Luciano Chailly – Costruttore di Musica

Luciano Chailly durante l’intervista del 1996 con Renzo Allegri

E’ iniziato il centenario del grande musicista italiano nato il 19 gennaio 1920 – Un’esistenza intensa dedicata alla composizione, all’insegnamento e alla organizzazione di spettacoli musicali – Il racconto diretto degli inizi difficili della carriera e di una lunga operosità serena e libera.

Ricorre quest’anno il centenario della nascita di Luciano Chailly, un artista che con le sue opere, la sua attività organizzativa e didattica, ha profondamente segnato la storia della cultura musicale del nostro Paese.

Luciano-Chailly-alpinoNel 1995 stavo realizzando una serie di interviste a protagonisti della lirica per “Ongaku No Tomo” un voluminoso e prestigioso mensile giapponese, che si interessa esclusivamente di musica classica, lirica e sinfonica. Il direttore della rivista, nell’affidarmi quell’incarico, mi aveva raccomandato di scegliere personaggi di fama internazionale, che fossero conosciuti quindi anche in Giappone. Cominciai con i direttori d’orchestra italiani più celebri: Gianandrea Gavazzeni e Carlo Maria Giulini. E sono passato poi ai cantanti lirici più osannati nel mondo: Renata Tebaldi, Giulietta Simionato, Mario del Monaco, Franco Corelli. Tutto bene. Ma il direttore di quella pubblicazione mi chiese se, “per favore”, “potevo ottenere” una intervista dal maestro Luciano Chailly, che in Giappone era noto e amato.

Luciano Chailly era un pilastro della cultura musicale italiana. Non solo come compositore, ma anche per la sua straordinaria attività di organizzatore, didatta, critico, autore di saggi. Era una persona riservata, un lavoratore accanito, che non aveva mai cercato pubblicità, e non offriva spunti per finire sui giornali. Non pensavo che godesse in Giappone una stima tale da indurre il direttore di quella prestigiosa rivista a chiedermi se, “per favore potevo ottenere una intervista dal maestro Chailly”

Nato a Ferrara, 19 gennaio 1920, Luciano Chailly è morto a Milano, il 24 dicembre 2002. Nel 1995, quando lo intervistai per “Ongako no tomo”, aveva 75 anni. Era attivissimo. Portava con se un patrimonio di esperienza culturale straordinaria. Era diplomato in violino e composizione, laureato in lettere, aveva seguito corsi di composizione a Salisburgo risultando il migliore allievo della classe di Paul Hindemith. La sua attività artistica era rappresentata da composizioni di musica da camera, musica sinfonica, musica vocale e corale e da quattordici opere liriche. Ma anche da un intenso impegno organizzativo e didattico. Dal 1951 al 1967 aveva lavorato in RAI come consulente e programmista, poi era stato direttore artistico del Teatro alla Scala di Milano, dell’Arena di Verona, del Teatro Carlo Felice di Genova, dell’Angelicum di Milano. Aveva insegnato composizione all’Istituto universitario di paleografia musicale di Cremona, in vari Conservatori e svolto una lunga attività di critico musicale e di saggista. Era inoltre il padre di tre giovani protagonisti della musica: Riccardo, direttore d’orchestra già allora di fama mondiale; Cecilia, arpista, compositrice e scrittrice; e Floriana giornalista e regista televisiva, attivissima produttrice di programmi culturali.

Luciano-Chailly-alla-scuola-di-Paul-HindemithGli feci una lunga intervista che fu pubblicata in due puntate e molto seguita dagli appassionati di musica giapponesi. E al termine della mia esperienza con “Ongaku no Tomo”, durata una quindicina di anni, l’intervista a Luciano Chailly fu scelta con altre 39 per un libro, costituito da due volumetti per complessive 1200 pagine, che continua a tener vivo in Giappone il ricordo di quegli artisti che con la loro attività segnarono la storia della cultura musicale del Novecento.

Per ricordare il centenario della nascita di Luciano Chailly, tolgo da quella mia intervista alcuni passi del racconto che il grande maestro mi fece rivelando particolari sconosciuti della sua vita e dell’inizio della sua carriera.

