Intervista a Ulisse Sartini, uno dei maggiori pittori viventi che, dal 24 marzo al 25 aprile, espone la sua “Ultima Cena”, a Milano, accanto al “Cenacolo” di Leonardo da Vinci
Ritrattista di celebrità della politica e della cultura, Sartini ha anche eseguito i ritratti di tre Papi – Il segreto della sua devozione per Padre Pio.
Di Roberto Allegri – Foto di Nicola Allegri
Per un mese, dal 24 marzo al 25 aprile, l’ultimo lavoro del Maestro Ulisse Sartini resterà esposto al pubblico a Milano, nel Chiostro del Bramante del Convento domenicano annesso al Santuario di Santa Maria della Grazie.
Si tratta di un grande dipinto lungo cinque metri, alto due, diviso in tre pannelli che raffigurano l’ultima cena di Gesù.
Undici apostoli con il volto rivolto verso il loro amato Maestro, tranne Giuda che guarda invece nella direzione opposta, verso le tenebre.
Un’immagine prorompente di fisicità e insieme soffusa di una potente suggestione spirituale.
Il quadro di Sartini, realizzato per il Duomo di Piacenza, inizia la sua “vita pubblica” con un onore speciale: essere presentato al pubblico nel luogo dove, tra il 1495- 1498, lavorò Leonardo da Vinci, creando quell’affresco divino che si chiama appunto “L’ultima Cena”, considerato uno dei più grandi capolavori pittorici di tutti i tempi.
Ulisse Sartini, 72 anni, formatosi alla scuola del pittore Luigi Comolli, si ispira ai maestri del Rinascimento. Ha fama internazionale come ritrattista. Ha scritto di lui il principe dei critici, Vittorio Sgarbi: <<Sartini ha una strepitosa capacità tecnica e quando dipinge un ritratto esibisce orgogliosamente la propria parentela non solo con Pietro Annigoni, inevitabile riferimento per il suo talento ritrattistico, ma con il meglio del realismo italiano di questo secolo>>.
Sartini è l’unico pittore italiano, insieme appunto a Pietro Annigoni, ad avere un proprio dipinto nella “National Portrait Gallery” di Londra. Si tratta di un ritratto del soprano Joan Sutherland e alla presentazione del dipinto volle presenziare la stessa regina Elisabetta.
Nel corso della sua ormai lunga carriera, Sartini ha eseguito ritratti di molte celebrità del mondo della politica, della cultura, dell’industria. Ha una predilezione per gli artisti lirici, essendo un appassionato di musica classica. E’ autore di tre ritratti di Maria Callas: uno si trova nel Museo Teatrale della Scala a Milano, uno al Nuovo Teatro della Musica Megaron di Atene, e il terzo al Teatro La Fenice di Venezia. Un ritratto del tenore Luciano Pavarotti è esposto al Covent Garden di Londra. Suo è anche il ritratto dell’attrice Audrey Hepburn esposto nella nuova sede UNICEF in Roma.
Ho incontrato l’artista nella sua casa/studio di Milano. Un luogo magico, quasi un angolo al di fuori del tempo e della realtà dove la pittura del passato si mescola con il presente, sullo sfondo di un bosco di pennelli, statue, fotografie, bozzetti, studi a matita, reliquie e grandi crocefissi. Su ogni cosa impera un ordine perfetto, una rigorosa pulizia che può apparire quasi fuori luogo nel lavoro di un pittore.
<<Ho sempre dipinto così, con ordine e precisione, affascinato dai grandi maestri del Cinquecento e del Seicento>>, spiega.
Quando parla del suo lavoro, Sartini misura le parole, china il capo, dimostrando rispetto e autentica devozione per l’arte che esercita.
Nello studio del maestro Sartini ho potuto ammirare il grande quadro dell’Ultima Cena, quando non era ancora finito. Anzi, ho avuto la fortuna di veder nascere quel capolavoro. Con mio fratello Nicola, abbiamo posato per le figure di due apostoli.
Io ho impersonato San Bartolomeo che, per chi guarda il quadro, è a destra di Gesù, alle spalle dell’apostolo San Giovanni; mentre mio fratello Nicola ha impersonato l’apostolo Sant’Andrea, e sta a sinistra di Gesù. Fa una certa impressione pensare che i nostri volti sono fissati su un dipinto destinato al Duomo di Piacenza e quindi che sarà esposto al pubblico per secoli.
Molta della produzione artistica di Ulisse Sartini è di carattere religioso. Santi, Madonne, natività, resurrezioni, crocifissioni, angeli custodi da lui dipinti si trovano in decine di chiese e monasteri in Italia e all’estero.
