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Lourdes: un’esperienza di vitalità

Non solo un viaggio, un’esperienza da raccontare

Cari lettori dell’Indro, quello che mi accingo a scrivere è forse l’articolo, più complesso e delicato, di quelli che ho fatto finora per il nostro quotidiano. Complesso, perché i temi  da affrontare al cospetto del Santuario della Madonna di Lourdes, sono di una tale portata, che mettono, o rimettono in discussione, i percorsi e i convincimenti di una vita di chiunque abbia l’opportunità di immergersi, nel vero senso della parola, in questa esperienza. Delicato, proprio perché l’universalità degli interrogativi che ognuno ha, sul senso e la finalità della propria esistenza e della sua  missione, affiorano prepotentemente in questo contesto, dal letargo della coscienza di “noi moderni”. Non desidero minimamente, con questo articolo accendere dispute e/o passioni tra le “tifoserie” dei credenti con i non credenti e viceversa.

Per quanto mi riguarda, non penso di avere ancora le spalle così robuste, per potermi fieramente definire credente, sono ancora, come forse da sempre un semplice “sperante”, tenacemente “sperante” questo si. Come penso si sia potuto capire, chi scrive, per misteriosi percorsi del destino, o di volontà superiori inintellegibili, ognuno la prenda secondo il proprio punto di vista, si è trovato a essere ospitato e,  coccolato come da tempo non gli accadeva di essere, dagli organizzatori del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme di Rodi e di Malta, del Pellegrinaggio significativamente dedicato a “La gioia della conversione”. Come nel mio caso, sul quale non ritengo opportuno indugiare oltre, chiunque si trovava ospite nel Pellegrinaggio organizzato dall’Ordine, era presente in quanto afflitto da qualche invalidità o patologia di una certa rilevanza. In ognuno dei partecipanti, tra le pieghe anche dello scetticismo, albergava un convincimento, di poter ottenere un qualche beneficio dalla Madonna di Lourdes. Un vero e proprio miracolo magari no, ma un sostegno e un restauro dell’ anima, nel sostenere condizioni, in alcuni casi veramente gravose, questo si.

A questo punto mi corre l’obbligo, per rendere meglio comprensibile il tutto, di illustrare alcune fasi del Pellegrinaggio. Tutti gli ospiti Pellegrini, erano assistiti, ventiquattro ore su ventiquattro dai Cavalieri e dalle Dame dell’Ordine. Persone che si mettono a disposizione, alcuni da svariati anni, altri addirittura da decenni, per il buon esito della iniziativa. Al di là dei meccanismi di selezione e accettazione da parte dell’Ordine, di coloro i quali vogliono partecipare, ci tengo a evidenziare che tutto si svolge su base volontaria, completamente a spese proprie, con un ulteriore dazione, per coprire tutte, e devo dire proprio tutte, le spese degli ospiti. Da quello che ho potuto capire molti degli appartenenti all’Ordine di Malta, operano la loro attività di volontariato, in modo costante durante l’anno, nelle loro città di residenza, seguendo e promuovendo svariate iniziative di benefica solidarietà. Un altro aspetto, devo dire sorprendente, è stato quello di constatare la generosa e impeccabile presenza operativa di ragazzi e ragazze, e perfino quella particolarmente emozionante di bambine bambini. Tutti intenti, a trasportare gli ammalati da una funzione religiosa all’altra, o a dar loro assistenza, dalle prime esigenza di cura personali del mattino. Dalla vestizione al fare la barba ad esempio. Elemento ancora più curioso, è quello che molti nuclei famigliari, madri, padri e figli, partecipano insieme, nel dare risposte alle necessità dei pellegrini. Tutte persone splendide, con le quali tra “noi malati” e “loro”, scattano direi in automatico, meccanismi di grande empatia, di dialoghi profondi, senza che essi siano minimamente lagnosi o retorici, anzi ci siamo fatti pure un bel po’ di risate.

Vi era un atmosfera di sereno raccoglimento. L’empatia che nasceva tra noi, sfociava in confidenze reciproche, su vicende penose delle nostre esistenze. Ma dichiarate e vissute in quel magico contesto, apparivano più leggere da sostenere. Un vivissimo, senso di spiritualità era nettamente percepibile in ogni dove. Un quasi inspiegabile senso di armonia, accompagnava anche gli atteggiamenti più minuti. Era molto bello, tonificava l’anima. Vorrei citare uno per una,  le Dame i Cavalieri e i barellieri di questa, felicemente spiazzante avventura. Non posso esimermi però dal citare Giulia Ussani, ben più che responsabile di noi ammalati, ma vero e proprio “angelo custode”, con un sorriso e disponibilità, nei confronti di ognuno di noi sempre frizzante nella sua efficienza.  Grazie ancora a Voi tutti. Vorrei lasciare ora un po il terreno da cronista, per il quale mi correrebbe l’obbligo di citare tutte le attività  alle quali ho partecipato, tipo quello che viene definito “flambeau”, suggestiva ed evocativa processione notturna, con gli ammalati portati nelle loro “voiture” (ospitali e comode carrozzine trasportate dalla Dama o Cavaliere barelliere di turno), compiono con lumi cantando canti di omaggio alla Madonna di Lourdes. Più scrivo, e più mi rendo conto quanto mi risulti stretta la “pezzatura” di un articolo per dire tutto quello che mi sentirei di scrivere. Ma  un incontro, che ho avuto, non posso fare a meno di segnalarlo. Incontro che per le modalità, con le quali si è verificato, recava con se’ atmosfere, che potevano ricordare quelle della grande narrativa russa dell’ottocento, un poco misterioso e fantastico. Ero solo in quel momento, nella stanza dove alloggiavo, quando un sacerdote, dall’aspetto semplice, essenziale, senza alcuna formalità particolare, ha cominciato a stimolare una chiacchierata con me, che alla fine si è trasformata in una vera e propria Confessione, con tanto di preghiere che avrei dovuto dire. Il tutto è avvenuto con una tale leggerezza, che mi ha sbalordito. Durante il nostro incontro, il sacerdote che avevo conosciuto in quell’occasione, a un certo punto a seguito di alcune mie considerazioni di ordine generale, aveva detto “Alla fine siamo tutti sulla stessa barca”.   Quest’ultima frase, ha rappresentato, per me, un dardo folgorante di umile senso di umanità, nella quale soltanto, a mio avviso, può albergare l’autorevolezza del buon Pastore. Se la ricchezza, nella sua sobrietà, di quella conversazione, ha avuto, forse come naturale suo sbocco, quello del Sacramento della Confessione ben venga. Sono tornato con il cuore più leggero e sereno. E così è stato pure per i miei compagni di viaggio. Penso che in realtà, siano poche le esperienze, come questa che ci riportano, alla inarrestabile forza della “banalità del Bene”. Non ci vorrebbe poi molto in definitiva. Saliamo un primo gradino, quello dell’umiltà, e rimarremo irreparabilmente storditi, da quello che avremmo modo di vedere. E questo, penso di poterlo assicurare farebbe bene veramente a tutti, credenti e non credenti.  Per quanto riguarda gli “speranti”, cerchiamo di fare del nostro meglio.

Massimo Pedroni

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