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L’incanto della solidarietà

Autore: Davide Verderio
Salire su un treno stracarico, mettersi al servizio dei più deboli per ritrovarsi poi più forti, dentro. Donare un pizzico di felicità e riceverne il doppio. In pellegrinaggio a Lourdes con l’U.n.i.t.a.l.s.i.

TUTTO TORNA
Un grave incidente d’auto, la concreta possibilità di non farcela, una strana coincidenza a cui segue un’insperata salvezza. Sono passati già sei anni dalla promessa di recarmi a Lourdes come volontario. Allora non sapevo nemmeno dove fosse, il mio era solo un goffo tentativo di mostrare riconoscenza per la seconda possibilità che mi veniva concessa.
Poi il mese scorso ecco che tutto torna, perchè la vita fa i suoi giri ma arriva dove deve arrivare. Barelliere a Lourdes è la proposta di un amico, ha già dei contatti e possiamo partire con il pellegrinaggio di settembre. Rintracciamo via mail il presidente della sezione Monza dell’U.n.i.t.a.l.s.i., si chiama Vittorio ed è talmente gentile e disponibile che trova il modo di far partire anche due barellieri improbabili come noi; ci spiega che una volta in viaggio ci verrà detto cosa fare, ma che più o meno si tratterà di accompagnare le persone malate alla messa e ad altre funzioni religiose. Alla fine sarà molto più che questo. Sarà condivisione, stanchezza, disponibilità, e amicizia, anche profonda, in qualche caso superficiale, ma non per questo meno trasparente e sincera. Arriva il giorno della partenza, in una stazione di periferia una piccola folla di uomini in blu e donne vestite di bianco si danno da fare con bagagli, attrezzature mediche e viveri. Vedo molte carrozzine, ma il piazzale splende di risate e saluti e il clima festoso mi riporta ai tempi della scuola, quando si partiva per la gita di fine anno. È già pomeriggio quando mi ritrovo su un treno mezzo sgangherato sotto il sole di Milano. Paolo, che è l’unica persona che conosco, è in un altro vagone. Non so niente, né quello che devo fare, né quello che mi aspetta. Sono solo. Anzi no, soltanto che non lo so ancora.

UN LUNGO VIAGGIO
Il treno sferraglia e si incammina lento verso la Francia, l’altoparlante saluta la comitiva e propone una preghiera per dare inizio al pellegrinaggio. La realtà della situazione mi piomba addosso, mi sento fuori luogo, con almeno 20 ore di viaggio davanti, comprendo gli impegni che non avevo considerato di aver preso. Cosa ci faccio qui? Faccio in tempo a scendere dal treno? Tornano i dubbi, chiedo di nuovo a Paolo se questa cosa non sia riservata ai “veri cristiani”, quelli come lui, con una fede salda e una grande, attiva, devozione. Mi dico che le persone sono qui per seguire gli insegnamenti di Gesù Cristo, che considerano un dovere ben preciso il servizio ai nostri simili, e io? Io sono qui solo per dare una mano, di mio, e per onorare una promessa.
Avrò modo di capire quanto la differenza di motivazioni sia labile e poco importante, ora però ho un problema: non conosco le preghiere. È assurdo, partecipo a un pellegrinaggio cattolico a Lourdes e non conosco il “Salve Regina”, maschero il disagio dandomi da fare con la distribuzione della merenda prima, e della cena poi. Avanti e indietro sui vagoni conosco i furgonieri che preparano il cibo, quelli che mi danno le coperte che porto ai malati, le “sorelle” della segreteria; con tutti si scherza e ci si dà una mano. Parlo con i compagni di cuccetta, ognuno con una storia diversa ma tutti accomunati dalla certezza che essere qui è speciale. Siamo scomodi, ci vorranno circa 24 ore, ma “vedrai, è bellissimo” ripetono. Intanto per i corridoi è un via vai di persone che si salutano, si aiutano. Inizio anche io a salutare, aiutare diventa naturale, tutto è cambiato. Mi sento già parte di questa carovana, io che intimamente pensavo di non c’entrare niente con loro.

