A passeggio per Verona con Andrea Battistoni, il giovane direttore d’orchestra che affascina e incanta.
IO, LA MUSICA, MICHELANGELO E CIAIKOVSKIJ
di Roberto Allegri – Foto di Nicola Allegri
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Lo sto aspettando in piazza Bra, a Verona, davanti all’Arena. Guardo l’orologio ma non è necessario perché mi hanno detto che è sempre puntuale. E infatti, eccolo che arriva.
Andrea Battistoni veste di nero, porta i capelli arruffati e una sciarpa rossa al collo. Mi viene incontro camminando tra la gente di via Mazzini, turisti e veronesi, con la borsa a tracolla. Sembra uno studente universitario. Invece è il direttore d’orchestra del momento.
Il 23 marzo scorso, Battistoni ha diretto alla Scala “Le nozze di Figaro”. Si tratta del suo debutto nel prestigioso teatro milanese, un debutto che ha anche il sapore di un record. Con i suoi 24 anni, Andrea Battistoni risulta infatti essere il più giovane direttore d’orchestra che sia mai salito sul podio della Scala nei suoi 235 anni di storia. E il sei maggio torna alla Scala per un concerto con la Filarmonica.
Verona è la sua città. Qui è nato e qui ha iniziato i suoi studi. All’ombra, verrebbe da dire, di quella celebre Arena che è sede di una delle stagioni liriche estive più famose e affascinanti. All’Arena Battistoni ha imparato ad amare le opere liriche. All’Arena ha fatto il suo debutto nel giugno 2011 con “Il barbiere di Siviglia” e tornerà sul podio dell’Arena anche quest’anno, in agosto, con “Turandot”.
A vederselo davanti, sembra davvero uno studente che passeggia per la città, godendosi il sole. Ma ha già alle spalle alcuni anni di intensa attività e di continui successi in Italia e all’estero. Un autentico fenomeno del podio che è stato definito “il nuovo Toscanini”. Non solo perché, quando dirige, richiama in maniera impressionante lo stile “fisico” del mitico direttore parmigiano, ma soprattutto perché la sua vita ha incredibili rassomiglianze con quella del giovane Toscanini.
Andrea Battistoni ha iniziato a studiare musica al Conservatorio a sette anni, come Toscanini. Ha sempre amato il violoncello, proprio come il giovane Toscanini, e si è diplomato in questo strumento a diciotto anni, esattamente come Toscanini. Insieme agli studi del violoncello, Battistoni ha intrapreso quelli di direzione d’orchestra, seguendo corsi di specializzazione in Italia, in Germania e in Russia. Ha debuttato sul podio a San Pietroburgo nel 2008, a ventun anni. Toscanini al debutto ne aveva diciannove. E come Toscanini, Battistoni dirige a memoria, senza leggere lo spartito ma guardando sempre in faccia gli orchestrali.
Un fenomeno? Un ragazzo prodigio? Il fatto è che Battistoni ha una preparazione eccezionale. Lo si nota, prima ancora di vederlo in azione, dal modo di parlare. Colto, pacato, gentile e preciso, con una competenza musicale che lascia ammirati. Viene in mente la parola “saggio”. Una saggezza che probabilmente non si sposa con la sua giovane età ma che è la diretta conseguenza di un mestiere, quello di direttore d’orchestra appunto, talmente delicato e difficile da trasformare radicalmente chi vi si dedica.
<<Dirigere un’opera è una responsabilità immensa>>, mi dice mentre camminiamo tra le vie della sua città. <<Una responsabilità che fa crescere in fretta. Però, non sono un “mostro”. Ci tengo a sfatare il mito dell’artista solitario e per forza disadattato. E’ vero, sono molto giovane e faccio il direttore d’orchestra ma sono un ragazzo come tanti. Adoro andare al cinema e mi piace il rock. Tanto è vero che suono il basso in una band.>>
Si mette a ridere perché deve aver visto la mia espressione incuriosita. <<Sì, la musica rock mi fa impazzire>>, continua. <<La mia passione sono i Deep Purple e gli AC-DC. Non c’è alcun motivo per cui uno che lavora con la musica classica non debba anche amare altri generi. Io non pongo limiti alla musica e sai perché? Perché qualsiasi genere può influenzare un artista. Esiste poi una percezione sbagliata dei compositori classici del passato. Spesso i giovani li considerano vecchi, dei polverosi parrucconi. Invece era gente divorata da un’urgenza espressiva incredibile. Proprio come le star del rock, se non di più.>>
E’ inevitabile chiedergli del paragone con Toscanini. <<E’ però un accostamento immenso>>, risponde subito. <<Non lo merito proprio. Toscanini resta pur sempre il mio preferito. Insieme a von Karajan. Loro due sono fonte di continua ispirazione per me. Toscanini, per l’enorme energia e precisione che riusciva ad ottenere dall’orchestra. Von Karajan invece per la bellezza di suono e l’intensità continua. La cosa straordinaria e molto appagante è che tutti i direttori d’orchestra, di qualsiasi epoca, sono in qualche modo simili tra loro. Siamo tutti dei “fossili” perché il nostro lavoro di oggi è uguale a quello che era un tempo. Il pubblico vede l’esibizione fisica, direi atletica, del direttore. Lo vede con la bacchetta in mano, ne segue i movimenti, il suo condurre gli orchestrali lungo la partitura musicale. Quello che però non è visibile è il grande lavoro che sta dietro. Ieri come cento anni fa, la vera fatica per un direttore è lo studio intenso dello spartito che viene prima del concerto o dell’opera. Il direttore è come un traduttore di un testo greco o latino. Deve saper trarre dalle note impresse sulla carta un senso da trasmettere al pubblico. E ci deve riuscire veicolando le emozioni insite nella musica, volute dal compositore, con le stesse sfumature. In più, ci sono le prove con l’orchestra e con i cantanti. E questo è davvero massacrante! Nelle prove, il direttore diventa realmente il cardine dell’esecuzione. E’ lui infatti che propone la linea interpretativa da condividere con gli artisti. Non ho dubbi a riguardo: la grande responsabilità del direttore ha il suo massimo durante le prove. La recita o il concerto che poi seguono, se tutto è stato fatto a puntino, diventano poi un piacere, per chi dirige. Il piacere della musica.
