Per i 50 anni del Concilio Vaticano II, abbiamo intervistato un testimone d’eccezione, il gesuita Padre Bartolomeo Sorge, tra i maggiori intellettuali cattolici del nostro tempo che, alla diffusione dei valori conciliari, ha dedicato gran parte della sua esistenza.
“UN CONCILIO CHE HA CAMBIATO LA STORIA DELLA CHIESA”
DI Renzo Allegri
L’11 ottobre del 1962 ebbe inizio il Concilio Vaticano II voluto da Papa Giovanni XXIII. Sono passati 50 anni. In tutto il mondo sono in corso iniziative per celebrare la ricorrenza: convegni di studio, assemblee, incontri, saggi, libri, numeri unici monografici di periodici con interventi di esperti vari, filosofi, teologi, storici, sociologi. Un interesse mediatico vastissimo. E in tutte le informazioni, grandi e piccole, anche in quelle di fonte strettamente laica, si riscontra un generale accordo nel riconoscere l’importanza del Concilio Vaticano II, che il Sinodo Straordinario del Vescovi del 1985 definì: “massima grazia del secolo XX”.
Però, a fronte di tanto interesse “intellettuale”, si riscontra una certa silenziosa apatia, una malcelata indifferenza da parte del “popolo di Dio”, cioè della massa dei credenti, quasi si trattasse di un evento astratto, importante ma lontano, distaccato dalla realtà della vita quotidiana.
<<E’ vero, sembra proprio che il “popolo di Dio” non sia riuscito ad assimilare in pieno l’importanza di questo evento>>, dice il celebre gesuita padre Bartolomeo Sorge. <<Ma ciò non toglie niente all’importanza enorme che il Concilio Vaticano II ha avuto e continua ad avere. Un’importanza che, secondo me, ha cambiato la storia della Chiesa>>.
Padre Bartolomeo Sorge è un grande studioso del Concilio Vaticano II.. Uomo di straordinaria cultura, con una rigorosa formazione scientifica conseguita con studi specialistici a Milano, in Spagna, in Francia e a Roma, è stato direttore della “Civiltà Cattolica”, direttore della rivista “Popoli”, direttore di “Aggiornamenti sociali”, fondatore e direttore dell’Istituto di Formazione Politica “Padre Pedro Arrupe” di Palermo, direttore del “Centro culturale San Fedele” di Milano, autore di libri e di saggi sul Concilio Vaticano II. Si potrebbe dire che, in un certo senso, è vissuto in simbiosi con questo evento ecclesiale. Come lui stesso ricorda nel suo recente libro “La traversata – La Chiesa dal Concilio Vaticano II ad oggi” (Mondadori editore) <<il cinquantesimo del mio servizio sacerdotale è coinciso esattamente con il primo mezzo secolo di “aggiornamento” conciliare. Infatti, l’indizione del Concilio da parte di Giovanni XXIII avvenne il 25 gennaio 1959, a pochi mesi dalla mia ordinazione presbiterale, il 15 luglio 1958>>.
Padre Sorge fu ordinato sacerdote mentre studiava in Spagna, all’Università Pontificia di Comillas. Conclusi quegli studi, venne trasferito, per altri studi, a Roma e l’11 settembre 1962 assistette all’apertura del Concilio, dall’alto del Colonnato di Bernini. Nel suo recente libro, “La traversata” ricorda: <<Più con il cuore che con lo sguardo seguivo l’incedere ondulante di Giovanni XXIII sulla sedia gestatoria che, uscito dal portone di bronzo, e preceduto da una fila interminabile di vescovi, entrava processionalmente in San Pietro per inaugurare il Concilio… Quel giorno lontano non potevo certo immaginare quanto l’evento ecumenico, che iniziava sotto i miei occhi, avrebbe segnato la mia vita>>.
Padre Sorge, come giudica il fatto che, ora, nelle celebrazioni per i 50 anni del Concilio Vaticano II si nota grande interesse intellettuale e culturale e poca partecipazione “attiva” da parte del “popolo di Dio”?
