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Tutte le vittorie di Rita

Oltre l’handicap
TUTTE LE VITTORIE DI RITA

Costretta a vivere su una carrozzella, a 23 anni ha trovato la forza di essere d’esempio agli altri, in senso umano e cristiano. Scrivendo.
E “volando”.

Sul suo biglietto da visita c’è una farfalla. Come quelle che riempiono la pagina iniziale del suo Sito e che decorano il suo studio. Del resto, Rita lo ha scritto nel suo ultimo libro e ama ripeterlo spesso: «Il Signore non mi ha dato la facoltà di camminare, ma mi ha offerto la possibilità di volare». E lei, disabile dalla nascita, ha saputo mettere le ali alla sua sedia a rotelle per mostrare al mondo, e soprattutto a chi si trova nella sua condizione, che la diversità fisica può non essere impedimento alla felicità e alla realizzazione di sé stessi e dei propri sogni.

Rita Corazzi, “Caterpillar” per gli amici, è una ragazza di 23 anni dal dolcissimo sorriso e dal carattere di ferro, che vive a Reggio Emilia con la madre Marta. Laureata in Lettere moderne, è iscritta al primo anno di specializzazione in giornalismo. È autrice di sei libri, l’ultimo dei quali è la sua autobiografia e s’intitola Un volo di farfalla (Piemme).

Rita è affetta da una tetraparesi che la costringe all’immobilità. Nata prematura nel 1986, con gravissimi problemi alle gambe, in seguito a un intervento chirurgico finito male, dall’età di 10 anni si muove soltanto in carrozzella.

«Ricordo i primi anni di vita e i tentativi di cure per camminare come tutti gli altri. Disprezzavo il mio corpo e dentro di me si accendeva una rabbia cieca», afferma. «Dopo l’intervento fallito e il calvario della convalescenza, iniziai a odiare la sedia a rotelle. Ci avrei messo 10 lunghi anni a perdonare chi mi aveva operato. Ero solo una ragazzina e vedevo già sfumare tutti i miei sogni: avere, un giorno, un compagno, farmi una famiglia. Ero adirata col mondo e soprattutto con un Dio ingiusto».

Nonostante ciò, Rita si iscrive al liceo classico Ariosto di Reggio, la prima disabile della regione a frequentare il ginnasio. E lì accade l’imprevisto che le cambia la vita. «Il mio insegnante di religione, don Giuliano, mi fa una strana proposta: “Vieni a Lourdes con me”».

Succhiare il midollo della vita

Rita accettò e quel pellegrinaggio, a cui ne seguirono molti altri, fu decisivo. «Forse ero stanca di essere in guerra con Dio, sta di fatto che ne uscii trasformata, perché ho iniziato a dare un senso alla mia vita. Davanti alla Madonna di Lourdes ho anche sperato nella guarigione fisica. Poi ho compreso che ero una miracolata in un altro modo: nello spirito, cioè una convertita. Ho capito che la mia condizione di disabile m’ha dato tanta sofferenza, ma anche una vita piena di ricchezza».

Forse lo stesso intervento chirurgico è stata la sua “salvezza”: «Mi ha salvato da una vita vuota, banale, piena d’egoismo, mentre come malata la mia vita ruota attorno a Lui, che ha costruito un progetto per me, così come sono, con questo corpo», confessa.

Da allora Caterpillar ha iniziato a «succhiare il midollo della vita» e la sua filosofia è diventata carpe diem, come diceva il poeta latino Orazio. Ma in senso fortemente cristiano.

È come se dalla carrozzina, la sua croce, fosse nata una nuova Rita, che non dà nulla per scontato, che butta il cuore oltre l’ostacolo, aiutata da una madre speciale che ha deciso di seguirla anche all’università, iscrivendosi con la figlia alla stessa facoltà. «È la miglior compagna di studi che potessi incontrare», dice. «Oltre a essere il mio ideale di donna». Da grande vorrebbe fare la giornalista, «perché è la miglior professione per esercitarsi a cercare la verità», spiega. E il suo modello è Magdi Cristiano Allam, il giornalista convertito che rimase folgorato dalla carica positiva e dalla fede viste in lei, al loro primo incontro avvenuto a Bologna l’anno scorso.

