La gloriosa e dolorosa storia di uno dei più grandi direttori d’orchestra nel racconto della figlia Eliana
Come milioni di italiani, trascorro le giornate chiuso in casa. Ore ed ore nel mio studio. Ho una grande finestra che guarda verso un bosco. Il verde sbiadito, bruciato dal freddo, non mi conforta.
Mi manca la possibilità di passeggiare a piedi, camminando in modo sostenuto, con il mio cane a fianco. Era la mia ginnastica quotidiana. Tento di conservare l’abitudine percorrendo decine di volte un marciapiede di circa 70 metri dentro il giardino.
E questo esercizio mi ha fatto venire in mente un grande direttore d’orchestra: Victor de Sabata (1892-1967). Non l’ho conosciuto personalmente, ma ho letto molto di lui, ho ascoltato le sue poche incisioni, ho incontrato spesso il suo nome scrivendo di altri personaggi del mondo musicale. E nel 1983, lavorando a un articolo, ho conosciuto sua figlia, Eliana, che mi ha parlato a lungo di suo padre.
Il ricordo di De Sabata mi è tornato alla mente questa mattina mentre percorrevo e ripercorrevo quel breve tratto di marciapiede del giardino, perché anche lui fece una esperienza del genere, negli ultimi anni della sua vita. Dopo un’esistenza di successi e soddisfazioni artistiche, 24 anni alla direzione della Scala di Milano, si era ammalato. Non poteva più dirigere. Si sentiva finito ed era profondamente depresso.
<<Aveva lasciato i suoi impegni di direttore d’orchestra>>, mi ha raccontato la figlia Eliana. <<Aveva scelto di vivere a Santa Margherita per il clima, ma anche per stare lontano da tutti. Non volle avere una casa, alloggiava in due stanze d’albergo. Si era portato il pianoforte, il violino e una montagna di libri.
<<Il medico gli aveva ordinato di camminare per almeno 5 chilometri al giorno. Ma lui non voleva farsi vedere per la strada. Anche perché, causa un attacco di poliomielite avuto da bambino, zoppicava leggermente. Così, per obbedire agli ordini del medico era ricorso a uno stratagemma suo personale. Aveva misurato i lati e le diagonali della stanza più grande, calcolando quanti giri erano necessari per coprire la distanza di cinque chi¬lometri, e ogni giorno compiva quell’incredibile rito da Lager>>.
De Sabata è stato un grande musicista. Uno dei più importanti della vita musicale europea della prima metà del Novecento. Un maestro eccelso, che ha lasciato un segno forte nella storia, come direttore d’orchestra, come compositore e anche come persona. Purtroppo, poco ricordato da questo nostro mondo chiassoso e superficiale.
Figlio di un direttore di cori, cominciò a studiare musica da bambino. Era considerato un “bambino prodigio”. A quattro anni sapeva suonare il pianoforte; a nove frequentava il Conservatorio di Milano nella classe di composizione: i suoi compagni erano persone adulte, con barba e baffi, ma lui era il migliore di tutti. A 11 anni diresse il suo primo concerto.
Aveva un’intelligenza sbalorditiva. Insieme al pianoforte, studiava il violino, il violoncello, l’arpa e altri strumenti, riuscendo benissimo in tutto. La sua memoria musicale era prodigiosa. Poteva suonare al pianoforte qualunque musica dopo averla ascoltata una sola volta.
Nonostante fosse stato colpito dalla poliomielite che gli aveva offeso una gamba, era anche uno sportivo scatenato. Praticava il nuoto e andava a cavallo. Diverse volte si ruppe la gamba offesa, ma appena guarito riprendeva le sue spericolate acrobazie sportive.
Dopo essersi diplomato al Conservatorio di Milano nel 1910, Victor De Sabata si trasferì a Montecarlo, dove suo padre era direttore del coro del teatro dell’Opera, e iniziò una vita di studio intenso, dedicandosi soprattutto alla composizione. Scrisse Suite orchestrale, La notte di Platon, 11 macigno, Juventus, Gethsemani e altre opere. Ogni sua composizione veniva subito inserita nei programmi dei maggiori teatri, compreso la Scala.
«Il sogno di mio padre era fare solo il compositore», mi raccontò la figlia Eliana in quella lunga intervista del 1983. «Fu Toscanini a fargli cambiare idea. Aveva diretto Juventus alla Scala, ed era rimasto stupito del talento di mio padre. Gli scriveva e gli telefonava continuamente. Mio padre a sua volta si entusiasmò per Toscanini. Per imitarlo, cominciò a dirigere anche lui. Nel 1918 divenne primo direttore all’Opera di Montecarlo, rivelandosi grandissimo interprete. Ravel lo volle per la prima esecuzione del suo L’enfant et les sortilèges; Strauss gli affidò la concertazione di Salomé; Giordano, ascoltandolo interpretare brani della sua Fedora, disse: “Questa mia musica non mi era mai sembrata così bella”. Toscanini lo volle alla Scala. Il successo fu strepitoso e gli impegni divennero continui. Già negli Anni ’20, mio padre era ritenuto uno dei giovani direttori di maggior talento a livello mondiale. Alla direzione d’orchestra dava tutto. Quando studiava una partitura stava giornate intere chiuso nello studio senza parlare con nessuno. Quando l’aveva sviscerata a fondo, non la guardava più. Tutte le note erano incise nella sua memoria. Non l’ho mai visto dirigere con lo spartito, neppure alle prove».
