Aspetti inediti della vita del grande flautista – Quando era osannato come una superstar, raccontava: “Prego tutti i giorni Gesù e la Madonna” – “Così mia madre mi ha aiutato dall’aldilà” – “Il mio incontro con Papa Giovanni XXIII” – “Ho un protettore potente: Padre Pio”.
5 gennaio: anniversario della nascita di Severino Gazzelloni, uno dei più grandi flautisti italiani di tutti i tempi. Venne alla luce nel 1919, a Roccasecca, piccolo centro in provincia di Frosinone. Nel corso dell’anno appena terminato, si è celebrato il centenario della sua nascita. Ricorrenza che è stata ricordata con alcune manifestazioni a Roccasecca e in qualche altro centro culturale italiano. Ma molto poco per ciò che Gazzelloni avrebbe meritato. E’ stato il “pioniere” della riscoperta del flauto in epoca modena. Quando era in attività, veniva chiamato “il principe del flauto”, “il flauto doro”, il “flauto di fuoco”. I suoi concerti erano seguiti come quelli delle più celebri star della musica leggera.
Oltre che un famoso artista, è stato una bella e grande persona, uno straordinario lavoratore, che si è fatto da solo, partendo da zero, affrontando sacrifici inimmaginabili e conservando per tutta la vita un misterioso, semplice e affettuoso legame con Dio.
Gli incontri con il maestro erano sempre estremamente cordiali. Anzi gioiosi. Pieni di fascino. Gazzelloni si presentava in pubblico elegante, sorridente, riposato, perfetto, vincente. L’ultimo mio incontro con lui risale all’ottobre 1986. Gazzelloni era all’apice delle sua carriera e della sua popolarità. Era stato chiamato a tenere un concerto al Palatrussardi di Milano in occasione di una sfilata di alta moda. Era così celebre, così amato che il mondo della moda ricorreva a lui e al suo flauto per ottenere visibilità e prestigio.
Il maestro aveva 67 anni. E li portava con brio, ma il suo volto palesava inconfondibili segni di sofferenza. Solo gli occhi erano sfavillanti, perché la volontà di domare le difficoltà in lui era granitica.
Mi aveva dato appuntamento alle otto del mattino nell’albergo dove alloggiava in centro a Milano. La sera prima era stato “ospite d’onore” a una importante cena cui partecipavano i notabili della città. Era certamente andato a dormire molto tardi, ed ero meravigliato che mi avesse dato appuntamento a quell’ora che, per un artista, poteva essere definita “antelucana”. Pensavo di dover fare una lunga attesa e invece lo trovai nella hall che mi aspettava. Elegante, arzillo e allegro.
<<Sono abituato a dormire poco>>, mi disse sorridente. <<Tre, quattro ore per notte mi bastano. E a volte anche niente. Ho la fortuna di recuperare con facilità durante i viaggi: dormo benissimo in macchina e soprattutto in aereo. A mezzogiorno parto per Roma. Domani suono a Napoli. Poi andrò Dusseldorf, quindi a Bonn e da lì a Palermo. Viaggio in continuazione e sto bene. Credo che se mi fermassi, mi ammalerei».
«Quanti concerti tieni all’anno?>>, chiesi
«Dipende. Nel 1984 ne ho fatti 220; lo scorso anno, 180; quest’anno sono già arrivato a 166. Il flauto è sempre stata la mia linfa vitale: finché suono, sono vivo. Da¬vanti al pubblico dimentico tutte le stanchezze, le ama¬rezze, i problemi, gli acciacchi. Vado a suonare ovunque: nei centri piccolissimi e nelle grandi capitali del mondo. Non ha importanza se ad ascoltarmi ci sono intellettuali o povera gente: la musica è sempre grande e io la eseguo con il medesimo amore».
Parlammo a lungo. Come sempre, registravo le interviste per poter poi essere preciso nei miei articoli. Ritengo che le parole precise degli intervistati siano testimonianze impareggiabili, da conservare e valutare con la massima attenzione.
