#Lourdes Parla il presidente del Bureau medical
Il medico. Parla il presidente del Bureau: qui scienza e fede cercano la verità
l ruolo dei medici si ferma con l’accertamento dell’avvenuta guarigione. È l’autorità ecclesiale a riscontrare nell’evento da noi certificato l’eventuale intervento divino
Alessandro de Franciscis è il presidente del Bureau des constatations médicales di Lourdes, l’ufficio preposto allo studio, su base scientifica, degli episodi di guarigione segnalati nel Santuario francese. Fino al 2009, anno in cui è chiamato dal vescovo di Tarbes e Lourdes per ricoprire questo ruolo, conduce un’intensa attività professionale e accademica. È stato parlamentare dal 2001 al 2006 e presidente della provincia di Caserta dal 2005 al 2009, quando presenta le sue dimissioni per rispondere a quella che definisce una “vocazione”.
Professore, com’è avvenuto questo passaggio dalla vita politica al Bureau des constatations medicales? In realtà non c’è stato alcun passaggio: sono arrivato a Lourdes per la prima volta nel 1973 come barelliere dell’Unitalsi e sono tuttora iscritto. Quando mi dimisi, l’unico mio scrupolo era nei confronti del mandato diretto ricevuto dagli elettori che però, fin dai tempi della presidenza della sottosezione Unitalsi di Caserta, mi avevano conosciuto come «Sandro il barelliere » e in molti mi hanno incoraggiato ad accettare questo compito.
Qual è la prima responsabilità che deriva da un ruolo come il suo? La ricerca della verità. Lourdes è unica in questo aspetto. Il legame tra attesa di guarigione e religiosità è in tutte le religioni del mondo, senza esclusioni. Ma a mia conoscenza, non vi è altro luogo di pellegrinaggio nel quale l’autorità religiosa ha deciso di fare un passo indietro e di consentire dapprima al metodo scientifico di entrare nella verifica della guarigione.
Il Bureau come paradigma ideale di spazio di dialogo tra scienza e fede? Certamente e la saggezza di Lourdes è nell’aver scisso i due aspetti. Il ruolo dei medici si ferma con l’accertamento dell’avvenuta guarigione. È l’autorità ecclesiale a riscontrare nell’evento da noi certificato l’eventuale intervento divino. In 130 anni abbiamo dato prova di essere un’istituzione nella quale anche i non credenti sono sicuri di essere in un luogo onesto. Al nostro primo seminario scientifico internazionale (2012) c’erano diversi esperti agnostici, tra cui il Nobel Luc Montagnier, che hanno potuto confrontarsi in totale libertà e trasparenza. In quella stessa occasione la professoressa Esther Sternberg, (anche lei non credente), ha potuto presentare le sue teorie per le quali esperienze emotivamente forti possono indurre processi di guarigione.
Ma una teoria del genere, se verificata, non renderebbe la fede superflua? Ritengo di no. Non si è cristiani perché si crede nei miracoli ma per il riconoscimento della signoria di Cristo e in quello di noi stessi come figli di Dio Padre. Nel Nuovo Testamento, scritto in greco, i miracoli vengono detti semeia, cioè «segni», operati da Gesù per la prima comunità cristiana. Aggiungo che la grande novità della medicina accademica degli ultimi anni è la riscoperta dell’importanza della religione. Il professor Tyler VanderWeele ha recentemente scoperto che le donne che frequentano almeno due volte a settimana un luogo di culto hanno una mortalità per accidenti cardiovascolari pari al 30% del resto della popolazione Usa.
Matteo Marcelli per Avvenire.IT
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