LA STORIA MERAVIGLIOSA DI MARIA CRISTINA OGIER
E’ vissuta soltanto 19 anni, tormentata da sofferenze atroci, sopportate con fede cristiana e combattute con un’intensa attività di volontariato. E’ in corso il processo della sua beatificazione.
L’8 gennaio di 44 anni fa a Firenze moriva Maria Cristina Ogier, una ragazza di 19 anni, stroncata da un tumore al cervello.
L’anniversario, come ogni anno, è stato celebrato nella basilica di San Miniato al Monte, sopra Firenze, e per la circostanza sono arrivati devoti e ammiratori da ogni parte d’Italia e anche dall’estero. E questo perché Maria Cristina era una ragazza speciale. Nel breve corso dei suoi 19 anni, vissuti nel morso della malattia mortale, era stata un vulcano travolgente di attività caritative e sociali, volute e realizzate con un unico scopo: l’amore per gli altri, soprattutto per i poveri e per i sofferenti, suggerito dal suo amore per Gesù.
A Firenze, nei giorni scorsi, gli amici e le persone che l’avevano conosciuta hanno ricordato questa meravigliosa ragazza, di è in corso il processo di beatificazione.
Era bella, ricca, simpatica, intelligente. Figlia del professor Enrico Ogier, celebre personalità medica, primario di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale Carreggi di Firenze e docente di patologia ostetrica all’università. Aveva davanti a sé un avvenire dorato. Per gli estranei era la ragazza più felice e più fortunata di Firenze. In pubblico si presentava sempre con il volto radioso e una gran voglia di vivere. Ma, sotto quel sorriso incantevole nascondeva il terribile dramma della malattia mortale.
Trascorse la sua breve esistenza terrena sopportando in modo eroico le sofferenze provocate del male e dedicandosi a una intensa attività caritativa a favore dei poveri. Stupiva e affascinava tutte le persone che la avvicinavano.
E continua a suscitare ammirazione e amore in tutti coloro che vengono a conoscenza della sua storia.
Non conobbi personalmente Maria Cristina quando era in vita. Me ne parlò subito dopo la sua morte, un amico, monsignor Roberto Setti, che era allora abate mitrato della basilica di San Lorenzo, parrocchia della ragazza. Mi telefonò il giorno dopo i funerali dicendomi: <<Vieni subito. Qui c’è una storia che devi raccontare. La storia di una ragazza meravigliosa. Ero il suo confessore e conoscevo tutto di lei. Ma non avrei mai immaginato che la sua bontà fosse così grande. Ho cominciato a capirlo solo il giorno dei funerali. Non avevo mai visto tanta gente. La basilica e il piazzale erano zeppi di persone al punto che sembrava ci fosse una manifestazione politica, non una funzione religiosa. Era gente venuta da tutta la Toscana. La maggior parte, poveri. Tutti piangevano, tutti avevano qualche cosa da raccontare e si cominciò così a sapere l’immenso bene che Maria Cristina aveva fatto>>.
E fu monsignor Setti a portarmi in casa dei genitori della ragazza. Restai con loro un’intera giornata raccogliendo, tra ricordi e lacrime, un ritratto estremamente vivo e commovente. Un ritratto che pubblicai sul settimanale “Gente” alla fine di febbraio 1973 e dal quale voglio trarre alcuni spunti, estrapolati soprattutto dal racconto della madre, la signora Gina Ogier. Un ricordo il suo, ancora sanguinante, ma lucido, vivissimo, che fotografava in modo sconvolgente la bellezza spirituale di Maria Cristina e che resta un documento impareggiabile. Lo ripropongo così, come allora lo scrissi, ricavandolo dalla lunga conversazione che avevo registrato.
<<Quando nacque>>, mi raccontò la signora Gina Ogier, <<io e mio marito eravamo le persone più felici del mondo. Eravamo sposati da quattro anni e avevamo molto desiderato un figlio. Alla nascita la piccola pesava 4 chilogrammi e mezzo ed era bellissima. I medici e le suore della clinica la chiamavano “miss maternità”.
<<La nostra felicità durò fino al 1959. Nell’estate di quell’anno Maria Cristina cominciò a zoppicare. Era un disturbo lieve, ma noi, preoccupatissimi, consultammo medici e specialisti e, dopo una lunga serie di visite e di esami clinici, arrivò la tragica risposta: Maria Cristina aveva un tumore al cervello. Per un po’ di tempo mio marito tentò di nascondermi la verità, ma poi mi disse tutto e allora cominciò il calvario.
