La vita sconosciuta di Albino Luciani

Intervista a Marco Roncalli, autore della prima, completa, biografia critica di Giovanni Paolo I, del quale in questi mesi ricorrono il 34° anniversario della sua elezione a Pontefice,  quello della morte,  e il centenario della nascita

Di Renzo Allegri

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Agosto, settembre e ottobre, sono tre mesi che portano importanti ricordi legati alla vita di Albino Luciani, cioè Papa Giovanni Paolo I. Il 26 agosto, ricorreva il trentaquattresimo della sua elezione al soglio pontificio;   il 28 settembre si ricorda la  sua improvvisa morte; il 17 ottobre, i cent’anni della sua nascita.

Per queste ricorrenze, e soprattutto per il centenario della nascita, sono in corso innumerevoli iniziative cattoliche, in Italia e all’estero.  La casa editrice San Paolo ha pubblicato una voluminosa biografia, 730 pagine, scritta da Marco Roncall , storiografo e saggista, che è la prima, completa biografia critica di Giovanni Paolo I.

Albino Luciani  apparteneva a una famiglia poverissima di Canale d’Agordo, in provincia di Belluno, ai piedi delle Dolomiti.  Fin da bambino, e anche da sacerdote e da vescovo, fu sempre una persona timida e riservata.   Nessuno  avrebbe potuto immaginare che a 66 anni sarebbe diventato Papa.

Un Papa che ebbe uno sconcertante destino: quello di restare sulla cattedra di San Pietro per soli 33 giorni, e morire all’improvviso, in circostanze misteriose, che hanno dato origine a voci, dicerie e supposizioni  di un omicidio perpetrato nella notte da qualche eminente personalità del Vaticano. Un giallo, sul quale sono stati scritti libri e girati anche dei film, ma che, pur essendo una vicenda drammatica e fosca, mai completamente chiarita, non ha fatto dimenticare alla gente il sorriso gioioso di quel papa,  passato alla storia come “Il Papa del sorriso” e come una persona di luminosa santità.

1<<Quella di Giovanni Paolo I resta una figura fasciata di mistero: quando stai per raggiungerla, ti sfugge>>, scrisse  Jean Guitton, il celeberrimo filosofo cattolico francese.  Ma con questo giudizio non è d’accordo Marco Roncalli:  <<Il giallo della scomparsa di Papa Luciani>>, afferma  << ha polarizzato, in modo morboso e per lungo tempo,  l’attenzione degli studiosi e dei mezzi di comunicazione impedendo una ricerca serena, ampia e oggettiva. Ma quel giallo ormai ha perso il suo sinistro richiamo.   Ora, finalmente,  l’attenzione può concentrarsi sulla vita “vera e concreta”, di Albino Luciani, e viene a galla la personalità di un grande e autentico cristiano, la cui fede è stata l’anima che ha giustificato sempre tutte le sue azioni>>.

Bergamasco, 53 anni,  pronipote di Papa Giovanni XXIII (al quale, nel 2006, ha dedicato un volume di 800 pagine),  Marco Roncalli è uno dei maggiori esperti di storia della Chiesa contemporanea. Dotato di una profonda e vasta cultura, si è affermato  come un ricercatore di  straordinario valore, e soprattutto un illuminato e saggio interprete dei documenti che raccoglie.

Alla biografia di Giovanni Paolo I, Roncalli  ha dedicato 5 anni di viaggi, di interminabili giornate trascorse in biblioteche,  in emeroteche, a colloquio con persone che hanno conosciuto bene Luciani, che hanno lavorato con lui. Ma le cose più importanti e inedite le ha scovate negli archivi, compresi quelli inaccessibili e segreti, che, grazie alla sua fama di  studioso,  per lui si sono aperti. Ha così portato a casa  una montagna di materiale preziosissimo, dal quale ha ricavato il poderoso, ma bellissimo volume pubblicato dalle Edizioni San Paolo, che è pieno di notizie, vicende, informazioni sorprendenti e inedite, che dimostrano come quello che bonariamente viene chiamato il “Papa del sorriso”, era un  uomo dalla personalità decisa, granitica, fedele servo della Chiesa, duro e irremovibile difensore dei principi, ma tenero e affettuoso con le persone, soprattutto con i meno fortunati. Un  ecclesiastico totalmente evangelico, del quale è giustamente in corso il processo di beatificazione.

