L’inaugurazione della stagione lirica alla Scala, è stata oggetto di molti interventi sui media, e continua ad esserlo. Spettacolo eccezionale. Artisti ammirevoli. Ma anche interrogativi sulla liceità di interventi registici che portano cambi essenziali sull’opera creata dal suo autore.
Mentre seguivo lo spettacolo, pensavo agli interpreti. Come giornalista mi interesso di lirica da oltre sessant’anni. Ho incontrato decine e decine di grandi artisti. E li ho incontrati spesso nei loro camerini in attesa dell’inizio dello spettacolo.
Conversando cercavo di carpire confidenze su come veramente vivevano quei momenti di attesa. In un mondo ricco di accorgimenti tecnici di ogni genere, gli artisti lirici continuano ad esibirsi come gli acrobati dei secoli passati, senza alcuna protezione di salvataggio. E per di più sotto lo sguardo glaciale delle telecamere che diffondo in tutto il mondo anche le più piccole loro azioni. Un improvviso calo di voce, un filo di catarro, alcune gocce di saliva che vanno di traverso, possono avere conseguenze fatali, che distruggono uno spettacolo e una carriera. Sono possibilità remote, ma sempre presenti come incubi nella mente degli artisti.
Non ho mai visto nessun cantante lirico affrontare lo spettacolo in modo sereno. Finge sicurezza, ma dentro c’è sempre paura. Paura e preoccupazione dell’imprevedibile.
Tutti gli artisti vivono quella tremenda angoscia. E ognuno ricorre agli accorgimenti più strani per cercare di esorcizzarla. Amuleti, oggetti scaramantici, formule magiche, invocazioni propiziatorie, dita incrociate e cose del genere. Ma niente li rassicura.
In realtà, l’unico appiglio che dà forza agli artisti in quei momenti proviene dall’alto, da quel mondo che non vediamo, ma che nessuno riesce a cancellare dentro se stesso. Chi ha avuto l’occasione di trovarsi spesso nel camerino degli artisti nei momenti che precedono uno spettacolo, ha constatato questo. Anche i più grandi, i più celebri cantanti, nessuno escluso, chiedono aiuto al cielo. Lo fanno magari di nascosto, senza esteriorità, ma lo fanno sempre. Tutti.
Potrei citare innumerevoli esempi. Mi limito a uno: Maria Callas. A distanza di tanti anni dalla scomparsa resta ancora “la divina”, “la regina della Scala”, l’artista insuperabile. Anche lei, prima di ogni spettacolo aveva paura, molta paura. E il suo modo di esorcizzare quella paura era costituito da un quadretto con l’immagine della Madonna. Lo teneva esposto al centro del tavolinetto del camerino. E sostava davanti a quell’immagine, in silenzio, a volte a lungo, prima della recita.
Aveva acquistato quell’immagine a Venezia, nella chiesa dei Frari, nel 1947, poche settimane prima del suo debutto all’Arena di Verona. Da allora non si è mai separata da quell’icona. Un giorno si trovava a Vienna, per uno spettacolo allo Staatsopera. Appena arrivata in albergo, si accorse di non avere in valigia il quadretto. Disse che non sarebbe andata in scena senza quel quadretto. E tutti sapevano che parlava seriamente Fu necessario far venire in aereo da Milano la sua fedele cameriera con il quadretto.
Giovanni Battista Meneghini, marito della cantante, mi ha raccontato che prima di ogni spettacolo, Maria pregava molto. <<In ogni città>>, mi disse <<il giorno della recita si recava in qualche chiesa e restava a lungo inginocchiata. Quando cantava alla Scala, prima delle recite dovevo accompagnarla in Duomo: si inginocchiava davanti a una statua della Madonna che si trovava appena entrati in chiesa, e rima¬neva lì, a pregare, anche per mezz’ora>>.
Nell’estate 1959, Maria si separò dal marito per andare a vivere con Onassis, e l’unica cosa che volle assolutamente portare con sé, lasciando la casa coniugale, fu quel quadretto della Madonna.
Alla sua morte, 1977, qual quadretto fu trovato sul suo inginocchiatoio, accanto al letto.
Una «intensa amicizia» durata 32 anni e documentata da centinaia di lettere e fotografie inedite. È quella tra Giovanni Paolo II e Anna Teresa Tymieniecka, filosofa americana di origini polacche amica
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