<<Sono sempre stato curiosissimo>>, mi disse il maestro. <<Mi attirano tutte le cose nuove. Sono pronto ad andare a vedere un nuovo film, un monumento che non conosco. Leggo libri di ogni genere, articoli, riviste, mi piace tutto, e mi piace poi conversare con la gente di quello che ho letto>>.

Abitava con la moglie Anna Maria, in un bell’appartamento al quarto piano di viale Bianca Maria, nei pressi del Conservatorio di Milano.

<<Non conosco l’ozio>>, continuò a dire con un certo orgoglio. <<Non riesco a restare senza far niente. Non mi si addice la qualifica di “pensionato”. Ho, è vero, una certa età, ma il cervello è in continuo fermento. Ho appena finito la quattordicesima opera lirica. Non volevo fermarmi a 13. Anche se questo numero mi porta bene, è pur sempre un numero che la tradizione popolare guarda con una certa diffidenza. Per cui ho voluto che le mie opere liriche diventassero 14. E proprio poche notti fa ho terminato la nuova opera lirica che si intitola “L’aumento” ed è tratta, come altre mie composizioni, da un soggetto di Dino Buzzati. Ci sono già alcuni teatri che hanno chiesto di allestirla e ora vediamo quale scegliere. Credo che verrà rappresentata in autunno>>.

Parlava gesticolando con vivacità. Alle pareti del salotto notai molti quadri e quasi tutti di autori di fine Ottocento e primi Novecento. <<Provengo da una famiglia borghese che aveva dimestichezza con gli artisti>>, mi spiegò il maestro. <<Mio padre era ingegnere, ma avevo un zio materno, Giuseppe Ravegnani, che è stato un letterato celebre. A Ferrara, dove sono nato, abitavamo nello stesso palazzo. Il suo studio era frequentato da scrittori e pittori. Ed è stato lì, in quello studio, dove io andavo spesso, anche da bambino, che mi sono appassionato alla letteratura e alla pittura e che sono diventato amico di tanti artisti. Forse è stato proprio nel suo studio che ho maturato la mia vocazione artistica>>.

Luciano-Chailly-con-la-moglie-e-i-tre-figli<<Il nome della sua famiglia non sembra, però, di origine ferrarese>>, osservai.

<<Siamo francesi, di Nancy>>, disse il maestro. <<Un mio antenato, Claude-François Chailly, era aiutante di campo di Napoleone e aveva il titolo di marchese. Eravamo quindi “de Chailly”. Fu uno dei figli del marchese Claude-François a trasferire la stirpe a Ferrara. Una prozia è stata una pittrice di fama. Mio padre, Vittorio, per essere democratico, volle togliere dal nome la particella nobiliare “de” rinunciando al titolo di marchese. I Ravegnani, la famiglia di mia madre, sono romagnoli. Tra gli antenati, c’è una gloria delle scienze di fama internazionale, Augusto Righi, fisico, uno dei precursori del telegrafo senza fili messo poi a punto da Guglielmo Marconi. Un mio bisnonno, Giuseppe, era pittore e ha lasciato sue opere in chiese bolognesi, nel Tempio Malatestiano di Rimini e nel Palazzo Arcivescovile di Ferrara>>.

<<Suo padre era ingegnere, una prozia pittrice, lo zio materno celebre letterato, un bisnonno pittore e un altro antenato scienziato: come mai lei è diventato musicista?>>.

<<L’amore per quest’arte è nato da una autentica folgorazione avuta a dieci anni. Mio nonno paterno, Carlo, ex campione di atletica, aveva una passione grandissima per la lirica. Non conosceva una nota di musica, ma non perdeva mai un’opera a teatro, soprattutto se si trattava di Verdi. Nel 1930 a Ferrara davano “Il Trovatore” e nonno Carlo volle portarmi a una rappresentazione. E fu quel primo contatto fisico con la musica a decidere della mia vita. Provai emozioni grandissime. Tornato a casa, non riuscii a dormire. Lo spettacolo che avevo visto e le melodie che avevo ascoltato continuavano ad agitarsi dentro di me, tormentando la mia fantasia e la mia sensibilità fino a diventare una specie di incubo. Trascorsi in quello stato alcuni giorni e poi presi la decisione di studiare musica per diventare un compositore come Verdi.

