Fu un direttore d’orchestra grandissimo, che ha servito la musica con geniale competenza ed esemplare umiltà. Ma è dimenticato.
Di Renzo Allegri
Ricorrono 50 anni della morte del maestro Tullio Serafin. Fu un grandissimo direttore d’orchestra. Non inferiore al suo contemporaneo e giustamente osannato Arturo Toscanini. Soprattutto nel settore dell’opera lirica. Ma, purtroppo, Serafin è poco ricordato e poco celebrato. Era una persona riservata, umile, totalmente dedita alla propria professione, e in un mondo come il nostro, malato di esteriorità, di divismo, adoratore di apparenze e di eventi eclatanti, questi nobili individui finiscono per essere trascurati.
Per fortuna, a Rottanova, frazione del comune di Cavarzere, in provincia di Venezia, dove Serafin nacque nel 1878, esiste una Associazione che si chiama “Amici di Tullio Serafin”. Piccola Associazione, ma piena di entusiasmo e di orgoglio. E, impegnandosi con dedizione veramente ammirevole, sostenuta anche dall’amministrazione comunale di Cavarzere, è riuscita, in questi ultimi anni, attraverso iniziative varie, a richiamare l’attenzione del mondo musicale su questo grande direttore d’orchestra. Non certo come questo artista meriterebbe, ma almeno hanno rotto il silenzio.
Per il 2018, anno nel quale ricorrono i 50 anni dalla morte e i 140 dalla nascita del Maestro , l’Associazione “Amici di Tullio Serafin” ha organizzato celebrazioni a Cavarzere, ma è riuscita a coinvolgere anche teatri italiani e stranieri e perfino la televisione. Nel corso dell’anno, ricordi del Maestro veneto sono previsti al Teatro alla Scala, al Teatro dell’Opera di Roma, al Maggio Musicale di Firenze, al Teatro Massimo di Palermo, alla Fenice di Venezia, al Regio di Parma, e perfino al Metropolitan di New York.
Rovistando nel mio archivio, mi è venuta tra le mani una grossa cartella contenente decine di pagine manoscritte di Tullio Sarafin. Portano date che vanno del 1960 al 1966. Il Maestro, ormai vecchio, si era ritirato nella sua casa a Roma e probabilmente prendeva appunti per scrivere una autobiografia. Già in quegli ultimi anni della sua vita, aveva intuito che sarebbe stato messo nel dimenticatoio.
Tutto questo materiale comprende un paio di quaderni e un centinaio di fogli sparsi, vergati con grafia minuta, piena di cancellature, aggiunte, richiami, che dimostrano come il Maestro non solo scriveva, ma rileggeva e correggeva. Le pagine sono precedute da titoli tematici: “La mia vita”, “La musica in Italia”, “Pensieri, Massime, Osservazioni”. “Eseguire e interpretare”, “Il regista”, “Emozioni di vita”, eccetera.
In quegli appunti, Serafin richiama alla memoria esperienze, incontri, eventi, idee, imprese musicali realizzate in Italia e all’estero. Un materiale straordinario. Non credo sia inedito, in quanto sul maestro sono stati scritti alcuni libri interessanti, come quelli dei musicologi Daniele Rubboli e Nicla Sguotti. Forse in quei libri si trovano i contenuti di questi documenti manoscritti. Voglio comunque, riportare qui una pagina, in cui Serafin racconta come, nel 1914, riuscì a portare alla Scala la prima esecuzione del “Parsifal” di Wagner. In libri a articoli vari ho letto che il primo a dirigere in Italia il “Parsifal” fu Arturo Toscanini. Ma non è vero. Fu, invece, Tullio Serafin.