A Marco Roncalli abbiamo chiesto di parlarci di Papa Luciani e soprattutto di raccontarci le cose nuove e inedite che ha trovato in questi cinque anni di ricerche.

<<Quando ho iniziato a lavorare a questo progetto>>, dice Marco Roncalli <<mi sono trovato di fronte a un fatto singolare: un papa che aveva regnato soltanto 33 giorni, un tempo brevissimo per aver potuto fare cose importanti, ma che aveva egualmente lasciato nei credenti un fascino straordinario.  La sua attività di Pontefice non giustificava quel fascino,  bisognava perciò cercarne la causa altrove. Cioè nella vita di Albino Luciani precedente alla elezione a pontefice.

<<Un compito difficile, perchè l’ampia letteratura fiorita su di lui dopo la  morte, riguardava  soprattutto il giallo della scomparsa, In realtà, la vita vera  di Albino Luciani era tutta da scoprire e da studiare. E, tenendo conto che lui fu sempre un tipo timido, riservato, geloso della propria privacy,  ho dovuto affrontare un lavoro di ricerca massacrante. Ma ho avuto la fortuna e la gioia di  scoprire un uomo di uno spessore  spirituale incredibile>>.

3Chi erano i genitori di Albino Luciani?

<<Albino era il primogenito di  Giovanni Luciani e Bortola Tancon, una coppia molto povera e molto provata dalla vita. Giovanni, 40 anni, vedovo, aveva avuto, dal primo matrimonio, cinque figli: tre maschi, morti piccoli, e due femmine sordomute, affidate a parenti.  A 11 anni aveva iniziato a emigrare per lavoro ed era stato in vari paesi dell’Europa e anche in America. Le difficoltà e le sofferenze avevano indurito il suo cuore: militava nel partito socialista e aveva dimenticato la fede dei suoi padri.

<<Bortola, 31 anni, aveva trascorso anche lei parte della sua esistenza lontana da casa per lavorare. Conobbe Giovanni a Venezia, dove faceva la cameriera, e si sposarono nel 1911. Bortola era molto credente, praticante, pia, e con la sua bontà riuscì anche a far tornare il marito alla pratica religiosa>>.

Perché al loro primogenito diedero il nome insolito di Albino?

<<Giovanni aveva dato quel nome anche ai tre maschi avuti dal primo matrimonio e morti  subito dopo la nascita perchè Albino era il nome di un suo compagno di emigrazione, morto giovane in un incidente in cantiere. Quel nome gli ricordava i sacrifici terribili che aveva affrontato in giro per il mondo. Dopo Albino, la coppia ebbe altre tre figli, ma solo due sopravvissero>>.

Che cosa si sa di Albino Luciani bambino?

2<<Fin dall’infanzia dovette affrontare situazioni di vita difficili, che lasciarono nel suo animo segni profondi. Crebbe, praticamente, senza padre. Già nel 1913, quando Albino aveva un anno, suo padre era in Argentina. Rientrò per la guerra 1915-1918, e poi ripartì. Fu la madre a crescere e ad educare il figlio e a trasmettergli i valori cristiani.  “La mamma è stata la mia prima maestra di catechismo”, ricordava Luciani.

<<Gli anni della guerra furono particolarmente duri, in quella zona del Veneto. Il fratello di Albino, Edoardo, ricordava: “C’erano solo erba e le radici delle piante da bollire… Ogni tanto un pezzo di pane fatto di crusca e di segatura degli alberi….”. Albino, gracile per costituzione, portò per tutta la vita le conseguenze di quegli anni di miseria. Lui stesso raccontava di essere stato  in sanatorio, otto volte ricoverato in ospedale e di aver subito quattro interventi chirurgici>>.

Che tipo di scuola aveva seguito?