<<In famiglia pensavano si trattasse di una infatuazione passeggera e mi lasciarono fare. Era pur sempre un arricchimento culturale. Cominciai a studiare solfeggio, violino, pianoforte, armonia, composizione. Alcune materie le studiavo privatamente, altre al Conservatorio. Contemporaneamente continuavo a seguire regolarmente gli studi umanistici normali.

Luciano-Chailly-con-Pavarotti-e-Sandro-Pertini<<Apprendevo con grande facilità. Sembrava che avessi la musica nel sangue. Trascorrevo ore ed ore ogni giorno a studiare e a comporre. A 12 anni tenni il mio primo concerto in pubblico come violinista. A 16, nel teatro Boldini venne eseguita la mia prima composizione, un poemetto sinfonico dal titolo “Val Cismon” e l’anno successivo debuttai come direttore d’orchestra, dirigendo una mia composizione, “Profili”.

<<A Ferrara ero diventato una celebrità. Mio padre guardava sorpreso e distaccato. Non era però convinto che potessi campare con la musica. Per questo, preoccupato, convocò un suo amico, il maestro Carlo Righini e gli chiese un parere. Righini restò a lungo a conversare con me, volle vedere le composizioni che avevo scritto e alla fine disse: “Questo ragazzo è nato musicista, può fare tutto nel campo musicale”. Allora mio padre mi prese in disparte e mi disse che, se volevo proseguire gli studi musicali, dovevo promettergli che avrei preso anche una laurea in altre materie. Glielo promisi. Continuai a studiare musica ma, finito il liceo, mi iscrissi alla Facoltà di Lettere all’università di Bologna e mi laureai nel 1943, a 23 anni. Nel ’41 mi ero diplomato in violino e nel ’45 presi il diploma in composizione al Conservatorio di Milano>>.

<<Ha trascorso gli anni giovanili sempre incollato ai libri>>

<<Mi piaceva studiare. Come ho detto, sono sempre stato curiosissimo e apprendere cose nuove, di qualsiasi tipo, era, per me, esaltante. In quegli anni, oltre che studiare a Ferrara, a Bologna, a Milano, feci anche il soldato, ufficiale degli Alpini, a Molveno, nel Trentino. Non mi sono certo annoiato>>.

Luciano-Chailly-con-Renata-Tebaldi<<Quando ha composto la prima opera lirica?>>

<<Molti anni più tardi. Terminata la guerra, bisognava pensare a vivere. L’Italia era in ginocchio. Doveva essere ricostruita. Trovare un lavoro non era facile. Per vivere, pensai di sfruttare la mia laurea in Lettere e divenni professore di italiano, latino e filosofia in un Istituto privato a Milano. Continuavo però a pensare alla musica. Frequentavo la Scala, i circoli musicali, il Conservatorio. La musica era il mio ossigeno, ma fare il compositore sembrava un sogno ancora molto lontano.
<<Nel maggio 1946 ebbi la fortuna di conoscere il maestro Arturo Toscanini. Il grande direttore era rientrato in Italia dopo dodici anni di esilio in America. Antifascista, era stato costretto a lasciare il suo Paese nel ’34, dopo una storica lite con i fascisti a Bologna, uno dei quali lo aveva pubblicamente schiaffeggiato. Toscanini era un mito e un eroe nazionale. Era tornato per dirigere il primo concerto alla Scala, di cui erano appena state ricostruite le parti danneggiate dai bombardamenti. Era un evento grandissimo, e tutto il mondo musicale era in fermento.

<<Io fui uno dei pochissimi che ottenne il permesso di assistere a tutte le prove di Toscanini. Ricordo che con me c’erano il direttore d’orchestra Guido Cantelli, allievo prediletto di Toscanini, il compositore e pianista Marcello Abbado, fratello di Claudio, il violinista Arrigo Pellicca e Vittorio Negri, direttore d’orchestra, che divenne poi un produttore discografico. Eravamo tesi, intimiditi di fronte a quello straordinario privilegio. Anche Toscanini era emozionato. Prima di iniziare la prima prova rivolse alcune parole agli orchestrali con la sua voce calda, inconfondibile. Ma quella voce, di per sè tanto autoritaria, andò subito in crisi, cominciò a sbandare, si ruppe in fondo alla gola. Quelle prove furono per me un evento eccezionale, incredibile, come del resto il concerto tenuto l’11 maggio del 1946.