Quel giorno, Gazzelloni era in vena di confidenze speciali, che forse non aveva mai fatto. Mi parlò della sua infanzia, della mamma morta quando lui aveva solo due anni e che quindi non aveva mai conosciuto, di come era nata in lui la passione per il flauto, dei sacrifici sopportati per studiare e anche del suo rapporto con Dio. Incredibile: quell’uomo famoso in Italia e all’estero, ricco, osannato, invidiato, idolo delle serate mondane, aveva con Dio un rapporto semplice, affettuoso, incantevole, concreto come la roccia. << Io credo in Dio, prego Dio. Ogni sera non mi addormento mai senza aver prima rivolto il pensiero a Dio>>, mi disse.
Ero sconcertato, quasi a disagio sentendo quelle sue affermazioni su argomenti tanto grandi e dette con la semplicità di un bambino. Così, per cambiare argomento gli chiesi: «Se non fossi diventato musicista, quale altra professione avresti scelto?».
«Quella del calciatore>>, rispose con il suo solito entusiasmo. < Ancora un richiamo affettuoso e preciso a Dio! E io gli feci ancora una domanda che lo allontanava da quell’argomento: «Per arrivare al successo, hai dovuto affrontare molti sacrifici?».
«Tantissimi e terribili. Ma li ho affrontati sempre con il sorriso sulle labbra, anche se avevo gli occhi pieni di lacrime. La meta che mi ero proposto, e cioè diventare un grande flautista, era chiara, precisa e per raggiungerla ero disposto a tutto. Ogni difficoltà perciò, era solo un ostacolo da superare per avvicinarmi di più alla meta. Il dolore del sacrificio era mitigato dalla consapevolezza di aver fatto un passo avanti. In questo modo ho trovato la forza di lottare e resistere sempre».
«Come è nata in te la passione per il flauto?».
«Mio padre era sarto, ma amava molto la musica: suonava il bombardino nelle bande del paese. Una sera, quando avevo circa sei anni, ascoltai con lui un concerto alla radio. Pensa, avevamo una “radio a galena”, di quelle rudimentali, fatta in casa da mio padre. Eravamo seduti in cucina e io lo aiutavo a fare le asole ai vestiti e ad attaccare bottoni. Il pezzo in programma era il “Concerto in sol maggiore” per flauto e orchestra di Mozart. Mio padre era estasiato e io rimasi folgorato dal suono del flauto. Ascoltai immobile, in silenzio, tutto il concerto, stringendo l’ago tra il pollice e l’indice. Avevo le lacrime agli occhi. Mio padre mi guardò preoccupato e io gli sussurrai: “Papà, voglio imparare a suonare il flauto: questo sarà il mio mestiere”.
Ero sicuro che in quel momento si era decisa la mia vita.
«Ma erano tempi duri. Studiare era un lusso. Figurarsi studiare musica. In famiglia non eravamo poverissimi, ma non c’era da scialare. Si faceva economia su tutto. Così, quando decisi di diventare un flautista, tutti si opposero, tranne mio padre, che cominciò subito a farmi frequentare lezioni dal maestro Giovanni Battista Creati, direttore della banda comunale del mio paese.
«Poiché per studiare occorrevano tanti soldi, temevo che le zie riuscissero a convincere mio padre a farmi smettere. Per questo ogni sera pregavo Gesù e l’angelo custode che mi aiutassero. Avevo una grande confidenza in Gesù e nella mia mamma che non avevo mai conosciuto. Le zie mi avevano detto che era andata in cielo e io parlavo con lei, la sentivo vicina, assieme al mio angelo custode e a Gesù. Tutte le difficoltà che incontravo da bambino le risolvevo conversando con mia madre. E questa abitudine mi è rimasta sempre, anche da grande.
<<Una notte, quando avevo circa sette anni, sognai mia mamma. Mi veniva incontro sul prato di casa e teneva in mano dei cartoncini colorati, sui quali, in grande, erano segnati i numeri 4, 11, 87. Facendomi vedere i cartoncini, la mamma mi disse: “Severino, fai presto perché devo andare via. Segnati questi numeri, e giocali al lotto su Napoli”. “Ma io non ho i soldi”, dissi. E lei: “Gioca la lira che ti ha dato papà per i libri e i quaderni”.