<<Le elementari al suo paese natale, e poi era entrato in seminario. A scuola era bravo. Amava leggere e il parroco e altri sacerdoti  lo aiutarono prestandogli dei libri. Aveva una grande facilità di scrittura. Si conserva una preghiera che scrisse in quarta elementare e che è importante perché rivela il suo stile chiaro e concreto, che lo caratterizzerà poi da adulto. “Signore, tu che sai tutto e che puoi tutto, aiutami a vivere. Io sono ancora un ragazzo, non ho studi, sono povero, ma desidero conoscerti. Adesso non so veramente chi sei e non so se ti voglio bene, mi piace il Pater noster, mi piace tanto l’Ave Maria, prego per i miei morti e per i miei cari. Aiutami a capire.. Sono il tuo Albino. Amen”>>.

Quando decise di diventare sacerdote?

<<La vocazione sbocciò spontanea, quando era ancora bambino. Sembra che desiderasse diventare frate francescano, o gesuita. Ma il parroco consigliò il Seminario, dove avrebbe potuto studiare e valutare, in età più matura, se proseguire per il sacerdozio.  A 11 anni entrò nel seminario di Feltre. Da vescovo scriverà: “Quando ci si chiama fra noi uomini, la chiamata è chiarissima… Quando chiama Dio, la cosa è diversa; niente di scritto o di forte o di evidentissimo: un sussurro lieve, un “sottovoce, un “pianissimo” che sfiora l’anima”>>.

In pratica visse sempre lontano dal mondo reale.

<<Ma sempre attento a ciò che accadeva nel mondo reale. Anche in seminario arrivavano, attraverso i professori, le idee politiche, religiose, culturali che si dibattevano in quegli anni. Albino  Luciani era una spugna. Ascoltava, pensava, elaborava. E soprattutto leggeva. Non solo libri di carattere religioso, ma soprattutto libri di letteratura, che non sempre erano reperibili in Seminario e non erano neppure ben visti. Se aveva qualche soldo, li comperava, ordinandoli direttamente dall’editore, altrimenti se li faceva prestare. Durante gli anni soprattutto del liceo,  lesse libri di Molière, Verne, Walter Scott, Mark Twain, Dikens,  Dovstoievskij, Tolstoi, Puskin, Camus, Silone, Peguy, Bernaons, Claudel, Pascal, Erasmo, Montaigne, Chesterton, Goethe, Petrarca, Eliot, Trilussa, Goldoni, Papini, Freud, Darwin, Haine, Nietzsche, Max, Lenin eccetera.  Durante i mesi estivi, si dedicò a mettere in ordine l’antica biblioteca parrocchiale del suo paese i cui libri stavano ammucchiati nella soffitta della canonica. Compilò le schede di oltre 1200 volumi, indicando di ognuno l’autore, il titolo, il luogo e la data di edizione, seguiti da una breve sintesi del contenuto e un sintetico giudizio, realizzando un volumetto manoscritto di 100 pagine che ancora si conserva.>>

4Aveva quindi una straordinaria cultura anche profana

<<Certamente. E’ difficile ritenere che possa aver trovato tutti quei libri in Seminario. Ma nella sua sfrenata passione per la lettura, cercava ovunque, e quella passione sfrenata provocò una pericolosa crisi interiore che mise in serio pericolo la sua vocazione. Ad  aiutarlo a superare quel difficile momento fu un frate cappuccino,  san Leopoldo Mandic,  che per un certo periodo confessava in quel seminario. I consigli di quel santo furono provvidenziali per il giovane Luciani e da allora egli portò, per tutta la vita, una foto di padre Leopoldo, nel portafoglio, accanto a quella della madre.

<<Il giovane Luciani non si interessava solo di letteratura, ma anche di cinema, di arte, di giornalismo. Amava scrivere e dirigeva anche un giornalino, dimostrando fin da allora quelle qualità di chiarezza, di sintesi, che contraddistinsero poi i suoi libri>>

E dopo il Seminario?

