Andare a Santiago in compagnia del Parkinson

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…e per virili imprese,
per dotta lira o canto,
virtù non luce in disadorno ammanto

Sono le parole immortali di Giacomo Leopardi che mi tornano in mente durante la lettura del libro di Giuseppe Soro, Il mio cammino di Compostela: di tanto in tanto mi capita, in generale, di dissentire dal grande Recanatese, ma spesso si tratta più di una sensazione che di in qualcosa di argomentabile. Non questa volta, ché in mezzo a librerie di autori più o meno blasonati (si fa comunque per dire, eh) dei quali non si capisce cosa vogliano dire, càpita di trovarsi in mano un libro scritto “in disadorno ammanto”, senza perizia nell’arte scrittoria, ma in cui è chiarissimo cosa si voglia dire.

Giuseppe Soro è un ex dipendente dei trasporti pubblici laziali, in pensione da qualche anno, e naturalmente chiunque può scrivere un proprio diario di pellegrinaggio senza doversi giustificare con la targhetta “scrittore”, ma non è questo il motivo che l’ha indotto a pubblicare il suo testo: il Cammino è scenario di un paesaggio interiore dichiarato già nel sottotitolo – “Una lunga sfida contro il Parkinson (Il mio nemico invisibile).

Fare ottocento chilometri a piedi accompagnati da uno dei più temibili morbi degenerativi, che attacca precisamente i centri nervosi responsabili del movimento e della deambulazione, è cosa da pazzi. È cosa impossibile, direbbero molti. Ma Soro non seppe che la cosa era impossibile, e la fece.

Era il maggio del 2013 quando, dopo meticoloso allenamento e col carico di uno zaino ben calibrato, il pensionato col Parkinson si è messo in cammino da Roncisvalle (saltando solo la prima tappa di tutte quelle possibili): «A quel punto – scrive l’autore nell’introduzione, ricordando i preparativi – fu anche il momento per una riflessione: perché mi accingevo a fare il Cammino? Non era soltanto una sfida alla mia malattia, e nemmeno un voto o una penitenza. Credo che dentro ci fosse un po’ di tutto. Sono sempre stato amante degli spazi aperti, curioso di vedere e conoscere altra gente e altri luoghi. Avevo una motivazione religiosa e, logicamente, la voglia di misurarmi con me stesso e la malattia, ma ad animarmi era anche il piacere dell’avventura pura, quella che si sogna tutta la vita».

Il diario si articola in ventisette brevi capitoli, uno per ciascuna delle tappe stabilite in partenza dal metodico pellegrino (va detto che nella sua preparazione remota c’è un passato da accompagnatore sezionale del Club Alpino Italiano): si tratta di pagine succinte e molto ricche di dettagli cronachistici, si sente che il grosso della loro redazione è avvenuto durante il cammino stesso, nel riposo che ogni giorno seguiva la fatica della tappa. Esse non riportano però unicamente le voci dei pomeriggi, bensì anche quelle della notte (soro le chiama “Pensierini della notte”, per la precisione). Sono le risonanze più intime e più riflesse, quelle su cui l’autore tornava appunto durante la notte o al mattino presto, prima di mettersi nuovamente in marcia verso Santiago: «Siamo forse degli impostori, dei falsi pellegrini? – si legge ad esempio in uno degli ultimi “pensierini” – O moderni pellegrini? Con tutta la nostra tecnologia e le nostre comodità, certo facciamo una bella differenza dai pellegrini di una volta, una grossa differenza». Eppure non è stato uno scherzo, e ogni pellegrino della storia diventa un paradigma per tutti gli uomini perché affronta il Cammino sulle sue proprie gambe e contro i proprî demoni: «Forse quando sarò tornato a casa pagherò questo lungo sforzo. Forse è stata la grande emozione, la gioia, veramente tanta, per avercela fatta. Perché, nonostante tutto, sono arrivato fini in fondo, a Santiago, a vedere la Cattedrale di San Giacomo e, alla fine, devo dire che questo Pellegrinaggio mi ha moralmente ritemprato e arricchito lo spirito, mi ha dato più fiducia e più forza per combattere le mie avversità».

E da una pagina all’altra si intrecciano le storie di ogni viaggio, uniche e universali come tutte le Odissee, che diventano specchio del cuore umano: tocca in particolare il rimorso per Tommaso, compagno di Cammino lasciato indietro a un certo punto semplicemente perché più lento. L’abbandono avviene in modo banale e indolore, ma il senso di colpa rode Soro come un tarlo finché non lo ritrova e ne riceve l’abbraccio sulla strada per Finisterre.

«Ho percorso la via delle stelle
e visto quella del vento,
ho pedalato nelle infuocate mesetas
e sul freddo e brumoso Cebreiro,
ho conosciuto l’amor perduto
e quello mai perso;
solo con me stesso,
sono stato parte di qualcosa».

Giovanni Marcotullio per lacrocequotidiano.it

Il mio cammino di Compostela. Una lunga sfida contro il Parkinson (il mio nemico invisibile)

“Questo libro è dedicato a tutte le persone che hanno una patologia invalidante che ti costringe all’immobilità, e a dover dipendere da altre persone. È dedicata anche a tutte le persone che si prendono cura di loro. Ringrazio mio figlio Alessio, che è riuscito a modificare il mio atteggiamento con la malattia. Non più di guerra aperta, ma di viverla alla giornata, con filosofia.”

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