<<Nel 1960, portammo Maria Cristina in Svezia, dal professor Olivecrona. Si sperava che il famoso chirurgo del cervello potesse fare un intervento. Visitò con cura la bambina, poi disse che non si poteva fare niente. Il tumore era al centro del cervello ed era impossibile raggiungerlo chirurgicamente. Una operazione avrebbe potuto provocare la paralisi totale. Era meglio attendere il decorso della malattia. “La bambina vivrà poco”., disse. Tentò ugualmente un intervento che avrebbe dovuto portare un beneficio temporaneo.
<<Io e mi marito adoravamo nostra figlia. Vedendola in quelle condizioni, senza poterla aiutare, provavamo un dolore indescrivibile. A volte pensavamo di impazzire. Ma Maria Cristina ci ha sempre fatto coraggio, aiutandoci a sopportare le sofferenze, altrimenti saremmo morti di dolore.
<<All’inizio, Maria Cristina diceva di avere sempre dei fortissimi dolori di testa. Dopo l’intervento del professor Olivecrona però, ci fu un miglioramento. Mia figlia recuperò quasi completamente l’uso della gamba. La mano, invece, restò debole: dovette imparare a scrivere con la sinistra.
<<Passato qualche mese, fece un cambiamento improvviso e radicale. Cominciò a interessarsi dei poveri e degli ammalati. Le attività assistenziali diventarono lo scopo della sua esistenza e da allora non siamo più stati in grado di sapere se soffriva o meno. Non si lamentava mai. Offriva le sue sofferenze a Dio e sorrideva sempre. Solo quando le sofferenze erano atroci non riusciva a nasconderle. Allora si contorceva nel letto, sbattendo la testa da una parte all’altra in cerca di sollievo.
<<Niente di tutto quello che Maria Cristina aveva cominciato a fare era frutto del nostro insegnamento. Io e mio marito siamo sempre stati cattolici, ma una volta non eravamo molto ferventi. Si andava alla messa ogni tanto, non ci si preoccupava dei problemi spirituali, il prossimo per noi era un estraneo. Il nuovo comportamento di nostra figlia un po’ ci sorprese ma, conoscendo le sue condizioni di salute, cercavamo di distrarla e facevamo di tutto per accontentare i suoi desideri.
<<Fin da piccola, Maria Cristina era molto vivace. Amava lo sport, era una brava nuotatrice. Le piaceva il mare, la montagna. Durante gli anni del liceo, cominciò ad amare il teatro, la musica, andava spesso all’opera e conobbe diversi artisti. Era intelligente e studiava molto. Ha dato la maturità con un anno di anticipo e a pieni voti. Si era iscritta a medicina, perchè voleva diventare medico, come suo padre. Ma accanto a tutto questo aveva ideali di bontà, dei quali né io né suo padre le avevamo mai parlato. Nella sua vita c’è sempre stato un qualche cosa di misterioso che non sono mai riuscita a capire.
<<Il primo episodio che mi sorprese, accadde nel 1961. Maria Cristina aveva sei anni. Poiché era ammalata e poteva morire improvvisamente, chiesi al parroco, monsignor Giancarlo Setti, di metterla alla Comunione. Il parroco fu comprensivo, preparò personalmente la bambina. Maria Cristina era molto felice e una settimana prima della festa, mentre provava l’abito bianco che avrebbe indossato alla cerimonia, mi disse: “Il vestito bianco lo voglio: devo essere bella perchè ricevo Gesù; ma non voglio regali. Dì alle zie, agli zii e ai nonni che invece di regali mi diano dei soldi, così li posso portare ai bambini poveri”. Restai male. Sapevo che i parenti adoravano la mia bambina e per quella festa volevano farle tanti regali. Cercai di farle cambiare idea. Le dissi che le avrebbero fatto dei regali e poi dato dei soldi, ma non riuscii a convincerla. Voleva solo soldi per i bambini poveri. Andai dal parroco e gli chiesi se era stato lui a dire quelle cose a Maria Cristina ma anch’egli restò meravigliato perchè non aveva mai parlato di quell’argomento.