<<Venne ordinato sacerdote a 23 anni. Per due anni lavorò in parrocchia come aiutante del parroco, svolgendo “quell’apostolato spicciolo tra la gente che mi piaceva tanto”. E poi tornò di nuovo in Seminario, come insegnante e come vicedirettore. Altri dieci anni di Seminario, dal 1937 al 1947. Sono gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Anni difficili, drammatici, soprattutto per l’Italia, Egli li visse intensamente, impegnandosi in attività anche fuori del Seminario. Riuscì, in quegli anni, anche a conseguire una laurea, “summa cum laude”, in teologia, alla Gregoriana di Roma. Ma studiava soprattutto  gli eventi che stavano accadendo nel mondo, la vita degli uomini che erano fuori dal Seminario, per i quali egli stava preparando le guide spirituali del futuro.

<<Poi, nel 1947,  arrivò la stagione dell’agire. In un momento difficile per la sua salute, perché, proprio in quel periodo aveva problemi  gravi e fu ricoverato in sanatorio. Ma la stima dei suoi superiori era grande e fu egualmente nominato provicario della diocesi, poi vicario generale e, nel 1958, vescovo di Vittorio Veneto.  Prese, come motto del suo stemma vescovile, la parola  “Humilitas”, spiegando: “Io sono la pura e povera polvere; su questa polvere il Signore ha scritto la dignità episcopale dell’illustre diocesi di Vittorio Veneto”. Non ebbe mai grande considerazione di se stesso. Scrisse:   “Alcuni vescovi assomigliano ad aquile, che planano con documenti magistrali ad alto livello; io appartengo alla categoria dei poveri scriccioli che, nell’ultimo ramo dell’albero ecclesiale, squittiscono”>>.

Nel 1962 iniziò il Concilio Vaticano II. Luciani era già vescovo, come lo visse?

<<Con grandissimo entusiasmo, ma nel nascondimento. Non si conoscono suoi interventi diretti, ma fu sempre presente a tutte le sezioni. Guardava a quell’evento con stupore. Ne parlava esprimendosi con un linguaggio sportivo, paragonandolo a  una “partita straordinaria”, dove giocano “oltre 2000 vescovi, e “arbitro è il Papa”.  Ma quell’evento ebbe un significato enorme per lui. Scrisse: “Il Concilio mi ha obbligato a farmi ancora studente e a convertirmi anche mentalmente”. Dopo il Concilio, la sua azione pastorale ebbe un’impennata di iniziative nuove, forti, che molti giudicarono, a volte, addirittura rivoluzionarie>>.

In che senso?

<<Erano anni di cambiamenti,  di progresso anche economico e nella vita dei cristiani si affacciavano molti problemi nuovi.  Luciani si dimostra un vero pastore, che rifiuta di farsi incasellare nei soliti stereotipi di “conservatore”  o di “progressista”.  Fermo, quanto a dottrina e principi, ma pieno di comprensione per la fragilità umana, vicino ai problemi reali delle famiglie.

<<Uno dei problemi più scottanti in quegli anni, e lo è ancora oggi, riguarda il controllo delle nascite. La contraccezione era ed è proibita dalla Chiesa. Ma sono molte le coppie credenti che, avendo già dei figli e, per ragioni varie e anche gravi, non possono averne altri,  ricorrono alla contraccezione vivendo in stato di peccato. Luciani soffriva per questa situazione. In varie discussioni espresse parole che dimostravano una sua prudente ma precisa apertura. Ipotizzava e auspicava un’evoluzione della dottrina cattolica su questo problema. Poi, però, arrivò l’enciclica di Paolo VI “Humanae vitae” che ribadiva la condanna della contraccezione e si adeguò. Era un innovatore, ma sempre pronto a obbedire alla Chiesa.

<<Era aperto anche al problema delle “coppie di fatto”. Scrisse: “Tutelata una volta la famiglia legittima e fatto ad essa un posto d’onore, non sarà possibile riconoscere, con tutte le cautele del caso, qualche “effetto civile” alle “unioni di fatto”?”.

<<Già allora erano in crescita nel nostro Paese le presenze di emigrati appartenenti a varie religioni. E lui guardava con il cuore di un padre anche a quelle persone. Scrisse: “Qualche vescovo si è spaventato: ma allora, domani vengono i buddisti e fanno la loro propaganda?… Oppure: ci sono quattromila musulmani a Roma: hanno diritto di costruirsi una moschea? Non c’è niente da dire: bisogna lasciarli fare”.