TUTTO È PLAUSIBILE
Intanto i “servizi” che mi erano stati assegnati dal direttivo aumentano: oltre al trasporto ammalati, il corso dedicato al personale del primo anno e lo scarico bagagli, si aggiunge l’opera di assistenza al Salus, la struttura ricettiva che l’U.n.i.t.a.l.s.i. ha comperato e gestisce a Lourdes.
È stato Eliseo, un veterano dei barellieri, a volermi con sé per mostrarmi come vivere l’esperienza del volontariato in maniera completa. Scendiamo dal treno alle 9.00 del mattino, piove e un autobus ci aspetta per condurci agli alloggi. Siamo già di turno, lascio la valigia in hotel e salgo al terzo piano del Salus, dove pellegrini e ammalati arrivano in quella che sarà la loro casa per i prossimi giorni. Nonostante la stanchezza e il sonno mi ritrovo ad accoglierli con un sorriso. 

Eliseo conosce tutti e diffonde buonumore, grazie a lui mi sento subito a casa. Il tempo vola e dopo un ottimo pranzo al self-service arriva la mia prima visita alla grotta dell’apparizione.
Era il 1858 quando una ragazzina di questo piccolo villaggio ai piedi dei Pirenei, raccontò di uno strano incontro con una bella signora in una grotta. Quella grotta, questo luogo, rappresenta oggi uno dei centri di spiritualità e di fede popolare più intensi di tutto il mondo cristiano.
Per la prima volta in vita mia sento la suggestione/presenza dell’extra-terreno: in un misto di stupore e paura penso che proprio lì, al di là di quel ponticello, “forse” è apparsa la Madonna.
Più mi avvicino e più la suggestione si affievolisce, è strano perché allo stesso tempo si affievolisce anche il “forse”.
Sento che qui è tutto più plausibile, come mai mi è successo prima le ardue convinzioni cattoliche mi sembrano normalissime verità.

QUALCOSA DI BUONO
Eccomi di fronte alla statua di Maria nella grotta, solo in mezzo al silenzio di una miriade di persone. Strano per me essere qui, tento una preghiera impacciata ma cambio strada e ringrazio con parole mie. Penso agli ultimi sei anni, a tutto quello che mi è successo e che avebbe potuto non succedere; penso a mia moglie, mia figlia e al bimbo in arrivo: rari e meravigliosi doni da non dare per scontati. Mi sento al posto giusto, suggestione o no, Lei mi sembra contenta che, anche se in ritardo, finalmente io sia qui.
Mantengo il controllo, non voglio essere come quelli che arrivano qui talmente carichi di sovrastrutture che gli basta un niente per commuoversi. E poi come posso versar lacrime davanti a Maria, io che sto bene, non prego e non vado in chiesa? Non ne ho proprio diritto, mi giro e torno verso Eliseo che invece finalmente è “a casa”. Ventitre anni di pellegrinaggi non gli bastano a dominare le emozioni che prova davanti a Maria, vedo in lui il privilegio e la sofferenza di un rapporto speciale. 

Torniamo al Salus con la voglia di non risparmiarci, una doccia, la cena e poi il turno di notte, per dormire ci sarà tempo. Fare la notte al piano è speciale, le nostre tante diversità si azzerano intorno a una tazza di caffè, si scherza, si spolverano i ricordi, si condivide. La confidenza cresce con l’attenzione per gli ammalati, per la loro voglia di raccontarsi, per le loro poche esigenze. Prepariamo la prima di molte camomille, siamo tutti stanchi, ma contenti. Dimentico il tessuto religioso che dà il senso a tutto, sono serenamente parte di quest’atmosfera da commilitoni in cui si è tutti parte di qualcosa di buono, speciale e normale al tempo stesso.

LA FEDE RESTA UN DONO
Al Santuario intanto risplende ovunque l’immagine di Maria. Non si sottrae al dolore, alle sofferenze dei tanti occhi che la cercano, ma sembra si lasci idealmente abbracciare da chi non la può raggiungere. Consolazione, in una parola. È sera, sotto la pioggia spingo la carrozzina di Gianfranco durante la fiaccolata: un fiume di luce tremolante guida gli ammalati verso la statua della Vergine, intorno a me un’unica grande famiglia vive l’armonia senza eccessi, come fossero davvero tutti figli di Maria e fratelli e sorelle fra loro. Mi chiedo se non sia anche questo il segno di una presenza silenziosa che tocca l’intimo dei loro cuori, e che solo chi è “lontano” come me non sa vedere. 