«Mi svegliai di colpo, tutto sudato. Era vero: papà mi aveva dato i soldi per comperare i libri per il nuovo anno di scuola che era appena cominciato. Scesi dal letto come un sonnambulo e sulla pagina di un quaderno segnai per bene i tre numeri. Non raccontai del sogno a nessuno. Giocai la lira, terno secco, su Napoli. Era giovedì. Trascorsi i giorni seguenti nell’incubo. Se non avessi vinto, ero rovinato. Il pensiero era fisso su mia madre. Sentivo che mi era vicina. Alla domenica andai da un amico che aveva il giornale per leggere i numeri della ruota di Napoli. Il cuore mi batteva così forte che sembrava voler uscire dal petto. L’amico lesse: “Quattro, undici, ottantasette”. Mi sentii mancare, e dovetti sedermi per terra. Dopo un po’, corsi a casa urlando: “Ho vinto il terno, ho vinto il terno”. Guadagnai duemilasettecento lire, che allora erano una fortuna.
«Con quei soldi potei permettermi di studiare. A otto anni ero solista nella banda di Roccasecca; a 12 ero primo flauto nella banda di Taranto con un compenso di 700 lire al mese. Poi passai, perché mi offrivano di più, nella banda di Campobasso, poi in quella di Avezzano, Sora, Lanciano.
«Ma se volevo diventare un grande concertista do¬vevo frequentare il Conservatorio. Avevo sentito parlare del famoso flautista Arrigo Tassinari, che viveva a Roma. Andai a trovarlo e divenne il mio maestro. Mi preparò per il Conservatorio dove, in un anno, feci praticamente tutti i corsi. Per andare a scuola prendevo un treno merci, ma per raggiun¬gere la stazione dovevo per-correre cinque chilometri a piedi e ripercorrerli alla sera quando tornavo. D’inverno, con la neve e il brutto tempo, arrivavo a casa alle due, due e mezzo di notte. Nel 1935 presi una pleurite e credevo che la mia carriera fosse finita. Ma riuscii a guarire e a riprendere gli studi.
«Dopo il diploma, feci una gavetta interminabile. Mi stabilii a Roma. Cominciai suonando nell’orchestra di Alberto Semprini, che eseguiva musica leggera. Contemporaneamente, la sera, andavo a suonare al teatro Odescalchi per accompagnare le esibizioni delle ballerine della compagnia di Macario. Per fortuna dopo due anni entrai alla Radio, dove rimasi come suonatore di flauto per 34 anni.
«In Radio tutti mi volevano bene e ogni tanto mi davano dei permessi speciali perché potessi andare a tenere concerti come solista. La carriera me la sono creata da solo, cercandomi le scritture e facendomi conoscere poco a poco.
«La mia attività di concertista solista a tempo pieno è iniziata solo quando sono andato in pensione. Ora sto vivendo una seconda giovinezza. Dio mi ha fatto questo immenso regalo: trascorrere la mia terza età, come se avessi vent’anni».
«Sei soddisfatto dei traguardi che hai raggiunto?».
«Me ne ero proposti due: diventare un grande flautista e far conoscere e amare il flauto nel mondo. Li ho raggiunti tutti e due. Non so se sono un grande flautista, ma tutti lo dicono. La gente mi conosce per strada, mi ferma, mi chiede l’autografo. L’altro traguardo, quello di far conoscere il flauto, mi sembra sia stato conquistato in pieno. Quando entrai in Conservatorio a Santa Cecilia c’era solo una cattedra di flauto, ora ce ne sono parecchie. Questo strumento è diventato popolare. Ho tenuto dei concerti per flauto nelle piazze, richiamando folle di diecimila persone come una rock star. Questo significa che il flauto è oggi strumento amato e conosciuto da tutti. E non credo di offendere qualcuno se dico che è stato merito mio>>.
«In questa tua lunga attività in giro per il mondo, hai incontrato molti personaggi: chi ti ha colpito di più?».
