Ieri, 5 febbraio, ricorreva il 24° anniversario della morte del musicista e direttore d’orchestra Gianandrea Gavazzeni. Bergamasco, ma patrimonio di tutto il mondo culturale.
Un grande personaggio.
Non ho avuto notizie di iniziative per ricordarlo. Ho letto tre date, (12 febbraio, 26 febbraio e 11 marzo) nei programmi della Biblioteca “Gianandrea Gavazzeni”, di Bergamo. Solo date, senza nessun’altra indicazione. Ma, poichè quella Biblioteca porta il nome del Maestro, penso che si parlerà di lui.
Per tutti coloro che lo hanno conosciuto e frequentato il ricordo resta vivo e inossidabile.
Era noto come “il signore della musica”. Viveva come gli antichi borghesi, con una nobiltà snob e originale. Sembrava distaccato da tutto. In realtà era appassionato fino ad apparire a volte un rivoluzionario. La sua attività intellettuale spaziava dalla musica alla filosofia, alle arti figurative, alla letteratura. Era amico dei maggiori letterati italiani da Bacchelli a Montale, da Quasimodo a Ungaretti. Era l’emblema di quei mitici personaggi che un tempo erano chiamati geni.
Osannato direttore d’orchestra con sessant’anni di attività, ottanta titoli diretti solo alla Scala, dove fu anche direttore artistico, era pure un virtuoso pianista, un ottimo compositore, un colto musicologo, un acuto saggista e un impareggiabile narratore.
I suoi libri, “Viaggio in paesi musicali”, “Quaderno del musicista”, “Le campane di Bergamo”, “Non eseguire Beethoven”, “La bacchetta spezzata, “Il sipario rosso”, “Scena e retroscena”, sono capolavori di scrittura asciutta, poderosa, inimitabile, che hanno vinto vari premi letterari e si collocano tra i più raffinati saggi della produzione letteraria italiana della seconda metà del Novecento.
Ma nonostante tutto questo, Gavazzeni non è mai stato popolare a livello di massa. Non è mai diventato un personaggio alla moda. Non ha mai voluto appartenere alla schiera di quelli che appaiono continuamente sui giornali, alla televisione, che sono sempre presenti alle commemorazioni, ai convegni, alle feste. Anzi, era proprio tutto il contrario. Raramente lo si incontrava anche alle manifestazioni che lo riguardano. Ma quando usciva dai suoi nascondigli era come un astro accecante che attraeva su di sé l’attenzione totale.
La ragione, per cui non è stato un personaggio popolare e continua ad esserlo, sta nel fatto che aveva un carattere complesso. Odiava quegli atteggiamenti di falsa semplicità e di spudorata sfacciataggine indispensabili per diventare “beniamini” dei mass media. Era un artista libero, indipendente.
Non sopportava imposizioni, obblighi, schiavitù di nessun genere. Non accettò mai le regole dello “star system” delle case discografiche e per questo ha inciso pochi dischi. Non ha mai voluto intorno a sé press agent, manager, creatori di immagini. Nonostante fosse celebrato dalla critica come uno dei più colti direttori d’orchestra viventi, è difficile trovare delle fotografie che lo ritraggono nelle funzioni della sua attività, o filmati, o documentari.
Ogni sua direzione era un evento. Le sue interpretazioni erano “magistrali”, “lezioni di perfezione”. Ma quando si spegnevano le luci del podio, Gavazzeni scompariva, diventava irraggiungibile.
Renzo Allegri