Giorni dopo, anche se stremato, seguo Paolo in una via Crucis sulla collina alle spalle del Santuario, siamo in pochi e il buio della notte ci avvolge. Proseguiamo in salita fino alla crocefissione di Gesù per poi ridiscendere alla deposizione del corpo nel sepolcro; il sacerdote spiega che non bisogna fermarsi alla morte, essa è solo un passaggio verso la vita eterna. Il piccolo gruppo, cantando lodi a me sconosciute, si incammina verso l’ultima stazione. Rimango indietro mentre la scena si svuota, resto a guardare il sepolcro che sta per accogliere il corpo senza vita di Gesù. È difficile vedere oltre, difficile credere. Tolta l’atmosfera incantata, la suggestione e il senso di pace, si resta soli con se stessi. La fede non si può inculcarla, la fede resta un dono. E anche chi non l’ha ancora ricevuto, però, qui ha la fortuna di poter regalare un po’ di stanchezza e di fatica ai più deboli. Così una piccola via crucis, alla portata di tutti, può essere percorsa anche da chi cerca ancora la sua verità.

GIORNI DI LUCE
I giorni passati qui sono giorni di luce. Tutto è limpido, fluente e naturale. Le cose da fare non conoscono sosta, condivido ogni minuto, la pioggia e le risate si fondono; sembra che tra le persone regni quel legame primordiale, sincero e intimo, che dovrebbe essere alla base di tutti i rapporti umani e che avevo iniziato a dimenticare. Non ricordavo l’assoluta semplicità dei rapporti umani. A casa si fa fatica a comunicare, qui volti sconosciuti mi chiedono come va, mi chiamano fratello, mi trattano da amico, non per dottrina cattolica ma per semplice armonia. Questo modo di vivere non è semplicemente il volere di Dio, a cui non serve una forma ufficiale per esser messo in pratica? Il servizio agli ammalati si dimostra un viatico per grandi esperienze: spingendo una carrozzina ascolto storie straordinarie, ricevo sorrisi sinceri, sento la riconoscenza di coloro con cui, per poco, condivido sofferenza e speranza. Non mi pesa la pioggia, il raffreddore, il sonno e il mal di schiena, sto bene e ogni giorno i legami crescono. Mi ritrovo persino alle piscine per fare il bagno con un ammalato, pregando che lui stia meglio vivo momenti intensi che servono quasi più a me che a lui. 

La maggior parte dei volontari dell’U.n.i.t.a.l.s.i. ha un volto sorridente che rallegra chi lo incontra, essi sono la testimonianza di quanto il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri. Queste persone scelgono di autare il prossimo. Lo scelgono. E in fondo credo non importi poi molto se la motivazione che li spinge ad andare avanti sia profondamente religiosa o meno, il mondo è comunque migliore se aiutiamo le persone meno fortunate a raggiungere la loro piccola, intima, parte di felicità.

CONOSCERE, DONARE, RICEVERE
Quindi conoscere, donare, ricevere. Un percorso obbligato qui a Lourdes. Tra i miei doni personali le storie che ho ascoltato, come quella di Fiorina, 70 anni e miracolata all’età di 26: da allora ogni anno viene a trovare la sua “Mamma”, unico momento in cui i suoi occhi bui vedono la Luce, una luce dalla bellezza struggente. Storie comuni di fede silenziosa, come quella di Gianfranco e di sua madre, che ogni anno con costanza salgono su un treno verso una speranza mai sopita. Lourdes per me è stato la simpatia e la dolcezza di persone speciali, come le sorelle con cui ho lavorato al Salus, so che, anche se per poco, mi hanno voluto bene. 

Ricorderò sempre la “tranquilla frenesia” di questi giorni, i momenti profondi come le risate con Paolo. Temevo di trovare persone bigotte e grigie, ho trovato persone gioiose, splendenti. Speciali come Eliseo, che malgrado una vita dura non ha scelto la strada del risentimento, ma quella dell’allegria e della solidarietà e, non so bene per quale motivo, ha scelto me come suo “allievo”, regalandomi ricordi preziosi e un’amicizia profonda. 

L’ultima notte a Lourdes, alla grotta dell’apparizione il silenzio avvolge la luce soffusa delle candele e io penso ai giorni trascorsi. Sono arrivato qui senza preparazione, senza pregiudizi o convinzioni, ma con il cuore aperto e la volontà di rimanere me stesso. Questi giorni mi hanno mostrato un modo di vivere la fede che non conoscevo, ho visto quanta similitudine può esserci tra la propria volontà e il disegno di Dio e che il confine tra me e i cattolici praticanti non è sempre quel mare immenso che pensavo. Forse la voce di Dio è la voce stessa della nostra coscienza, scegliere di darle ascolto è facile, a Lourdes.

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