sposata, ci ho danzato, la ho uata in teatro. Avermela rubata è come aver compiuto un atto violento su una persona. E pensare che quando ero giovane la rifiutavo, avevo vergogna a usarla». Giusy ha 41 anni, è nata in Sicilia, dove vive, a Petrosino, in provincia di Trapani. Una donna forte, temprata anche dallo sport, dove ha ottenuto grandi risultati, che mette passione in ogni cosa che fa. Ma non sempre è stato così: «Quando ero giovane ci sono stati periodi in cui ho pensato che fosse meglio morire».

Una patologia rara

Una patologia rara che non sempre viene riconosciuta le ha segnato la vita. La malattia di Charcot-Marie-Tooth, più semplicemente Cmt, è una neuropatia genetica ereditaria, che colpisce circa una persona ogni 2500. Interessa i nervi del controllo del movimento e sensoriali. Le difficoltà che determina spesso sono sottovalutati. Anche da famiglia e amici, oltre che da operatori sanitari per la diagnosi. Tra i sintomi vi sono inciampi e affaticamento, difficoltà di movimento con debolezza e una specie di sensazione di bruciore a mani e piedi con perdita di sensibilità.

I viaggi della speranza

Una malattia «invisibile», insomma: «Avevo 4 anni e mi sono svegliata con febbre alta e vomito. I problemi iniziarono lì. Andai avanti così sino a 11 anni. Cadevo, non riuscivo a tenere in mano gli oggetti. Ma non capivano cosa avessi». Sono cominciati i viaggi della speranza con papà Francesco e mamma Grazia: «Benedetti loro. Ogni volta però era una pugnalata quando mi dicevano che non vi era nulla da fare. All’età in cui le mie amiche avevano il ragazzino, io mi nascondevo in casa».

La svolta di Lourdes

La svolta con un viaggio a Lourdes, quando aveva 15 anni: «Mica ci volevo andare, ero arrabbiata con Dio. Eppure, lì ho cambiato il mio atteggiamento. Mi dissi: ho due scelte, o prendo la mia vita in mano o mi lascio morire». Decisivo anche l’ingresso al Centro Nemo Sud di Messina, più che una clinica, legato alla Unione Lotta alla Distrofia Muscolare: «Pensavo di trovarmi in un ospedale. Sono stata accolta con amore e gioia, come in una famiglia». Ha deciso di raccontarsi anche a teatro, in uno spettacolo che ha girato la Sicilia, «Pina Volante» di Giacomo Bonagiuso. O di mettersi in mostra in un libro che uscirà a primavera, «Diverrai diamante. Racconti in fotografia di donne, disabilità e diritti» con immagini di Sergio Santinelli. Si è allenata ed è diventata campionessa di nuoto, vincendo anche titoli italiani: «Specialità dorso, mi permette di guardare il cielo. In acqua ho ricominciato a camminare». Soprattutto, ha trovato l’amore: «Giuseppe è il mio angelo, ci siamo sposati due anni fa. Spesso si pensa che una donna con disabilità non abbia sogni e desideri come tutte. Che bello sarebbe poter avere un figlio». Qualche tempo fa un aborto è stato un altro grande dolore.

Il dolore e la speranza

I ladri hanno colpito nella casa al mare mentre era a Firenze per capire se potesse ancora affrontare una maternità: «Lì non c’erano cose preziose, hanno rubato solo quella carrozzina. Non capendo quanto possa essere importante. Ma non mi fermerò. Lotterò, come sempre. Perché ho una vita. E non mi arrenderò. Non la darò vinta a questa malattia. Mai».

di Claudio Arrigoni per corriere.it

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