La carriera artistica di Victor De Sabata fu straordinaria. Dal 1918 al 1929 fu direttore del Teatro di Montecarlo. E nel 1929 venne chiamato a fare il direttore artistico alla Scala di Milano dove rimase fino al 1957. Ma il troppo lavoro, la sua sete di perfezione che lo portava a volere prove estenuanti, logorarono il suo fisico e nel 1953 fu colpito da un infarto. Aveva 61 anni.
Cominciarono i guai che avvelenarono l’esistenza di questo grandissimo artista. I quattordici anni che gli rimasero ancora da vivere furono dolorosi.
Le sue condizioni di salute provocarono inevitabili preoccupazioni anche ai dirigenti della macchina organizzativa del Teatro alla Scala. De Sabata, con i suoi 24 anni di attività eccelsa e intensissima, aveva portato il teatro milanese a un grado di perfezione ammirato in tutta Europa. I dirigenti del teatro sentivano la responsabilità dell’avvenire che si presentava incerto. Avrebbe potuto il maestro De Sabata continuare nel suo incarico in quelle condizioni?
Pochi mesi prima dell’infarto, De Sabata e la Scala avevano firmato un accordo con la casa discografica EMI per incidere tutto ciò che il maestro dirigeva nel teatro milanese. Il contratto era stato sollecitato da Walter Legge, leggendario produttore discografico, grande ammiratore di De Sabata. Il programma era ambizioso ed esteso. Si cominciò con Tosca, e un cast di interpreti stellare: Maria Callas, Giuseppe Di Stefano e Tito Gobbi. Risultato perfetto. Ma poco dopo il maestro ebbe l’infarto. Quell’incisione è rimasta l’unico documento di De Sabata interprete di opere liriche. La critica la ritiene ancor oggi la miglior Tosca della storia del disco.
La Scala teneva molto a quel contratto che le dava un prestigio internazionale. Ma era imperniato su De Sabata. Mancando lui, crollava tutto.
Gestire la situazione era diventato un problema delicatissimo. E i responsabili della Scala non sapevano che cosa fare. Scelsero di privilegiare soprattutto gli interessi del teatro.
«Fino al 1953 i rapporti di mio padre con la Scala furono ottimi>>, mi raccontò Eliana De Sabata. << E’ chiaro che dopo l’infarto mio padre non poteva più lavorare come prima e i dirigenti scaligeri decisero di metterlo in disparte. Non era facile, però, dare il ben servito a un artista della fama di mio padre, perché tutto il mondo musicale era lì pronto a giudicare. Per questo, il sovrintendente Antonio Ghiringhelli e gli altri dirigenti scaligeri cercarono di agire con astuzia: offrirono a mio padre, che era “direttore artistico” alla Scala, l’incarico di “sovrintendente artistico”. E mio padre, che aveva dato la vita per quel teatro, accettò volentieri, felice di potersi rendere ancora utile.
«Ma quelle dei dirigenti scaligeri erano promesse false. La nomina esisteva solo sulla carta; nella realtà mio padre non contava più niente, non veniva più consultato da nessuno. Coloro che avrebbero dovuto essere suoi dipendenti agivano come se lui non esistesse. Ghiringhelli gli aveva promesso un bell’ufficio, ma non glielo diede mai.
<<Mio padre sopportava tutto, pazientemente, sperando che la situazione cambiasse. Ma andava invece sempre peggio. Nell’estate del 1956 accadde un fatto che provocò molto dolore a mio padre e gli fece capire che la sua presenza alla Scala non era più gradita.
<<La Scala era in tournée allo Staatsoper di Vienna, teatro diretto allora da Von Karajan. In quel periodo il maestro austriaco aveva molti nemici a Vienna e aveva bisogno di un rilancio. Anche Ghiringhelli stava attraversando un periodo di difficoltà. Ad entrambi faceva gioco realizzare qualcosa d’importante, che desse loro prestigio. Decisero di stipulare un contratto per degli scambi di spettacoli tra la Scala e lo Staatsoper. A quel tempo, gli scambi erano una novità. Infatti, quando la notizia venne data ai giornali suscitò un vivo interesse.
«Mio padre era a Milano e apprese di quell’accordo leggendo il Corriere della Sera. Nessuno lo aveva interpellato né informato. Si adirò moltissimo. Fece immediatamente le valigie e se ne andò a Santa Margherita Ligure. Ghiringhelli, che temeva uno scandalo, lo raggiunse, scongiurandolo di star buono.
Papà non era il tipo da far scenate: se qualcuno gli faceva un torto, si chiudeva in se stesso. Anche in quell’occasione non fiatò. Si rifiutò di parlare con Ghiringhelli.