<<Qualche mese dopo accadde un altro episodio inspiegabile. Una mattina Maria Cristina mi disse: “Questa notte ho sognato Gesù. Sono entrata in chiesa e il grande crocifisso sull’altare si è svegliato. Mi ha detto: ‘Maria Cristina, vuoi togliermi i chiodi e la corona di spine?’. Io ho fatto tutto quello che voleva e poi l’ho preso per mano e l’ho accompagnato a casa nostra e l’ho messo a letto. Gli ho dato anche il pigiama perchè era nudo. Lui allora mi ha detto: ‘Ora vai, sei guarita’”.
<<Anche quella volta restai sconcertata. Raccontai il fatto a mio marito e mi disse di lasciar perdere. Probabilmente erano fantasie di bambini. Cercavo di dimenticare, ma la speranza di una madre si aggrappa a tutto. In quei giorni Maria Cristina era molto migliorata, sembrava guarita. Il professore di Stoccolma ci aveva detto che dopo il suo trattamento le cose sarebbero andate meglio, ma io speravo che quel miglioramento fosse provocato da un miracolo, non dalla medicina. Anzi, speravo che non fosse un miglioramento, ma la guarigione.
<<A settembre portai la bambina a Lourdes e pregai molto. Passò un anno, Maria Cristina stava bene, avevamo quasi ritrovato la felicità, ma una mattina la bambina mi chiamò nella sua cameretta e mi disse: “Mamma, ho sognato ancora Gesù. Mi ha chiesto di portare la croce insieme con lui per salvare il mondo”. Impaurita, le domandai piangendo: “E tu che cosa gli hai risposto?”. Con un sorriso dolcissimo la bambina disse: “Gli ho detto di sì. Se avessi visto la sua faccia gli avresti detto di sì anche tu”. Pochi giorni dopo ricominciò a zoppicare e la malattia riprese il suo terribile corso. Da quel giorno Maria Cristina non si è più lamentata del male. Ha cominciato a vivere solo preoccupandosi di aiutare gli altri ed è sempre apparsa felice, contenta.
<<Praticamente si era messa a vivere per gli altri. Tutti i suoi risparmi li dava ai poveri. Quando incontrava un povero per la strada, gli dava tutto quello che aveva, si fermava a chiacchierare, lo accarezzava. Io sono schizzinosa e la rimproveravo. “Maria Cristina”, dicevo “fa pure la carità ai poveri, ma non è necessario che tu ti fermi a parlare e non devi toccarli. Sono sporchi, puoi prendere delle malattie”. Lei mi rispondeva: “Mamma, i poveri sono tanto soli. Non hanno bisogno soltanto di denaro, ma soprattutto di affetto”.
<<Quando divenne più grande cominciò ad andare a visitare i vecchietti nei ricoveri. Li lavava, imboccava i paralitici, comperava indumenti, restava con loro a chiacchierare. Quando era lontana, scriveva lettere, cartoline perchè non si sentissero soli.
<<A sedici anni le comperai una pelliccia. Soffriva il freddo e con la pelliccia stava ben calda. La portava sempre, durante l’inverno. Lo scorso anno le dissi: “Questa pelliccia l’hai sempre addosso ed è un po’ sciupata; te ne compero un’altra più bella che metterai nei giorni di festa”. Rifiutò energicamente. Disse che avrebbe accettato un’altra pelliccia quando quella che possedeva si fosse ridotta in brandelli. Poi aggiunse: “Se hai proprio deciso di spendere quei soldi per me, dammeli: mi servono per i poveri”.
<<Preoccupata per la sua salute, la portavo da un santuario all’altro pregando per ottenere un miracolo. Maria Cristina mi seguiva obbediente, ma non ha mai pregato per la propria guarigione. Spesso glielo chiedevo con le lacrime agli occhi: “Domanda la grazia alla Madonna”, dicevo. E lei rispondeva: “Mamma, ci sono tante persone che soffrono molto più di me: bisogna pregare per loro”.
<<Ogni anno andavamo a Lourdes. Durante quei viaggi, Maria Cristina scoprì il lavoro delle crocerossine che accompagnano gli ammalati e volle diventare una di loro. Era la crocerossina più giovane del mondo. Era felice di dedicarsi ai sofferenti. Riusciva a infondere nel loro animo tanta rassegnazione, tanta bontà. Durante i viaggi sul treno non si stancava mai di correre, ai aiutare, di pregare, di consolare. Gli ammalati più difficili e più bisognosi erano i suoi prediletti. Non aveva ribrezzo neanche per le piaghe più orribili che facevano impressione anche ai medici. Comperava immaginette, cartoline che scriveva alle famiglie dei suoi ammalati. Io, che sapevo come faticava con la sua mano e la sua gamba semiparalizzate, ogni tanto le dicevo: “Cristina, riposati un poco”. Lei rispondeva sorridendo: “Hanno bisogno di me”. Mi accorgevo della fatica fatta e dei sacrifici affrontati alla sera, quando vedevo i suoi piedi gonfi, che avevano le vesciche per il continuo camminare.
