Il 22 ottobre è morto, a Firenze, Rolando Panerai. Aveva 95 anni e 5 giorni. Era nato il 17 ottobre 1924. Grande interprete lirico. Baritono leggendario. Il suo primo concerto in pubblico risale al 1944; la prima opera in teatro al 1946; l’affermazione come interprete eccezionale al 1948.
Da allora, innumerevoli recite nei teatri di tutto il mondo. 150 opere in repertorio. Nel 2011, a 88 anni, l’ultima sua interpretazione da protagonista, nel “Gianni Schicchi” di Puccini al Teatro Carlo Felice di Genova. Ma anche dopo quella data, ha continuato con concerti e regie di opere liriche.
A testimonianza di tanto lavoro resta una vasta produzione discografica.
Oltre cinquanta opere incise ufficialmente e tante altre che circolano in edizioni pirata. Herbert von Karajan, esigentissimo intenditore di talenti, lo prediligeva e quando voleva mettere insieme un cast d’eccezione per un’opera da cui ricavare anche una incisione discografica e un video, non lo dimenticava.
Rolando Panerai era una persona serena, gioviale, ottimista. E nonostante sia stato uno degli artisti lirici leggendari, tra i più grandi di sempre, ha condotto un’esistenza riservata, lontana dai riflettori che la sua fama artistica aveva acceso.
Ha sempre rifiutato il ruolo di divo, ritenendosi una persona come tutti. Lo sanno soprattutto i giornalisti.
Era difficile intervistarlo, non perché facesse il prezioso, ma perché non ci teneva. Finita una rappresentazione, anche se era stato osannato come un trionfatore, spariva, tornava a casa, non frequentava feste, manifestazioni.
E lo faceva con una naturalezza sconcertante, connaturata con il suo modo di concepire la vita.
Ho avuto la fortuna di incontrarlo e intervistarlo diverse volte. Di ogni incontro, ricordo quel suo essere semplice di persona comune, ma ricca di valori che traboccavano dalla sua umanità.
Mai un segno teatrale nel comportamento, nel vestire, nelle conversazioni, nel tono della voce, nei giudizi, nelle valutazioni.
Lo sguardo era indifeso, dolce, comprensivo, saggio. E il contenuto delle conversazioni sempre ricco di insegnamenti.
Voglio ricordare questo grande artista con alcune sue testimonianze tratte della varie interviste che gli ho fatto nel corso degli anni, con tematiche che mi hanno particolarmente colpito.
La casa e la famiglia. Sono stato alcune volte a trovarlo nella sua bella casa a Settignano, sopra Firenze. Amava molto quella casa. La prima volta che andai a intervistarlo in quella casa, volle farmela vedere.
Ad un certo momento della nostra conversazione, parlando delle sue condizioni vocali, mi disse:
<<Oggi, a 74 anni compiuti, sto bene, mi sento forte, ho la voce ferma e duttile come a vent’anni. Continuo infatti a cantare. Non faccio concertini con canzonette come in genere gli artisti lirici di una certa età. Canto opere, come ho sempre fatto. Solo che mi pesa sempre di più stare lontano da questa mia casa e allora non accetto volentieri impegni all’estero.
Recentemente ho rinunciato a contratti assai allettanti in Argentina e in Brasile. Amo sempre di più la pace e la vita all’aria aperta. Intorno alla mia casa ho una decina di ettari di terra, dove coltivo soprattutto viti e olivi. Non voglio perdere niente di queste bellezze. Venga che le faccio vedere>>.
Mi portò sul terrazzo del giardino da dove si poteva ammirare il suo podere intorno alla casa. Sullo sfondo, in basso, vedevo Firenze, con i suoi inconfondibili monumenti.
Era una giornata limpida, con l’aria fresca. Il cantante guardava il paesaggio. Non fece commenti. Ma al cospetto di tanta bellezza le parole sarebbero state una stonatura.
Il valore più grande. In quella sua bella casa sono andato alcune volte, ma ho sempre visto solo lui, il maestro. Nessun altro della sua famiglia. Tutti i suoi familiari erano sempre presenti nelle sue parole, ma mai visto nessuno.
Neppure sua moglie. Sapevo che il maestro era sposato con una donna, Isabella, intelligente e anche molto bella.
Mi avevano detto che da giovane Isabella era bellissima. Devo usare la frase “mi avevano detto” perché io non l’ho mai vista.
Neppure in fotografia. Circolano varie foto di Panerai giovane, ma in nessuna si vede con sua moglie.
Durante la mia prima visita a casa sua, il fotografo chiese al maestro di poter scattare una foto di lui con la moglie.
<<Isabella>>, disse Panerai <<non ha mai voluto farsi fotografare per i giornali. Mai. Si immagini se cambia idea adesso>>.
La signora era in casa, ma non l’abbiamo vista.