«Difficile rispondere. Io ho un carattere estroverso amo la gente, profondamente. Resto colpito dall’incontro con le persone che mi dimostrano affetto e simpatia Non importa se sono personaggi noti o persone qualsiasi. Certo, ho avuto la fortuna di conoscere artisti famosi, soprattutto nel campo della musica classica. Quasi tutti i più grandi compositori viventi hanno scritto qualcosa per me e il mio flauto, da Stravinski, a Maderna, Boulez, Berio, Donadoni, Nono, Messiaen, Malipiero eccetera. Una sera, al termine di un concerto, il poeta Ungaretti si alzò dalla sua poltrona e mi disse: “Severino, hai rifatto la musica”. In un’altra occasione, mentre ero in camerino, sentii bussare. Entrò Fedele D’Amico, musicologo e critico musicale celeberrimo, e mi disse: “Guarda chi ti ho portato”. Era Eduardo De Filippo. Il grande attore napoletano, si inginocchiò e mi baciò le mani dicendo: “Ascoltandoti suonare il flauto, ho ritrovato il mondo”. Il compositore Gian Francesco Malipiero, al termine di un mio concerto dichiarò: “Ora l’Italia può contare su due grandi solisti: Benedetti Michelangeli al piano e Gazzelloni al flauto”.
«Come ho detto, nella mia vita ho dovuto sopportare sacrifici incredibili, ma sono stato ampiamente ripagato. Dio con me è stato buono e generoso».
«Continui a parlare di Dio in termini di estrema riconoscenza: sei credente?».
«Sì, e lo sono sempre stato. Qualcuno, pensando alle mie tendenze politiche, dirà che mi contraddico. Non è vero. Le mie convinzioni religiose non sono mai state intaccate delle idee politiche. Io credo in Dio, prego Dio, gli sono riconoscente perché ritengo che tutto quello che ho, me lo ha dato Lui».
«Hai detto che preghi?».
«Ogni sera. Non mi addormento mai senza aver prima rivolto il pensiero a Dio in riconoscenza della vita, della salute, del lavoro, dell’amore per la musica. A casa ho un’icona, comperata a Varsavia, con un Gesù molto bello. Davanti a lui, ogni sera, faccio il bilancio della mia giornata. Mi propongo di essere buono con gli altri, come Lui è con me. Io sono un grande peccatore, lo riconosco. Ma il mio amore per Dio è profondo.
«Prego non solo Dio, ma anche i santi. Prima di tutto, san Tommaso d’Aquino, che è un mio compaesano. Gli chiedo di tenermi la mente sana, pulita. Poi prego Papa Giovanni. Lo conobbi, suonai per lui la Suite in si minore di Bach. Il Papa ascoltò rapito poi mi accarezzò dicendo: “Guarda, quel grande Bach cosa è riuscito a pensare. E tu, figliolo, quanto sei bravo a creare questi suoni meravigliosi soffiando in quella canna”. Era incantato dal mio flauto e volle accarezzarlo.
«Il terzo mio protettore speciale è padre Pio, un uomo che ha sempre capito gli artisti. Tempo fa dovevo tenere un concerto a Morcone, il paese dove padre Pio visse per un certo periodo. Mentre camminavo e pensavo a lui, vidi per terra i una immaginetta. Era un santino di Padre Pio. Una coincidenza stranissima. Lo raccolsi e la porto sempre con me. Eccolo». Gazzelloni tolse di tasca il portafoglio, estrasse una busta bianca nella quale c’era la foto di padre Pio e un santino della Madonna. <<Questo>>, disse Gazzelloni mostrandomi il santino della Madonna «me l’ha dato mia sorella Elvira, che è suora in un ospedale di Ancona».
<<Tutte queste tue confidenze offrono un aspetto inedito del Severino Gazzelloni che tutti conoscono», osservai.
«Ma è il più importante», disse il grande flautista. <<Il mio modo di far musica, di vivere, il mio buonumore, il desiderio di rendermi utile, di aiutare gli altri, soprattutto i giovani, tutto nasce proprio da queste convinzioni che ho sempre tenute nel mio ani¬mo e non so perché oggi le ho confidate a te, che sei un giornalista. Ma forse è giusto che si sappia anche questo di Gazzelloni».
Il maestro sorrideva, e, forse per nascondere una sua intima commozione, mi abbraccio, stringendomi forte.
Renzo Allegri