<<L’interesse intellettuale e culturale sia da parte di cattolici e anche di non cattolici è costituito dal fatto che il Concilio Vaticano II è stato e continua a essere un evento veramente grandissimo per l’umanità del nostro tempo. Dico “umanità” in quanto questo Concilio è diverso da tutti gli altri che lo hanno preceduto. Non riguarda solo la Chiesa Cattolica e i suoi problemi. Ha un respiro universale. Rappresenta un unicum nella storia della Chiesa, un caso del tutto singolare, in quanto nessun altro Concilio è stato mai convocato per le ragioni che hanno spinto Giovanni XXIII a indirlo. Lo scopo non era, come per i Concili del passato, di condannare l’una o l’altra eresia o di affermare l’una o l’altra verità di fede, né di contrapporsi a movimenti scismatici. Il Vaticano II è stato convocato al fine di “ridire” e quasi “ridefinire” l’identità cristiana, presa nel suo insieme e nei suoi aspetti principali, nel contesto storico e culturale dell’umanità globalizzata. E cioè studiare come annunziare il Vangelo in una società multietnica, multiculturale e multireligiosa; come dialogare con il mondo, condividendone la sorte, le speranze e i problemi; come presentare al mondo globalizzato la natura e la missione della Chiesa. Giovanni XXIII, nel suo discorso di apertura, quell’’11 ottobre, disse: “Lo spirito cristiano, cattolico e apostolico del mondo intero attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze”. E ancora: “E’ necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo”. Come vede, tutto è rivolto al mondo intero, tutto fatto per il mondo, per la missione della Chiesa all’interno del mondo intero>>.
Perché il “Popolo di Dio” non sente la solennità e l’importanza di questa ricorrenza?
<<Le ragioni vanno cercate nella situazione del nostro tempo. Questo cinquantesimo anniversario arriva in un momento difficile per la Chiesa cattolica. Ma non è certo la prima volta che la Chiesa attraversa momenti difficili. Infatti, è ineluttabile che, con il passare del tempo, polvere e sporcizia si depositino anche sugli uomini e sulle istituzioni della Chiesa, la quale – sottolinea il Concilio – cammina con il mondo e ne condivide “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce”. Avviene così, come è accaduto spesso in passato, che ogni qual volta la Chiesa diventa ricca e potente, appesantita da onori e da privilegi, ogni volta che la diplomazia oscura la profezia e i cristiani si chiudono in se stessi, lo Spirito Santo, che guida la Chiesa, interviene: la purifica, la rinnova e la riporta alla purezza delle origini. Ai nostri giorni, per riportare la Chiesa del terzo millennio alla purezza delle origini, lo Spirito Santo è intervenuto proprio con il dono del Concilio Vaticano II>>.
I numeri statistici della Chiesa dei nostri giorni, messi a confronto con quelli della Chiesa prima del Concilio, presentano una situazione che non è migliorata. Anzi, è peggiorata di molto.
<<I numeri delle statistiche vanno studiati e interpretati. . Bisogna tenere presente che in questi 50 anni il mondo è cambiato, nel bene e nel male. Tante sfide hanno mutato volto: l’ateismo non è più quello «scientifico» marxista, ma è quello pratico dell’individualismo dominante; l’umanità non è più divisa dal muro di Berlino, ma dai muri della povertà e della fame, dell’egoismo e del razzismo; la minaccia della guerra atomica ha lasciato il posto a quella del terrorismo internazionale. E altre sfide sono arrivate: il relativismo etico, seguito alla caduta delle ideologie e alla crisi dei valori; i flussi migratori in continuo aumento e inarrestabili; le contraddizioni di una crescita economica, culturale e tecnologica che, come ha affermato Giovanni Paolo II “offre a pochi fortunati grandi possibilità, lasciando milioni e milioni di persone non solo ai margini del progresso, ma alle prese con condizioni di vita ben al di sotto del minimo dovuto alla dignità umana”. E si devono aggiungere i gravi problemi etici, nati dall’applicazione delle nuove tecnologie soprattutto alla medicina e alla vita umana. In mezzo a questa rivoluzione, tremenda, la Chiesa e i cristiani hanno lottato e lottano. Molti sono stati sconfitti, ma molti hanno fortificato la loro testimonianza. Chi oggi frequenta la Chiesa, lo fa per sua profonda convinzione completamente libera. Le associazioni del volontariato, che coinvolgono soprattutto i giovani, sono un meraviglioso fenomeno di altruismo spontaneo. Le condizioni di lavoro degli operai (di quelli che il posto ce l’hanno, ovviamente!) sono migliorate. La consapevolezza della dignità della persona umana è più diffusa di un tempo. Nonostante tutte le apparenze, sono molte le famiglie nel mondo che vivono la fede cristiana con impegno serio. E tutto questo è dovuto in gran parte al Concilio Vaticano II>>.
A 50 anni dall’inizio del Concilio, quali sono, secondo lei, i cambiamenti che si sono dimostrati più importanti?