<<Nella vita di una persona>>, continuò a dire Panerai <<il valore più grande è costituito dalla famiglia. Ho cercato di tenere questo valore al di sopra di tutto, anche della mia carriera artistica. Mia moglie ed io non abbiamo mai fatto vita mondana. In genere, al termine delle “prime” teatrali, soprattutto in occasione di inaugurazioni di stagioni, si tengono grandi cene cui partecipano artisti e personalità della cultura, della politica. Mia moglie non è quasi mai venuta. E anch’io ci sono andato poche volte. Fin dall’inizio della mia carriera, mi sono imposto di privilegiare, per quanto possibile, la famiglia. Quando cantavo in Italia, se potevo, dopo la recita tornavo sempre a casa, affrontando magari percorsi di centinaia di chilometri. Lo facevo anche se il giorno dopo avevo delle prove ed ero costretto a ritornare in teatro. Sono stato fortunato di avere avuto una famiglia stupenda. Ho due figli, quattro nipoti e viviamo tutti insieme, nella stessa casa che, essendo molto grande, ci permette questa comodità tanto preziosa>>.
La passione per la lirica. Cercando di spiegare l’inizio della sua carriera raccontava:
<<Ho sempre cantato. Per passione. Sono nato per cantare. Gli abitanti di Campi Bisenzio, (il paese fiorentino dove sono nato), oltre alla fama di essere “maledetti toscani”, hanno sempre avuto anche quella di fanatici della lirica. A Campi Bisenzio c’è un teatrino d’opera dove ogni anno si tenevano diverse rappresentazioni e gli spettatori erano tutti gli abitanti del paese, compresi bambini piccoli e vecchi centenari. Dalle nostre parti sono nati artisti importanti come Iva Pacetti, Gino Pratesi, Ugo Novelli. In casa mia cantavano mio nonno, mio padre, mia madre. Lo facevano durante il lavoro, forse per esprimere uno stato d’animo felice. E, fin da ragazzo, cominciai a cantare anch’io>>.
Lo sport. Era appassionato di calcio e di ciclismo.
Una passione che aveva le caratteristiche dell’entusiasmo giovanile, anche quando era già anziano.
Raccontava: <<Sono sempre stato appassionato della Fiorentina. Spesso, quando cantavo lontano da Firenze, affrontavo lunghi viaggi per poter rientrare e andare a vedere la partita. E scommettevo con gli amici per la Fiorentina contro le altre squadre. Scommettevo anche per Bartali. Nel 1948 ero in Sicilia, e avevo scommesso una cena con un sacco di persone che Bartali avrebbe vinto il giro di Francia. Lo vinse e io mangiai più in quel mese che stetti in Sicilia che in tutto il resto dell’anno. E mi venne il male al fegato>>.
Il rapporto con i registi. Ha sempre dimostrato rispetto, stima e amore sincero per i colleghi artisti.
<<Nel corso della carriera ho avuto la fortuna di lavorare con registi straordinari come Eduardo De Filippo, Luchino Visconti, Franco Zeffirelli, Giorgio Strehler eccetera. A volte, lavorare con questi personaggi non era facile. Erano un po’ capricciosi e ti facevano diventare matto. Ma io sapevo come resistere. Mi preoccupavo solo di apprendere e far tesoro dei loro consigli. Tutti i giorni era una continua lezione. Si imparava solo guardandoli. E cercavo di imitarli.
<<Una volta un critico rimproverò Gino Bechi dicendogli che cercava di imitare Tita Ruffo.
Lui rispose: “Ma, scusate, un ladro dove va a rubare? In una casa di ricchi. Tita Ruffo era il più grande baritono e quindi da chi volete che andassi a rubare?”
E così facevo io. Stavo con De Filippo, con Visconti, con Strehler e prendevo da loro. C’erano poi i direttori d’orchestra come Karajan, Boehm, Sawallisch, Serafin, Cantelli: la mia vita è stata una continua straordinaria scuola di apprendimento>>.
La sua fede religiosa. Rolando Panerai era credente. Un credente semplice e pudico. Quasi geloso di quei valori spirituali. Mai ha affrontato quell’argomento di sua iniziativa, ma lo si percepiva presente sempre nella conversazione. Soprattutto quando era anziano. Quando gli chiedevo notizie della sua salute, rispondeva: “Grazie a Dio, sto bene>>.
Quel “grazie a Dio”, non era un modo di dire. Da come pronunciava la frase, si percepiva che aveva per lui un significato concreto e di intenso valore.
Un giorno gli feci una domanda presisa: “Lei è credente?”.
“Sono cristiano credente e praticante”, mi rispose con un sorriso. “Credo in Gesù, nell’aldilà, nella Risurrezione e nella vita eterna che Gesù ci ha promesso. La fede è un dono prezioso che dà luce alla vita. Mi ha sempre aiutato ad affrontare difficoltà, dolori, preoccupazioni. E’ un grande dono avere la fede>>.
Il parroco di Santa Maria Assunta a Settignano, il paese dove Panerai viveva, mi ha detto che tutte le domeniche, quando non era lontano per lavoro, il maestro andava alla Messa, con la moglie, quando Isabella era viva.
In una intervista del 2010, il maestro mi disse.
“Purtroppo, mia moglie mi ha lasciato quattro anni fa. Ne sento molto la mancanza. Ci conoscevamo da bambini. Si può dire che siamo cresciuti sempre insieme. Una lunga vita insieme. Ma so che lei è viva, e mi aspetta>>.
Renzo Allegri
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