<<Nel 1970 venne a Firenze un cappuccino, padre Pio Conti. Era medico e prima di partire missionario per l’Amazzonia voleva specializzarsi in ostetricia e ginecologia. Studiava con mio marito e veniva spesso a casa nostra. Parlando con padre Pio, Maria Cristina scoprì le missioni e cominciò a interessarsi anche di queste raccogliendo offerte e medicinali.
<<Terminata la specializzazione, padre Pio andò in Amazzonia. Dopo qualche tempo scrisse una lettera parlando del suo apostolato. Aveva una missione difficile. Il territorio era vastissimo: 500 chilometri lungo il Rio delle Amazzoni. L’unico mezzo di comunicazione era il fiume, che gli Indios percorrevano con le canoe. Nella foresta c’era un piccolo ospedale ma serviva a poco. Gli ammalati gravi, i feriti, i lebbrosi potevano raggiungere l’ospedale solo attraverso il fiume, con la canoa. Il viaggio era lungo e disagiato, spesso gli ammalati morivano prima di arrivare dal medico. “Bisognerebbe avere una imbarcazione attrezzata”, concludeva padre Pio.
<<Era una frase buttata lì, per caso, ma nella mente di Maria Cristina nacque immediatamente il desiderio di aiutare quella povera gente. Parlò con una amica, Maria Laura Tonelli. Cominciò a interessarsi di barche, fece calcoli pensando alla spesa necessaria. Voleva un battello attrezzato con un pronto soccorso, una specie di ospedale viaggiante.
<<La spesa era molto grossa, ma Maria Cristina non si perse d’animo. Cominciò la sua campagna e per quasi due anni lavorò infaticabile. Raccoglieva soldi dappertutto. Scriveva lettere ad amici, a enti, ai giornali. Aveva messo delle cassette per le offerte nello studio di suo padre, nell’ospedale, nella clinica, nei negozi degli amici. Se qualcuno si offriva di farle un regalo, lei chiedeva soldi per la barca da mandare in Amazzonia. Alla sera si attacca al telefono e non la smetteva mai. Telefonava anche fino a notte fonda. Io le dicevo: “Maria Cristina, devi moderarti. Diventerai la favola di tutta Firenze. Non devi importunare la gente in questo modo”. Come sempre, lei rispondeva con un gran sorriso e continuava il suo lavoro. Il suo entusiasmo contaminava tutti. La gente, invece di scocciarsi, restava affascinata da quello che sapeva dire quella ragazzina.
<<Ogni giorno partivano decine di lettere. Per raccogliere offerte furono organizzati concerti. Nelle fabbriche e nei forni i ceramisti si tassavano. Qualche commerciante chiedeva offerte ai suoi clienti. Finalmente la somma fu raggiunta. Bisognava fare l’acquisto.
<<A questo punto Maria Cristina trovò l’appoggio di un altro amico: Bruno Lorenzini, un portuale di Livorno: un gigante dal cuore tanto buono. Lorenzini fu conquistato dall’entusiasmo di Maria Cristina e si schierò con lei. Andarono a Fiumicino a comprare la barca. Lorenzini è un uomo del mestiere e la consigliò. Comperarono una barca lunga dieci metri, dotata di motore diesel. Fu attrezzata con ambulatorio pronto soccorso, posti letto per trasporto di ammalati. Lorenzini riuscì ad avere l’aiuto degli altri portuali e la barca fu trasportata gratuitamente da Fiumicino al porto di Livorno dove ottenne l’esenzione della dogana; dall’armatore Costa, riuscì ad avere il massimo della riduzione per il trasporto in Amazzonia. Il 21 febbraio 1973 la barca partì. Quel giorno, al porto di Livorno, Maria Cristina era felicissima. Forse quello fu uno dei giorni più belli della sua vita.
<<A ottobre cominciò a star molto male. Decidemmo di tornare a Stoccolma per un altro tentativo, ma fu un viaggio inutile. In novembre iniziammo una cura a Roma. Trascorrevo gran parte della settimana a Roma, in casa di parenti. Maria Cristina non riusciva più a stare in piedi da sola. Si trascinava per qualche metro appoggiata a me e soffriva, ma non si lamentava.