Prima di morire, Richard Wagner aveva stabilito che il suo “Parsifal” non potesse essere eseguito fuori da Bayreuth prima del gennaio 1914. Bayreuth, cittadina della Baviera, era il “regno” di Wagner. Lì viveva e lì aveva fatto costruire un suo teatro, con accorgimenti che egli riteneva indispensabili all’esecuzione delle sue opere. E la volontà di Wagner fu rigorosamente rispettata dagli eredi. Nel 1903, il Metropolitan di New York ignorò la clausola e allestì l’opera, ma la vedova di Wagner ricorse a vie legali mettendo in piedi una lunga vertenza giudiziaria. Nello stesso anno, Toscanini eseguì alla Scala il “Preludio” e il Terzo atto del “Parsifal”, ma solo in forma di oratorio. Il primo allestimento vero e proprio dell’opera completa in Italia si potè fare soltanto nel 1914 e fu il maestro Serafin a organizzare e a dirigere quella famosa “prima”.
Ecco come Serafin nei suoi appunti ricorda l’incontro con il figlio di Wagner, Sigfrido, al quale era andato a chiedere il permesso di allestire “Parsifal” alla Scala con qualche settimana di anticipo sulla data prevista.
<<E’ cosa nota: per volontà dell’autore, la prima esecuzione del “Parsifal” in Italia non poteva aver luogo prima del gennaio 1914. Fino allora, soltanto il teatro di Bayreuth poteva eseguirlo.
<<Allo scadere dell’epoca fissata, io, con il maestro Vittorio Mingardi, che era succeduto a Giulio Gatti, partito per New York, andai da Sigfrido Wagner per chiedergli che l’inizio delle recite del capolavoro del suo grande padre, potesse venire anticipato di qualche giorno. La prima del teatro alla Scala lo comportava.
<<L’esito della nostra intrapresa fu un disastro. Non soltanto Sigfrido Wagner ce lo negò, ma ci accolse in modo burbero e quasi insolente. Secondo lui, e prima di ogni altra cosa, l’opera era troppo difficile a comprendersi dal nostro pubblico. Non sarebbe piaciuta!
<<Naturalmente, a questa villana asserzione io protestai violentemente. Il pubblico italiano, gli dissi, è intelligente e di tale sensibilità artistica da non ammettere confronto con nessun altro pubblico. In quanto poi alle difficoltà di esecuzione, alle quali Sigfrido aveva pure accennato, era cosa che riguardava me solo e io ne assumevo tutte le responsabilità. Io conoscevo il valore della mia orchestra, dei miei esecutori, tutti, (lo invitavo a venire ad accertarsene).
Per la verità, devo attestare che il maestro venne, dichiarando poi “coram populo” la sua alta soddisfazione. E poteva farlo.
Gli artisti erano: Giuseppe Borgatti, nome ben conosciuto per dover farne il ritratto: ignorante come una pecora, ma oltremodo intelligente: possedeva uno spirito interpretativo da non temere confronti. Per farsene un’idea, bisogna averlo visto nel “Sigfrido”, quando appariva sulla montagna per esclamare “Oh! solitudine beata del ciel”! La sua bella, alta figura, s’imponeva alla ammirazione del pubblico tutto. Del pari, risultava commovente fino all’estremo, quando, con voce fioca e straziato dal dolore, esclamava: “Morì la madre mia per me”. Io stesso, dal podio, tremavo di commozione.
<<Del “Parsifal”, in quella stagione, si dettero 26 rappresentazioni. Alla 19.ma notai in prima fila, proprio dietro me, un signore che non aveva mancato a nessuna recita. Non potei fare a meno di esclamare, con ammirazione: “Anche stassera lei è presente”. Egli si avvicinò a me per sussurrarmi: “Maestro, sono venuto anche alla prova generale”. Era l’avvocato Brusorio, un legale di alto merito, che inseguito divenne mio buon amico.
<<L’esito della stagione che aveva assunto grande importanza, fu trionfale, tanto che alla fine gli abbonati vollero offrirmi un banchetto. Vi presero parte, tutti a pagamento e a un tasso non disprezzabile, 380 persone. Tutti uomini. Non si vollero le donne, per dare maggior rilievo all’importanza soltanto artistica che rivestiva l’avvenimento. Non mancarono le autorità, è comprensibile>>.
Nel suo manoscritto, Serafin
Renzo Allegri
CERCA TULLIO SERAFIN SU AMAZON.IT >>>