<<Si parla di me ma non sono l’unico direttore giovane nel panorama musicale>>, continua Battistoni. <<Questo è un momento molto favorevole per i giovani. Spesso l’attenzione si concentra solamente sulla crisi dei teatri, specie qui in Italia. E’ innegabile che ci sia ma si deve anche parlare d’altro. Soprattutto del fatto che è proprio in un periodo di crisi che i giovani, con preparazione, idee innovative nell’interpretazione della musica e capacità di sopportare l’immensa responsabilità del ruolo, possono emergere. I teatri sono sempre alla ricerca di “sangue giovane”.
<<Quando però un direttore giovane si trova di fronte all’esperienza di artisti e orchestrali più grandi di lui in età, allora può insorgere un po’ di soggezione. E’ inevitabile ma è anche un dato di fatto che va accettato. Il direttore giovane ha un unico mezzo a sua disposizione per conquistare la fiducia di artisti e orchestrali ed è l’estrema preparazione, l’unica cosa che può colmare la distanza. Se si ha un’idea molto chiara del brano che si deve interpretare e se si ha una conoscenza profonda della partitura, gli orchestrali e gli artisti se ne accorgono e ti rispettano. Di loro ho bisogno perché sono in una fase del mio cammino in cui sono molto aperto ai consigli e ai suggerimenti.
<<La preparazione è frutto di una pratica assidua, quotidiana. Ma è l’arte in generale ad avere bisogno di vissuto ogni giorno. Personalmente mi sento diverso ogni anno che passa perché l’arte è così, fa progredire in continuazione. E’ un lavoro di grande sottrazione, si deve togliere tutto quanto è superfluo. Si deve eliminare tutto quanto ci fa sentire a nostro agio ma che non serve alla musica. Togliere, togliere: come faceva Michelangelo che dal blocco di marmo grezzo tirava fuori una statua. L’ideale, per un artista, è arrivare alla fine del suo percorso non riconoscendosi più nella persona che aveva iniziato. Ma nello stesso tempo, con la certezza di poter ancora togliere pietra grezza e migliorare. E’ questo “segreto” che tiene in vita moltissimi artisti anche in età avanzatissima. Ci sono artisti che, magari a novant’anni, hanno ancora la voglia di mettersi davanti ad un’orchestra e cercare di capire qualcosa che prima era loro sfuggito.
<<E’ un lavoro assiduo e duro, lo ripeto. Si deve passare moltissimo tempo con lo spartito. Non lasciare passare mai più di un giorno senza guardarlo. Io lascio spesso aperte in giro per casa le partiture che sto studiando, in modo da averle sempre sotto gli occhi. Mi permette di cogliere l’essenza del brano, proprio come il compositore che l’ha creato aveva in mente. E poi ho un rapporto molto diretto con la partitura, diretto e forse poco reverenziale. Scrivo parecchio sullo spartito, segno, aggiungo, noto, evidenzio, metto appunti, cambiamenti, annoto suggerimenti: tutto con il fine di rendere la musica ancora più viva. Come ho detto prima, a volte la musica classica viene concepita come qualcosa di vecchio, di passato. Ma se stiamo ancora qui ad ostinarci nello studiarla, significa che ha una portata emozionale e di intensità che forse non ha paragoni, no?>>
Gli chiedo di Ciaikovskij, un compositore del quale Battistoni parla ad ogni intervista che gli viene fatta.
<<E’ il mio compositore preferito>>, risponde. <<Sento con lui una particolare affinità. Pochi si sono messi a nudo con forza ed espressività come lui. Tutti i suoi lavori non sono composizioni ma diari di quello che provava. La “Patetica” che scrisse nel 1893 prima di morire lo considero il mio biglietto da visita, la musica in cui mi esprimo al meglio.>>
<<E non solo musica>>, dico a Battistoni. <<Hai scritto un magnifico libro “Non è musica per vecchi” pubblicato a Rizzoli, che ha avuto un successo immediato strepitoso, due edizioni in un solo mese>>.
<<Molti pensano che la musica classica sia musica del passato, musica di un tempo che fu, musica per vecchi>>, mi risponde deciso. <<E’ sbagliato. La musica “classica” è la musica immortale, che sta fuori del tempo, sopra il tempo, che ha superato, vinto il tempo, perché esprime la bellezza allo stato puro, la vera bellezza di sempre. Ed ho voluto raccontarlo a tutti, scrivendo quel libro>>.
Roberto Allegri