<<L’otto gennaio era stato un giorno normale. Avevo accompagnato Maria Cristina da parenti. Alle 6.30 di sera eravamo andati a messa e avevamo fatto la Comunione, come sempre. Poi eravamo rientrati. Maria Cristina si è seduta a tavola e si è girata verso di me. Mi ha guardato un attimo, con un’aria smarrita, mi ha gettato le braccia al collo ed è rimasta fulminata da una paralisi bulbare.
<<La mattina seguente la portinaia mi portò quattro ricevute di vaglia che aveva eseguito per conto di mia figlia. Poche ore prima di morire, Maria Cristina aveva fatto le sue ultime offerte: 100 mila lire in Amazzonia per le medicine e la benzina del battello; 10 mila a un Istituto di ragazzi spastici; 2000 lire alla città dei ragazzi vicino a Roma; 1000 lire al santuario della Madonna di Fatima di un paese toscano.
<<C’era un’altra opera che mia figlia sognava di poter realizzare. Diceva spesso: “Ai bambini ci pensano tutti, ma i vecchi sono i più dimenticati”. Soffriva quando andava nei ricoveri vedendo quelle persone anziane un po’ sperdute in ambienti estranei e poco accoglienti. Diceva che bisognava trasformare i ricoveri in piccole case, che fossero come famiglie per i vecchi soli e abbandonati. Aveva già un progetto. Voleva cominciare con una casa-famiglia a Firenze, ma parlava con i suoi amici per estendere l’iniziativa in altre città.
<<Su questo proposito, il 19 febbraio 1973 aveva scritto a un suo amico infermo: “Ieri sera, quando sono venuta a trovarti, mi hai fatto tanta pena. Eri solo, e ieri era domenica, il giorno in cui io desidero divertirmi e gioire di quella vana felicità che ci può offrire la vita. Per te e per gli altri ammalati l’esistenza è sempre uguale. Non ci sono che i viaggi a Lourdes a rompere la monotonia, non c’è una domenica di pausa nella vostra sofferenza. Fin da quando vi ho incontrato la prima volta, ho cominciato a pensare di farvi una piccola casa di riposo, una vera “casa” di riposo. E’ venuto il momento di attuare il piano. Dopo gli esami di maturità comincerò a darmi da fare. Non temere, riuscirò”.
<<La casa di riposo per le persone anziane era il suo sogno>>, conclude il racconto la signora Gina Ogier. <<Maria Cristina non ha potuto realizzarlo, ma dopo la sua scomparsa mi sono sentita chiamata in causa. Io non sono Maria Cristina, non ho la sua fede e la sua forza, ma sento che devo continuare la sua opera. Mio marito ha lo stesso desiderio. Mi ha detto: “La mia vita ora ha un solo scopo: realizzare il sogno di Maria Cristina per i suoi ammalati. Metteremo tutte le nostre sostanze in quest’opera”>>.
E così è accaduto. I coniugi Ogier hanno vissuto il resto della loro vita impegnati a realizzare i sogni di Maria Cristina. Il professor Enrico Ogier è morto il 9 aprile 2013; sua moglie, Gina, lo ha raggiunto in cielo due anni dopo, il 26 ottobre 2015. E nel ricordo della loro figlia, con l’aiuto di molte persone che l’avevano conosciuta, hanno contribuito a far sorgere numerose iniziative caritative. Nel 1975 è stato realizzato il “Centro di Aiuto alla Vita Maria Cristina Ogier”, a Firenze ; sempre nel 1975, il “Reparto per Coniugi Anziani” a Empoli;
nel 1976, “Casa Famiglia femminile” a Firenze; nel 1983, “Casa Famiglia maschile”, a Firenze; nel 1999, “Casa Escola Maria Cristina Ogier” a Teresina (Brasile); nel 2003 “Centro di accoglienza orfani e infanzia disagiata”, a Minsk (Bielorussia); nel 2009 “Day Hospital”, all’Ospedale S. M. Nuova, a Firenze; nel 2011, “l’ Associazione Vivo sognando il paradiso di Maria Cristina Ogier” , a Contursi Terme (SA); eccetera, eccetera. E tutte queste iniziative sono coordinate da una attivissima Associazione con sede a Firenze, che porta il nome della ragazza.
Renzo Allegri