<<Nel 1948 decisi di andare al Mozarteum di Salisburgo per seguire un corso di perfezionamento in composizione tenuto dal maestro Paul Hindemith. Era una decisione molto importante per la mia carriera. Andando da Hindemith, sceglievo una strada ben precisa, un modo di fare musica con caratteristiche determinate. Erano gli anni in cui si stavano agitando i fermenti che avrebbero reso famosa la scuola di Darmstadt. Alcuni tra i più interessanti elementi musicali emergenti, come Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen, Hans Werner Henze, Luigi Nono avevano individuato nel processo di “serializzazione integrale” la via, chiamata postweberniana, che poteva aprire nuove prospettive alla musica moderna. Era la grande novità. Tutti guardavano a quell’esperimento. Ma io, pur aperto al linguaggio nuovo, non mi sentivo in sintonia con quella corrente e preferii la scuola di Hindemith, musicista che aveva vissuto attivamente tutte le fasi del processo di dissoluzione del sistema tonale approdando, al contrario di Schoenberg, al recupero della tonalità sia pure allargata al totale cromatismo. Su quella linea mi sentivo di camminare e Hindemith è stato il mio punto di riferimento.

Luciano-Chaillycon-il-figlio-Riccardo<<Mi trovai benissimo con il maestro. Gli mostrai i miei lavori e mi incoraggiò molto. Eravamo una cinquantina di giovani musicisti arrivati a Salisburgo per seguire quei corsi. Il maestro scrisse un tema sulla lavagna e ci chiese di armonizzarlo per due pianoforti. Il mio risultò uno dei migliori e Hindemith volle che sedessi nei primi posti. Insegnava dialogando con me e con qualche altro allievo che stava in prima fila.

<<Tornato, dovetti riprendere il lavoro di insegnante perchè era l’unico che mi desse la possibilità di vivere. Nel 1951, ecco il colpo di fortuna che cambiò la mia vita.

<<Ero sposato, avevo già una figlia. Quando potevo, approfittavo di tutte le occasioni per tenermi in esercizio con la musica. Quella mattina ero andato alla RAI per dirigere un pezzo. Incontrai un regista, Enzo Convalli, che mi disse: “Domattina nella sede RAI di Torino, c’è un concorso per maestri assistenti. Perchè non vai a farlo? Si guadagna bene”. “Non sono preparato”, risposi. “Non so neppure che esami bisogna fare, su quali materie interrogano”. “Non ti preoccupare”, rispose “rischia, se ti va bene, potrai dedicarti completamente alla musica”.

<<La prospettiva era allettante, ma l’impresa sembrava assurda. Sentivo però che dovevo tentare altrimenti non sarei mai uscito da quella situazione che mi stava distruggendo. Mi consultai con mia moglie, poi corsi dal preside dell’Istituto dove insegnavo, gli chiesi un giorno di permesso e il mattino presto partii per Torino.

<<Alla sede RAI c’era una folla di concorrenti. Mi informai e seppi che c’erano dodici esami e una commissione costituita da professori illustri e dirigenti della Televisione. Spaventato, telefonai a mia moglie dicendole “Adesso prendo il primo treno e torno a casa”. Ma lei, che mi ha sempre incoraggiato, disse: “Ormai sei lì, vale la pena rischiare, non ci rimetti niente. Prova”.

Luciano-Chailly-con-Papa-Paolo-VI<<Provai. Fui interrogato nel pomeriggio. Verso sera vennero scelti venti concorrenti ai quali fu detto che avevano superato la prima prova e dovevano fermarsi anche il giorno successivo. Tra quei venti c’ero anch’io. Ero felice. Telefonai a mia moglie dicendole che non sarei tornato. Trascorsi la notte in una misera pensione senza riuscire a chiudere occhio. Nella mattinata i venti che avevano superato i primi esami furono sottoposti ad altre prove e poi venne letta la graduatoria. Primo classificato: Luciano Chailly.

