Si è spento Andrea Zanzotto, il poeta che aveva reinventato la lirica.
Dall’ermetismo allo zanzottismo, la poesia come vocazione e invenzione.
Di Marta Martelli
Si è spento a novant’anni compiuti da pochi giorni il grande poeta Andrea Zanzotto, colui che sentiva la poesia come una creatura viva, che si generava al contatto con la natura.
Una poesia così era e poteva essere solo una pura vocazione, nata dalla sensibilità di un uomo che dalla madre terra traeva ispirazione per inventare una nuova lirica. Aveva creato gli “ipersonetti”, quelli che fanno parte di una delle raccolte più famose, Galateo in Bosco.
Molti hanno parlato delle sue poesie, gli studiosi hanno creato lo zanzottismo, i professori le hanno studiate e insegnate, ma forse pochi ne hanno letto qualcuna. Quella che riporto è una lirica molto significativa, emblema della sua indagine sulla vita, del suo linguaggio spesso tanto difficile ma molto evocativo, che talvolta traeva spunto dalle forme dialettali della sua terra.
Zanzotto infatti era nato e vissuto sempre a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, e solo chi ha avuto l’occasione di conoscere questo incantevole paese può comprendere da dove egli attingesse tanta liricità. Quando si giunge percorrendo la strada del vino fra colline coltivate armoniosamente ed elegantemente incorniciate dalle Alpi, si respira un’aria di poesia naturale, innata, in quel luogo dolce, pacifico e decisamente bello. E si comprende perché Zanzotto non se ne volesse mai allontanare, nemmeno per ritirare i premi che gli venivano assegnati.
La sua poesia è nata lì, nella terra e nell’amore per essa, e germinava come il paesaggio che la circondava esplorando i misteri dell’uomo e della terra, esplodendo in un linguaggio che da ermetico si fa sempre più proto-linguaggio naturale, che unisce l’uomo agli animali e ai vegetali, come un’immensa rete che tutto avvolge e comprende. Così credo voglia essere ricordato, come il poeta innamorato della natura che ha inventato un modo nuovo di cantarla e di rappresentarla.
Marta Martelli
Esistere psichicamente (dalla raccolta “Vocativo”)
Da questa artificiosa terra-carne
esili acuminati sensi
e sussulti e silenzi,
da questa bava di vicende
– soli che urtarono fili di ciglia
ariste appena sfrangiate pei colli –
da questo lungo attimo
inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
da tutto questo che non fu
primavera non luglio non autunno
ma solo egro spiraglio
ma solo psiche,
da tutto questo che non è nulla
ed è tutto ciò ch’io sono:
tale la verità geme a se stessa,
si vuole pomo che gonfia ed infradicia.
Chiarore acido che tessi
i bruciori d’inferno
degli atomi e il conato
torbido d’alghe e vermi,
chiarore-uovo
che nel morente muco fai parole
e amori.
Andrea Zanzotto