In politica, perché no?

Nel futuro di Rita c’è la battaglia civile per i diritti e la dignità dei portatori di handicap. «Non ho mai dimenticato quanto mi disse un giorno una fisioterapista: “Ma che t’impegni a fare, tanto col tuo handicap sei destinata a fare la centralinista”. Non è così, e voglio impegnare la mia vita per dimostrarlo», replica. Magari scendendo in politica? «Perché no?», risponde convinta: «Mi piacerebbe entrare nel movimento fondato da Allam “Io amo l’Italia”».

Ma il suo sogno nel cassetto è un altro: diventare una scrittrice di romanzi d’amore alla Danielle Steel o alla Sveva Casati Modigliani, di cui ha letto tutto, e girare il mondo. Rita lo spiega nel suo libro: «Non voglio rassegnarmi ad avere un mondo piccolo, proporzionato alla mia sedia a rotelle. Spero di aprirmi a un mondo grande, per poter mostrare alla mia carrozzina quante cose possiamo fare assieme, io e lei, come maestra e discepola».

Alberto Laggia

TROPPE FAMIGLIE LASCIATE SOLE

Ci sono quelli che riescono a farcela, in grado addirittura di trasformare la loro sofferenza in un raggio di luce utile anche per gli altri, come Chiara e Rita, le cui storie positive e piene di speranza raccontiamo in queste pagine. Ma molti di più sono i portatori di handicap che in Italia trovano tuttora difficoltà nell’inserimento scolastico e ancor più in quello lavorativo.

Lo denunciano le associazioni che tutelano le persone disabili e le loro famiglie. «Oggi purtroppo non fa notizia sapere che per un bambino con disabilità diventa un vero e proprio calvario anche soltanto andare a scuola in condizioni dignitose; che ci sono famiglie che si impoveriscono e che vivono nel più totale isolamento e nell’assoluta indifferenza della comunità e delle istituzioni; che persone con gravissima disabilità sono condannate a scontare, insieme a genitori e familiari, dei veri e propri arresti domiciliari», dichiara il presidente dell’Anffas (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e relazionale), Roberto Speziale, intervenuto pochi giorni fa sull’incredibile vicenda della chiusura del gruppo di Facebook intitolato grottescamente “Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini down” che aveva raccolto oltre mille iscritti.

Insomma, «la normalità della disabilità non fa mai notizia», osserva ancora Speziale, che si chiede: «Quante persone inorridirebbero conoscendo le costanti, normali, forse persino banali violazioni dei più fondamentali diritti umani e civili che ogni giorno sperimentano migliaia di disabili nel nostro Paese?».

E invece si accendono i riflettori solo sui filmati razzisti di YouTube o sui divertimenti aberranti in Facebook.

«Quel gioco è stata soltanto un’idiozia di pochi sconsiderati, perché per fortuna nel nostro Paese esiste una tradizione d’integrazione delle diversità che ha ormai 40 anni di storia. E infatti la reazione dell’opinione pubblica italiana è stata immediata», commenta Salvatore Nocera, vicepresidente della Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap).

Ciò che invece continua ancora a preoccupare, osserva Nocera, è appunto l’abbandono in cui vengono lasciati i familiari dei disabili.

«C’è ancora una legislazione farraginosa che, favorendo l’assistenzialismo, non sempre sostiene la famiglia costretta a vivere con queste problematiche. Il risultato è quello che registriamo nelle nostre associazioni: la non infrequente disgregazione del nucleo familiare e le conseguenti separazioni di coniugi che non riescono a sopportare da soli carichi così pesanti».

Rispetto al problema davvero centrale dell’inserimento lavorativo, il vice-presidente della Fish, infine, precisa: «Se il tasso di disoccupazione nazionale è attualmente dell’8 per cento, per i disabili esso è da moltiplicare per nove, e questo non è ammissibile».

Anche per questo la Fish è tra le promotrici della campagna “I diritti alzano la voce”, un’iniziativa che coinvolge ben 25 associazioni del Terzo settore, le quali condividono una profonda insoddisfazione per come i temi del welfare, non soltanto in relazione ai problemi dei disabili, sono affrontati dalla politica e dai media.

Alberto Laggia

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