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Fare mio il dolore dell’altro a #Lourdes

Diocesi: Roma, pellegrinaggio a Lourdes. Card. De Donatis, “consolare vuol dire fare mio il dolore dell’altro”

“Dio ci consola per consolare. Questa è l’eredità di Lourdes di questi giorni, anzi direi di questi 162 anni. Questo è un luogo in cui impariamo a benedire, perché siamo benedetti e a consolare, perché siamo consolati”. Lo ha detto, stamattina, il cardinale vicario Angelo De Donatis, rivolgendosi ai partecipanti al pellegrinaggio della diocesi di Roma a Lourdes, nella messa conclusiva.

“La consolazione di Dio non è qualcosa, ma Qualcuno: è Cristo stesso – ha chiarito il porporato -. È Lui che con l’incarnazione ha condiviso la nostra umanità e le nostre sofferenze per dirci che non saremo mai soli, nemmeno nell’ora della morte”. Consolare infatti, ha spiegato il cardinale, “non vuol dire solo una pacca sulla spalla, un porgere un fazzoletto, un abbraccio. Vuol dire fare mio il dolore dell’altro, vuol dire essere partecipe, mettersi in cammino con chi soffre. Se posso fare un esempio, consolare non significa mandare un telegramma o un messaggino quando una persona ha avuto un grave dolore o un lutto… Questo non è consolare, ma formalità. Significa uscire di casa, percorrere la strada che mi separa dalla casa di quella persona, anche se lontana. E poi stargli accanto, senza la pretesa di risolvere il problema o di guarire. Ma esserci”.

Nel culmine della pandemia, ha ricordato il card. De Donatis, “la sofferenza più grande dei ricoverati è stata quella di essere soli. Ho saputo di testimonianze di infermieri che sono stati accanto, al di là della loro professione, come fossero familiari, per permettere ai malati di soffrire e di morire sentendo qualcuno vicino, che li consolava, tendendo la mano, un segno che richiama immediatamente alla prossimità, alla solidarietà, all’amore. In questi mesi di sconforto e smarrimento, quante mani tese abbiamo potuto vedere! La mano del medico, dell’infermiera e dell’infermiere, del farmacista, del volontario. E altre mani tese potremmo ancora descrivere fino a comporre una litania di opere di bene. Tutte queste mani hanno sfidato il contagio e la paura pur di dare sostegno e consolazione”. E “Gesù è così. È una mano tesa come quella di un medico o di un infermiere che cura le mie ferite del corpo e del cuore”.

Il porporato propone un impegno: “Chiediamo a Maria di aiutare le nostre comunità parrocchiali o religiose ad essere veramente una madre dal cuore aperto, capaci di consolare, di accogliere, di sostenere. Ciascuno di noi pensi ad una situazione particolare di una persona o di una famiglia della comunità che potremmo in qualche modo adottare, nella preghiera, nell’amicizia e, se possibile, nel sostegno materiale”.

(G.A.) – AgenSIR.IT

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