<<Giovanni XXIII nel suo discorso all’apertura del Concilio disse che bisognava fare un “balzo in avanti” verso una penetrazione dottrinale della fede e verso una formazione delle coscienze. 50 anni dopo penso che i “balzi in avanti” più importanti siano stati soprattutto tre.
<<Il primo è stato l’aver spostato l’accento dall’ecclesiologia societaria all’ecclesiologia di comunione. Ciò significa che la Chiesa non si può più considerare, come avveniva prima del Concilio, una “società perfetta”, un tempio chiuso, riservato ai fedeli cattolici, ma è una “comunità aperta”, “popolo di Dio in cammino attraverso la storia”; è lo stesso “Corpo mistico di Cristo”, al quale, (come si legge nel documento conciliare “Lumen Gentium”) “in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini, dalla grazia di Dio chiamati alla salvezza”. Il Concilio non nega affatto che il divino Fondatore abbia voluto la Chiesa come un’istituzione visibile, ma mette in luce che l’istituzione è subordinata al mistero di comunione degli uomini tra di loro e con Dio: “la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium n.1).
<<Il secondo “balzo in avanti” del Concilio è stato l’aver messo bene in luce la dimensione storica della salvezza: Cristo è Dio fatto uomo che entra nella storia del mondo, l’assume e la ricapitola in sé. L’Incarnazione, quindi, si compie nella storia dell’umanità, attraverso tutte le epoche e le culture. Ecco perché la Chiesa, che continua l’Incarnazione e la attua, s’incarna nella storia e cammina con il mondo, sentendosi “realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia” (“Gaudium et Spes” n.1). Pertanto, la fedeltà nella trasmissione delle verità rivelate, che compongono il cosiddetto depositum fidei, non va intesa in forma statica, quasi si trattasse di conservare la verità in una sorta di scrigno sigillato, da trasmettere ben chiuso e conservato di generazione in generazione; la fedeltà va intesa in forma dinamica: non solo non vieta, ma esige che si tenga conto dell’evoluzione nella conoscenza delle verità rivelate, grazie al divenire delle situazioni storiche e culturali. La verità rivelata aiuta a meglio comprendere la storia, e la storia aiuta a meglio comprendere la verità rivelata.
<<Il terzo importante «balzo in avanti» sta nella rivalutazione dell’autonomia e della laicità sia delle realtà terrestri, sia della missione propria dei fedeli laici. La salvezza evangelica e la promozione umana, pur essendo distinte, non sono estranee una all’altra; tra i due piani non vi è dicotomia o dualismo, ma integrazione e complementarità. Perciò, il Concilio ha ripensato in modo nuovo il rapporto tra fede e storia, tra Chiesa e mondo.
<<Questi tre “balzi in avanti”, o “aggiornamenti teologici” (con le conseguenti ricadute pastorali) sono stati possibili, grazie alla riscoperta della Parola di Dio. Infatti, il Concilio Vaticano II ha restituito alla Sacra Scrittura il valore di fonte primaria da cui promana la teologia, e ha messo in luce l’unione strettissima che c’è tra Sacra Scrittura e Tradizione: “La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della Parola di Dio affidato alla Chiesa”, si legge nella Costituzione “Dei Verbum”. Pertanto, sebbene “l’ufficio poi d’interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa sia affidato al solo Magistero vivo della Chiesa”, bisogna dire che il “Magistero non è superiore alla Parola di Dio, ma ad essa serve, insegnando solo ciò che è stato trasmesso”>>.
Questi tre “balzi in avanti” di natura teologica, quali conseguenze pratiche hanno prodotto in termini di riforma pastorale?
<<Su questo punto, a 50 anni dall’inizio del Concilio, si ha la netta sensazione di trovarci di fronte a un rinnovamento pastorale rimasto a metà.
<<In questi decenni di post-concilio, l’attenzione della Chiesa si è rivolta soprattutto all’aggiornamento dei suoi rapporti ad extra con il mondo: alla nuova evangelizzazione, alle relazioni tra Chiesa e Stato, al dialogo interculturale e interreligioso, ai nuovi problemi etici sorti dall’applicazione delle nuove tecnologie alla medicina e alla vita umana, ai problemi della giustizia, della pace, dello sviluppo e della fame. Da qui il forte impegno nel dialogo con il mondo, nella convinzione che la Chiesa non ha solo da dare, ma ha anche molto da ricevere, poiché “parecchi elementi di verità” si trovano anche al di fuori di essa, presso le religioni non cristiane e perfino presso i non credenti”, come indicano i documenti conciliari.