<<Entrai alla RAI con l’incarico di curare i programmi di lirica. Dovevo finalmente interessarmi soltanto di musica. Potevo avvicinare i grandi artisti di allora, i grandi compositori e avere finalmente del tempo libero per comporre. Cominciai con piccole sonate per pianoforte, e poi affrontai la prima opera lirica, “Ferrovia sopraelevata”, con libretto di Dino Buzzati, che venne rappresentata al Teatro Donizetti di Bergamo nel 1955. E da lì cominciò la mia vera carriera di musicista>>.

<<Lei ha composto 14 opere liriche e tanta musica strumentale. Oggi è considerato uno dei maggiori rappresentanti della musica del nostro tempo. Le sue opere sono eseguite in tutto il mondo. Tuttavia non ha mai raggiunto in Italia una grandissima popolarità: perchè?>>.

<<Le ragioni sono parecchie. La principale sta nel fatto che non ho mai voluto avere dei protettori. Di nessun genere. Sono sempre stato un musicista libero, forte soltanto delle mia capacità. E questo è un handicap tremendo. Subito dopo la guerra, quando mi stabilii a Milano per fare il musicista, fui avvicinato da alcune persone che mi proposero di entrare nella Massoneria. Dissero che mi avrebbero aiutato a far carriera, che avrei avuto degli ottimi protettori e fecero i nomi di alcuni personaggi celeberrimi nel mondo musicale. Ma la cosa non mi piaceva. Non sapevo niente della Massoneria, ma non volevo diventare socio di nessuna organizzazione.

<<Dopo i primi importanti successi, fui avvicinato da appartenenti a diversi partiti politici e tutti mi chiesero di iscrivermi al loro Partito promettendo aiuti, protezione, agevolazioni eccetera. Dissi sempre no. Conoscevo i rischi di quella decisione. Allora il mondo musicale italiano era in mano alla politica. Soprattutto ai partiti della sinistra. Rifiutando la tessera, mi autoemarginavo. Ma non me ne sono mai pentito. Sono rimasto un uomo e soprattutto un artista libero. Certo, ho pagato. Non ho avuto in patria il successo che forse meritavo. Ma, passata la moda politica, sono rimasto in piedi insieme a pochi altri. Adesso fanno dei festivals dedicati alle mie opere. Da uno studio pubblicato in Italia risulta che, tra le opere di compositori contemporanei, le mie sono tra le più eseguite nel mondo insieme a quelle di Francesco Malipiero e Giancarlo Menotti. Come vede, sono in ottima compagnia e in straordinaria posizione>>.

Riccardo-Chailly-figlio-di-Luciano<<Se dovesse dare una definizione del suo linguaggio musicale, cosa direbbe?>>.

<<Non ho mai dimenticato che un musicista compone per trasmettere emozioni e sentimenti al pubblico. Per questo ho cercato di “parlare” un linguaggio che fosse attuale, moderno, ma comprensibile. Qualche critico mi ha rimproverato di essere ecclettico. Goffredo Petrassi però diceva che il mio ecclettismo è un pregio. Ho cercato sempre di adattare il linguaggio al soggetto dell’opera lirica che stavo scrivendo in modo che ci fosse sintonia tra lo spirito dell’opera e il modo con cui veniva raccontata. Per la “Ferrovia sopraelevata”, ho usato un linguaggio che potrebbe essere definito metafisico; per il “Mantello”, un linguaggio surreale; per “Procedura penale”, un linguaggio estremamente buffo; per “Domanda di matrimonio” un linguaggio che si ispira a Rossini>>.

<<Secondo lei, il linguaggio musicale, quale avvenire ha?>>.

<<Ormai nel campo del linguaggio musicale è stato provato tutto. Boulez e Stockhausen si sono fermati nelle loro ricerche. I giovani sono tornati al tonalismo, al melodiale. Cosa sarà domani? Difficile dirlo. Anche perchè siamo in una brutta fase di politica musicale. Non solo in Italia, ma anche all’estero, i teatri cercano l’opera che faccia cassetta e puntano sul sicuro, sul già noto. Pochissimi accettano di rischiare e dar spazio a un giovane. Nell’immediato dopoguerra c’erano in Italia 10, 15 prime rappresentazioni ogni anno. Anche nei teatri di provincia. Se un giovane scriveva un’opera, sapeva che sarebbe stata eseguita. Oggi non è più così. Lo spazio riservato a opera nuove è pressocchè inesistente e vengono privilegiati gli autori già conosciuti. I giovani, i debuttanti, non trovano nessun teatro disposto a rischiare e questo significa la morte dell’opera lirica>>.