«Bisognava, però, giustificare di fronte al mondo l’at¬teggiamento di mio padre. I giornali si chiedevano perché De Sabata non era più alla Scala. Ghiringhelli non raccontò mai la verità. Approfittando delle ferie estive, il 15 agosto, quando le redazioni dei giornali sono quasi deserte, emise un comunicato striminzito in cui diceva: “Perdurando le condizioni di cattiva salute, il maestro De Sabata sarà sostituito nella direzione artistica della Scala da Francesco Siciliani”. Poi Ghiringhelli e Siciliani si recarono a Santa Margherita a scongiurare mio padre di accettare l’incarico di “consulente artistico a vita”. Ancora una volta mio padre accettò, ma solo per amore del teatro. Infatti, non volle più avere alcun le¬game con i dirigenti della Scala e rifiutò perfino lo stipendio a cui aveva diritto: dal 1956 in poi mio padre non volle più un soldo dalla Scala
<<Durante la guerra, aveva dato fondo a tutti i suoi risparmi. Dalla Scala non aveva avu-to né liquidazione né pensione. Non aveva neppure l’assi¬stenza mutualistica. Doveva pagare ospedali, medicine, visite specialistiche, che erano molto costose. Lo stipendio scaligero gli sarebbe stato molto utile. Ghiringhelli insistette per farglielo avere, ma mio padre non ne volle più sentirne parlare>>
Dopo l’infarto del 1953, De Sabata visse ancora 14 anni nella solitudine di Santa Margherita Ligure. Sognava sempre di tornare a Milano e riprendere il suo lavoro.
Tornò un paio di volte. Nel 1954, su insistenza di Walter Legge per incidere la “Messa da requiem” di Verdi per la EMI. Nel novembre 1956 tornò per dirigere il movimento lento dell’Eroica di Beethoven ai funerali di Guido Cantelli morto in un incidente aereo a soli 36 anni. E due mesi dopo tornò a dirigere lo stesso movimento per i funerali di Toscanini.
Walter Legge, che aveva una stima sconfinata per De Sabata, tentò in tutti i modi di fargli registrare altre opere. In una sua intervista dichiarò. “Gli ho dato infinite possibilità e andavo tre o quattro volte l’anno a trovarlo a Santa Margherita Ligure per convincerlo a registrare. Ero disposto a mandargli un’orchestra in quella cittadina perché potesse fare le prove quando voleva”. Ma De Sabata non accettò mai.
<<Mio padre visse quegli anni come un leone in gabbia>>, ricordava la figlia Eliana. << La musica era tutto per lui, e vedersi relegato all’inattività era un tormento terribile. Non parlava con nessuno. Mangiava in camera, per non vedere gente. Non voleva neppure che noi familiari andassimo a trovarlo. Mio fratello ed io gli facevamo visita lo stesso una volta al mese, e di tanto in tanto portavamo anche nostra madre.
<< So che andava tutti i giorni a fare delle passeggiate in macchina e si fermava su qualche panchina nei posti meno frequentati della città. Teneva sempre pronta in tasca una piccola partitura: se si avvicinava qualcuno, la tirava fuori e si metteva a studiare per impedire all’estraneo di attaccare discorso.
«Gli unici amici di mio padre in quei terribili anni di esilio volontario furono i gatti randagi e i piccioni. Ogni giorno portava loro del cibo. Aveva tutti i cappotti rovinati sulle tasche perché le riempiva di pane e di cartocci di avanzi. I gatti lo riconoscevano da lontano e gli correvano incontro. Così i colombi. Solo quegli animali potevano vederlo sorridere e sentire le sue confidenze.
«Nel 1967, all’inizio di dicembre, a Santa Margherita Ligure nevicò e la temperatura si fece rigida. Mio padre non volle rinunciare alle solite passeggiate per portare il cibo ai suoi amici animali. Prese freddo e gli venne un nuovo infarto, che gli fu fatale. Si spense 1’11 dicembre.
<<Da quando si era ammalato di cuore, leggeva tutto quello che riguardava i trapianti cardiaci. Diceva: “Sono certo che ci riusciranno”. Una settimana prima della sua morte, esattamente il 4 dicembre, a Johannesburg il dottor Christian Barnard aveva eseguito il primo trapianto di cuore. Mio padre era felice. Mi aveva telefonato: “Lo sapevo che ci sarebbero riusciti. Voglio farmi il trapianto anch’io”. Non si era mai rassegnato alla sua malattia e so¬gnava sempre di poter tornare a dirigere>>.
Renzo Allegri
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Molti anni fa fu organizzato un concorso per orchestre di giovani allievi dei conservatori.di Italia e il conservatorio di Benevento partecipò con l’orchestra del conservatorio Il concorso era in ricordo del Maestro Victor de Sabata.Fu un’esperienza molto interessante per molti allievi.Un incontro con tanti maestri che premiarono i nostri allievi con diversi premi .Leggendo adesso la biografia ne sono rimasta un po disorientata. Quanta poca riconoscenza è l’animo umano.