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Andrò a Lourdes per ringraziare

Sequestro Caylyn, le violenze dei pirati
«Urla e torture: mia mano ridotta in pezzi»

PROCIDA – I marittimi della Savina Caylyn hanno telefonato ai familiari. Conversazioni brevi, ma intense, piene di commozione e tanta gioia. Parole da cui insieme al desiderio del ritorno, al più presto, nel porto tranquillo della famiglia, affiora prepotente il sapore della riconquistata libertà.

Dolori, stenti, sevizie subite nei 317 giorni di prigionia sembrano scomparsi, soprattutto è tanta la voglia di dimenticare e di pensare al futuro. Non ne parlano, i marittimi, della brutta avventura appena finita, dicono che stanno bene, che ardono dal desiderio di riabbracciare i loro cari al più presto. Ma qualcosa viene a galla. Al di là dei tormenti psicologici, delle ferite incancellabili impresse nel cuore e nella mente di ognuno di loro, ci sono tracce fisiche visibili dei giorni passati da ostaggio.

«Mio marito Antonio – dice Tina Verrecchia, la moglie del direttore di macchine della nave – mi ha confessato che ha una mano che riesce a muovere a stento. È piena di lividi e gonfia. Non dimentichiamo – prosegue la signora – che nel corso della prigionia egli ha subito una serie di torture. È stato varie volte picchiato, legato mani e piedi per lunghi giorni sul ponte. A novembre ha rischiato addirittura di rimetterci la pelle.

Un malore dopo le botte subite se lo stava portando all’altro mondo. Poiché si erano esaurite le scorte di gasolio, i pirati pretendevano che lui, responsabile delle macchine, risolvesse le difficoltà che il fatto comportava nella vita di bordo. Pesanti maltrattamenti li ha subiti anche in occasione di un monitoraggio effettuato dagli elicotteri. I pirati urlavano e picchiavano senza pietà».

La signora Verrecchia oggi è contenta, ma l’ombra delle sofferenze del marito non la abbandona, scuote la testa, morde le labbra quando ne parla. «Lui ha cercato di minimizzare – prosegue – ma la sensazione mia e dei nostri figli è che fosse stanco e sofferente. Mi ha detto ad un certo punto che dopo aver dormito per terra, senza cuccetta, per mesi, con le ossa, muscoli e giunture doloranti, ora sono costretti a scendere e a salire a piedi dalla sala macchine perché ancora non funzionano gli ascensori. Infatti era affaticato e affannato. Comunque, il brutto è passato, ora aspettiamo con ansia il suo ritorno a casa per abbracciarlo. Il calore della famiglia gioveranno ad anima e corpo».

A Procida le telefonate hanno riportato il sereno nelle famiglie del comandante Giuseppe Lubrano Lavadera e del terzo ufficiale di coperta Enzo Guardascione. Ninuccio e Liberina, i genitori del comandante, sono raggianti.

«Quando Peppino ha chiamato – racconta mamma Liberina – le prime parole che ha detto alla figlia erano sulla riacquistata libertà. Tu ti chiami Libera, come mia mamma – ha detto – ora anch’io sono libero! Devo ringraziare la Madonna – conclude la signora – per questo miracolo, andrò a Lourdes per ringraziare la Vergine che ha fatto tornare a casa mio figlio, l’ho tanto pregata e sono certò che da lassù ha ascoltato la voce di una mamma, Lei, la protettrice di tutte le mamme». Ninuccio, il papà, marittimo in pensione, ha conversato col figlio dei problemi tecnici che ora la petroliera accusa.

«Comunque l’ho sentito stanco e provato. È dimagrito parecchio, i militari della nave Grecale sono saliti a bordo portando cibo, acqua, biancheria e medicine. Hanno anche aiutato a riparare un’avaria della petroliera».

A casa Guardascione, il terzo ufficiale, il telefono ha squillato in serata: «Dopo aver salutato noi genitori e la sorella – dice la mamma Teresa Costagliola di Fiore – ha parlato a lungo con i nipotini. Ha promesso loro di portarli a pesca e a far volare gli aquiloni sulla spiaggia». Anche a Trieste, nella famiglia di Eugenio Bon, il primo ufficiale di coperta, tira aria di festa. «Mio figlio – dice mamma Elisabetta – è di poche parole. Ci ha rassicurato del suo stato di salute, ma il cuore di mamma l’ha sentito esausto, quasi prostrato. Giovedì prossimo, comunque, terremo in piazza dell’Unità d’Italia una grande manifestazione per comunicare la nostra gioia e ringraziare la comunità triestina. Ci saranno anche molti pescatori procidani che da anni vivono a Trieste».

A questo punto, la speranza è che i marittimi possano tornare a casa al più presto. Ieri, il maltempo che da qualche giorno flagella le coste somale ha allentato la sua morsa, consentendo all’equipaggio di effettuare il rifornimento di carburante. Già oggi, la petroliera potrebbe salpare alla volta di Fujairah. Uno spostamento che dovrebbe durare nove giorni, visto che la Savina viaggia a velocità ridotta a causa delle incrostazioni sulla carena. Una volta giunti negli Emirati, poi, i marittimi dovranno attendere altri tre o quattro giorni per rientrare in Italia.

Domenico Ambrosino – Ciriaco M. Viggiano

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