<<Ci sono dei giovani compositori di talento?>>.

<<Certo che ce ne sono. Ne conosco alcuni che ritengo siano dei grandi talenti e, se fossero aiutati, potrebbero offrire prodotti molto interessanti. Scrivono opere che sono però destinate a restare nel cassetto. E’ questo il dramma dell’avvenire della musica>>.

<<Oltre che compositore, lei è stato un attivo organizzatore musicale: ha lavorato nei più grandi teatri, compresa la Scala di Milano>>.

<<Sì ho avuto importanti incarichi e spero di averli svolti dignitosamente. Un obiettivo mi sono sempre prefisso: aiutare i giovani. Sono orgoglioso di aver lanciato alcuni artisti che poi hanno fatto una grande carriera. Mi fa sempre piacere ricordare che fui il promotore e il sostenitore del primo concerto tenuto da Uto Ughi alla televisione nel 1954: aveva 11 anni. Non mi ero sbagliato su quel ragazzo>>.

<<Se non sbaglio lei è stato il primo anche a scoprire le doti di direttore d’orchestra di suo figlio Riccardo>>.

<<In un certo senso sì, ma non direttamente. All’inizio, Riccardo aveva soggezione di me. Non voleva farmi sapere che, dentro di sè, pensava seriamente alla musica. Io lo seguivo a distanza. Mi informavo su ciò che faceva da mia moglie, ma non perdevo un attimo della sua attività. Sapevo che era interessato alla musica. Sapevo che spendeva tutti i suoi soldi a comperare spartiti e che se ne stava chiuso nella sua camera a leggerli. Da mia moglie avevo anche saputo che ascoltava dischi e “fingeva” di dirigere sincronizzando il movimento delle braccia con la musica. “Ha un gesto bellissimo”, disse mia moglie. Ma pensavo che il suo giudizio fosse suggerito dall’amore materno e volli controllare.

<<Avevo la fortuna di godere dell’amicizia di Franco Ferrara che era non soltanto il più autorevole insegnante di direzione d’orchestra ma anche uno dei più dotati musicisti che avessi mai conosciuto. Pensai di invitarlo a cena con sua moglie Màritza e di pregarlo poi di voler dare un’occhiata a ciò che, per conto suo, stava facendo Riccardo. Ferrara accettò volentieri, trascorremmo una magnifica serata e poi egli si ritirò con mio figlio, che aveva allora 16 anni. Non so esattamente come si sia svolto quell’incontro. So solo che quando Franco Ferrara uscì dalla camera di Riccardo mi disse con quel tono preciso, fermo, tagliente che aveva lui: “Non ho il minimo dubbio tuo figlio è nato per fare il direttore d’orchestra. Fallo studiare e mandamelo al più presto ai Corsi dell’Accademia Chigiana di Siena”.

<<Spinto da questo sicuro incoraggiamento, cercai di organizzare un complessino d’archi a casa mia, perchè Riccardo potesse dirigere sul serio e per vedere, al di là dell’esperienza con i dischi, come riusciva a reggere con la sua volontà un gruppo strumentale. Il gruppo era costituito da amici di famiglia: il maestro Guarino al pianoforte, Nelly Csaky violinista, sua figlia Marika viola, Donna Magendanz (moglie di Guarino) al violoncello, io al violino assieme a un compagno di scuola di Riccardo, Ganci; c’erano infine altri due giovani che sarebbero diventati dei magnifici professionisti: Fausto Anzelmo, viola, e Arturo Bonucci, violoncello. Fummo noi la prima orchestra di Riccardo e lui se la cavò in maniera straordinaria. Alla fine del concerto, brindammo commossi. E anche in quell’occasione le nostre intuizioni non furono deluse.

<<Riccardo oggi è famoso in tutto il mondo. E io sono felice. Anche perchè credo di averlo aiutato nel modo giusto sul sentiero difficile della professione musicale: senza spingerlo e senza scoraggiarlo. Seguendolo nell’ombra, ma con tanta trepidazione e tanto amore>>.

Renzo Allegri

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.