<<Comprensivo, disponibile, aperto, ma anche inamovibile quanto a rigore dottrinale e disciplina. Ha ribadito sempre l’inconciliabilità tra cristianesimo e marxismo.  Ha condannato gli abusi di quanti rischiavano di far diventare il Concilio “un’arma per disobbedire, un pretesto per  legittimare tutte le ‘stramberie’ che passano per la testa”. Fu sempre duro con i movimenti cattolici del dissenso. A Venezia, da cardinale, quando gli studenti universitari della FUCI si schierarono per il no alla abrogazione della legge sul divorzio, sciolse l’associazione. Proibì tassativamente ai gruppuscoli uniti da nostalgie preconciliari di celebrare la Messa in latino.  Affermava: “Non esigiamo – situati a destra – che la Chiesa conservi oggi, in un mondo profondamente cambiato, tali e quali gli atteggiamenti e i riti, che andavano bene nel medioevo… Viceversa cerchiamo di non essere – situati a sinistra – troppo audaci e di non compromettere l’unità della fede e della Chiesa”.

postulatoreSe Luciani avesse avuto un pontificato lungo, quali cambiamenti, secondo te, avrebbe realizzato all’interno della Chiesa?

<<Durante i 33 giorni del suo pontificato ha continuato a comportarsi nella semplicità più assoluta, come aveva sempre fatto. Quando, subito dopo l’elezione, i cardinali gli chiesero che nome avrebbe voluto da Papa, scelse quello dei due Pontefici che lo avevano preceduto, per indicare che voleva mettersi nella scia della continuità. Alla domanda rituale rispose. “Mi chiamerò Giampaolo I”. Ma i cardinali gli fecero notare che quel nome, “Giampaolo”, era di tipo troppo “familiare” per un Papa, e così si adattò a cambiarlo in quello  solenne di “Giovanni Paolo I” . Le sue prime parole ai cardinali furono: “Cosa avete fatto? Dio vi perdoni”. Nei vari discorsi dei suoi  33 giorni di  pontificato, continuò a richiamarsi alla essenzialità del  messaggio evangelico, con sottolineature alla povertà  e al retto uso della proprietà.  Aveva per davvero metabolizzato la “Popolorum progressio” di Paolo VI e avrebbe certamente sistemato un po’ la questione delle ricchezze vaticane, promuovendo una Chiesa più solidale con i poveri e una maggior comunione e condivisione ai vertici.

<<Fu il primo papa a chiedere di poter parlare alla folla al primo affacciarsi dalla loggia di San Pietro, impedito dall’allora maestro delle cerimonie Virgilio Noè;  che rifiutò  l’incoronazione,  la tiara, come Paolo VI,  e la sedia gestatoria, sulla quale qualche volta lo obbligarono nelle udienze generali.. Per parlare con spontaneità, accantonava i testi ufficiali,  allarmando ambienti della curia romana e della diplomazia.  Per dare lezioni di umanità, nelle udienze  chiamava  i bambini a dialogare con lui come ai tempi di Vittorio Veneto e di Venezia. Quei 33 giorni bastarono per creare un imprevedibile cambiamento di clima nella Chiesa, e, bandendo ogni forma di retorica,  indicare con parole e gesti, la bellezza del cristianesimo. Se avesse avuto un pontificato lungo, avrebbe certamente lasciato un segno forte e inconfondibile>>.

Qual è la tua opinione sul giallo della morte di Papa Luciani?

<<Dai documenti che ho esaminato, sono certo che la morte sia avvenuta per cause naturali. Certo al cento per cento. Ci sono state però tante ipocrisie: la prima a trovare morto il Papa nella sua camera da letto, fu la suora che gli portava il caffè,  cioè una donna, cosa che parve disdicevole, per cui si cominciarono a raccontare frottole, ad aggiustare la verità, a emettere pasticciati comunicati stampa, e nacque una confusione che, insieme ad altri dettagli e inopportune dichiarazioni, alimentò l’ipotesi del complotto e dell’avvelenamento>>.

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