Quell’abbraccio sentito a Lourdes
«Lourdes? Là ho trovato il Paradiso, la gioia vera di sentirmi tra le braccia del Signore e della Madonna».
Il sorriso accompagna le parole di Danila Castelli, l’ultima guarigione «inspiegabile» – la sessantanovesima – avvenuta presso il Santuario mariano transalpino ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa e ratificata un anno fa, nel giugno 2013, dal vescovo di Pavia Giovanni Giudici.
Danila è pavese – bereguardina per l’esattezza -, ha sessantotto anni, è moglie di un famoso ginecologo e ha quattro figli. Le sue parole hanno conquistato la numerosa platea dell’Auditorium di via Sant’Antonio, a Milano, nell’incontro organizzato dal Rotary Club Assago Milanofiori sul tema «Lourdes: guarigioni, miracoli, carità verso i malati». Accanto a Danila Castelli il responsabile del Bureau Medical di Lourdes Alessandro De Franciscis e il vicario generale dell’arcidiocesi di Milano Mario Enrico Delpini. A introdurre la serata Luigi Valenti, presidente del Rotary organizzatore, chirurgo in forza al Policlinico San Matteo di Pavia, una delle strutture dove Danila è stata più volte ricoverata.
Ad ascoltare, oltre ai rotariani, anche rappresentanti delle varie sezioni lombarde del-l’Oftal, dell’Unitalsi, della Fondazione don Carlo Gnocchi. «Lourdes è un modo per interpretare la malattia alla luce della carità – ha esordito il vescovo Delpini – parlare di malattia genera imbarazzo. Tutti sappiamo che la incontreremo o l’abbiamo già incontrata, ma resta qualcosa di inquietante. Un pellegrinaggio dice un gesto di Chiesa, un percorso condiviso con il malato che non resta solo, un modo di pregare senza evadere dalla propria situazione».
Danila Castelli, negli otto anni della malattia, ha compiuto tre pellegrinaggi a Lourdes. «Sono sempre tornata malata – racconta – e del resto mai ero andata chiedendo di guarire, ma solo di poter gioire nella preghiera e nell’incontro con la Madonna e con gli altri ammalati ». Aveva 34 anni, Danila, quando comincia a soffrire di gravi crisi ipertensive che portano a una diagnosi senza via d’uscita: una forma tumorale chiamata tecnicamente ‘feocromocitoma’, per cui il proliferare di cellule impazzite producono sostanze che mandano la pressione alle stelle. Non ci sono cure, si deve solo rimuovere la parte di tessuto dove si sospetta la presenza di queste cellule. E così avviene, progressivamente, per Danila, costretta a una serie infinita di interventi. «Per i miei figli ero una mamma ‘con la valigia’ – spiega – non sono mai stata disperata per me, ma non sopportavo di vedere il dolore sul loro volto e su quello di mio marito».
Nel 1989 anche il più ottimista dei medici cede le armi. A maggio, quando nemmeno si riesce a reggere in piedi, Danila vuole raggiungere un’ultima volta Lourdes, questa volta insieme al marito, che si era sempre rifiutato. «Noi due soli, un ultimo viaggio di nozze – commenta – il desiderio di gioire ancora una volta insieme prima di morire». E quando esce dalla piscina del Santuario Danila avverte una sensazione di grande benessere. Sta bene. «La fatica maggiore del credere è stata proprio nel momento dell’incredulità, delle mille domande, del ‘perché proprio a me?’. Me lo sono chiesto tante volte, ma non c’è una risposta. A Lourdes nulla avviene per caso. Bisogna seguire il Signore e basta, forse non ero ancora pronta per andare da Lui, o forse mi è stato concesso ancora tempo per parlare dell’infinito amore di Dio». Danila Castelli sin da bambina sognava di diventare missionaria. La sua missione, anche da unitalsiana, ora è questa, testimoniare con la sua storia come «quando si aprono le porte all’amore di Dio anche l’impossibile può diventare possibile».
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