<<Ma, a fronte di questo notevole impegno ad extra, molto più lento e incerto appare lo sforzo fatto per la riforma interna della Chiesa. Su questo punto, anzi, sembra addirittura prevalere oggi un clima di stallo, se non proprio di riflusso. Certo, nessuno nega che la Chiesa abbia compiuto importanti passi avanti anche nel rinnovamento della sua vita interna; tuttavia maggiori appaiono i ritardi e le lentezze.
<<Il problema è che troppi, anche all’interno della Chiesa, ragionano ancora con le categorie mentali della vecchia “cristianità” e non si rassegnano al fatto che questa invece sia finita da un pezzo. E’ definitivamente tramontato il tempo, in cui, soprattutto nei Paesi di antica evangelizzazione, la fede era la culla in cui venivamo accolti nascendo, la famiglia cristiana era la prima “Chiesa domestica”, la parrocchia era il luogo nel quale ci raccoglievamo ogni domenica a pregare, dove si vivevano gli appuntamenti decisivi della nostra vita: dal Battesimo alla Prima Comunione, alla Confermazione, al matrimonio, ai funerali, quando la vita civile era scandita dalla festività religiose, le leggi erano sostanzialmente coerenti con la morale cristiana, eccetera. Ebbene, tutto ciò è finito per sempre, sia sul piano storico, sia su quello teologico. Nell’epoca della globalizzazione e della secolarizzazione, il contesto socioculturale è divenuto ormai irreversibilmente pluriculturale, plurietnico e plurireligioso. Per agire da fermento spirituale, culturale e sociale, la Chiesa deve porsi in modo nuovo>>.
Quali sarebbero i cambiamenti più urgenti da realizzare?
<<Quelli indicati, appunto, dal Concilio. Una prima conseguenza delle acquisizioni teologiche del Concilio è il superamento di ogni forma di “clericalismo”: nella Chiesa non vi sono cristiani di serie A (il clero) e di serie B (i laici), ma, come si legge nella “Gaudium et Spes” al numero 32 “comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione. Nessuna ineguaglianza, quindi, in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla razza o nazione, alla condizione sociale o al sesso. Quantunque alcuni per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo”. La Gerarchia non è al di sopra, ma all’interno del Popolo di Dio; l’autorità nella Chiesa non è burocrazia o amministrazione, ma è servizio e testimonianza.
<<Un’altra conseguenza pastorale delle acquisizioni teologiche conciliari è la rivalutazione del ruolo proprio dei fedeli laici nella Chiesa e nel dialogo con il mondo. In una Chiesa non più “società perfetta” ma “popolo di Dio in cammino nella storia”, i fedeli laici non sono più minorenni, né “preti mancati”, né delegati del clero, ma ricevono direttamente da Cristo, nel battesimo e nella confermazione, la missione unica, propria di tutto il “Popolo di Dio”, partecipando – nella loro misura – dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo.
<<A questo punto è chiaro che, per portare a compimento la riforma voluta dal Concilio, s’impone uno sforzo formativo straordinario, soprattutto sul piano della maturazione della fede. E’ questa la conseguenza pastorale più importante dei “balzi in avanti”, compiuti dal Concilio sul piano teologico e pastorale. Infatti, solo da una fede matura può derivare nella Chiesa la ripresa di spiritualità, di cui ha bisogno per portare a termine il suo necessario rinnovamento interno. La ripresa – insiste il Concilio – troverà il suo alimento soprattutto nella riforma liturgica e nella pratica della lectio divina.
<<E questo tema – coltivare una fede adulta – è stato scelto come priorità assoluta da Benedetto XVI fin dall’inizio del pontificato. Già nell’omelia dell’8 aprile 2005, nella messa pro eligendo pontifice, spiegò: “Fede adulta non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. E’ questa amicizia che ci apre tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità”.
<<Papa Benedetto XVI, di recente, ha ripetuto che alla radice dei problemi della Chiesa odierna vi è “una profonda crisi di fede”. E per rispondere a questa crisi, ha indetto, tra l’ottobre 2012 e il novembre 2013, l’“Anno della fede”>>.
Di fronte al prossimo futuro, qual è il suo stato d’animo?
<< Positivo e pieno di speranza. Molti “segni dei tempi” annunciano un domani migliore, una maggior comprensione tra i popoli, un futuro di pace, di sviluppo, di promozione dei diritti umani. E’ indispensabile, perciò, che la Chiesa s’impegni con più coraggio nella sua riforma interna, dalla quale dipende il pieno raggiungimento del fine stesso per il quale il Vaticano II è stato indetto 50 anni fa>>.
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