Il Maestro si è anche guadagnato il titolo di “ritrattista dei Papi”. E’ autore di tre ritratti ufficiali di Papa Wojtyla: uno è esposto nel nuovo santuario di Cracovia intitolato a san Giovanni Paolo II; un altro è conservato nella Sala delle Congregazioni in Vaticano e il terzo si trova nella basilica di San Giovanni in Lauro, a Roma.
Ha eseguito due ritratti di Papa Ratzingher: uno è esposto nel Palazzo del Governatorato Vaticano e l’altro è inserito nella famosa serie dei Papi che si trova lungo l’architrave della navata maggiore nella “Basilica di San Paolo fuori le mura”. Recentemente ha dipinto anche un ritratto di Papa Bergoglio, commissionatogli dalla Fabbrica di San Pietro.
Alcuni suoi lavori bellissimi riguardano Padre Pio. Al santo di Pietrelcina ha dedicato tre grandi dipinti: uno si trova nella chiesa parrocchiale di Pietrelcina, uno nella chiesa di san Pio X a Roma e il terzo nella Chiesa di Santa Paola Romana.
<<Non c’è niente che mi gratifichi di più che lavorare per le chiese>>, dice Sartini. << E’ stupendo pensare che i miei quadri possano aiutare la gente a pregare. Io stesso prego attraverso il mio lavoro, una continua preghiera di ringraziamento>>.
Resta alcuni attimi in silenzio e poi aggiunge: <<Non mi interessano la mondanità, le correnti artistiche, i circoli, i salotti. Il mio tempo è tutto dedicato al lavoro. E metterlo al servizio della fede mi permette di ringraziare Dio per i talenti che mi ha dato e per quanto ha fatto per me quando ero giovane>>.
Questa sua ultima frase suscita la mia curiosità. Solleva un velo sulla vita di questo artista riservato e silenzioso. E gli chiedo a che cosa allude con le sue parole.
<<Vedi>>, mi racconta il maestro <<un tempo la mia fede era tiepida ma poi è successo un fatto meraviglioso e tutto è cambiato. E non ho difficoltà a dire che si è trattato di un miracolo. Avevo trent’anni e soffrivo di una fortissima forma di depressione.
Per tentare di distrarmi ero partito per una crociera nei Caraibi con un’amica. Ma ero ridotto malissimo: viaggiavo con una valigia piena di psicofarmaci. Ad un certo punto, durante il rientro in Italia, ho iniziato ad avere terribili dolori in tutto il corpo.
Mi ero gonfiato come un pallone e non riuscivo a muovermi. I medici pensavano che fosse dovuto ad una infezione contratta ai Caraibi e così mi portarono a Pavia nel reparto delle malattie infettive.
Ma la cosa era più seria. Si trattava di una patologia detta “dermatomiosite” che allora era poco conosciuta e incurabile. O si moriva o si restava paralizzati. Non avevo speranza. Allora, lì in ospedale, pregai intensamente.
Ricordo che chiesi a Dio non di eliminare la malattia ma di farmi uscire dalla depressione che mi impediva di usare la fantasia e il pensiero. Improvvisamente, ebbi la netta sensazione di un interruttore che veniva acceso. Di colpo, in quell’istante, guarii sia dalla depressione che dalla “dermatomiosite”.
I medici erano esterrefatti e mi dissero che, senza poter consultare le mie cartelle cliniche, sarebbe stato impossibile credere a quello che avevo avuto. A ricordo di quel male, solo mie corde vocali non si sono più riprese. Per questo ho la voce sempre afona.
<<Dopo di allora, dipingere rappresenta il mio cammino spirituale. Ed è anche il modo per ricordare mio padre, soprattutto quando lavoro ad un ritratto di Padre Pio. Papà era un suo devoto. Ma non mi parlava mai di lui e non mi ha mai portato a San Giovanni Rotondo.
Era un uomo molto riservato, taciturno, che rispettava le idee degli altri e non imponeva mai le sue. La fede me la spiegava con l’esempio, non con le parole.
Dopo la sua scomparsa, ho trovato nel suo portafogli una foto di Padre Pio che risale agli anni Cinquanta. Era logora, piegata in due ma per me è preziosissima. Ora la tengo sul comodino, in una cornice. I quadri dedicati a Padre Pio, li ho dipinti anche per papà.
L’ho fatto con gioia e senso di gratitudine. Come per ogni altro mio lavoro.
Prima di ogni quadro, mi rivolgo a Dio e dico: “Se vuoi che lavori per te, fammi lavorare bene!”. Poi mi rimbocco le maniche.>>
Roberto Allegri