Indagine su un aspetto sconosciuto della grande cantante lirica.
Di Renzo Allegri
Nel mese di settembre, il mondo musicale ha ricordato il 40° anniversario della morte di Maria Callas, una delle più grandi cantanti liriche di tutti i tempi. Giornali, radio, televisioni, teatri, associazioni, club, circoli artistici, tutti si sono mobilitati. Ci sono state commemorazioni, conferenze, mostre, pubblicazioni che hanno rievocato vari aspetti della carriera e della vita privata di questa artista leggendaria. Ampio spazio hanno avuto le vicende artistiche relative ai suoi trionfi al Teatro alla Scala, e quelle mondane legate alla relazione con Aristotele Onassis che era allora l’uomo più ricco del mondo. Nessuno ha, invece, nemmeno cercato di sfiorare l’aspetto intimo della cantante, il “segreto” della sua anima. Nessuno si è mostrato curioso di sapere se avesse un qualche anche minimo interesse religioso, cioè rivolto a quei valori eterni presenti nella vita terrena come inizio di una realtà meravigliosa senza fine.
Questo genere di valori, che sono l’essenza della Religione Cristiana, presenti in tutte le grandi religioni, oggetto di riflessione e di meditazione di tutti i pensatori, non vengono molto presi in considerazione dai media del nostro tempo, ma, essendo “connaturali” all’essere umano, è impossibile cancellarli dalla mente quando si valuta l’esistenza di un personaggio famoso. E chi ha cercato di farlo nel caso di Maria Callas, è rimasto sorpreso, si potrebbe dire sconcertato, trovando come questa grande artista, emblema di una mondanità eccelsa, avesse verso il mondo spirituale e religioso una attenzione molto viva e coltivata. Attenzione che è documentata soprattutto dai suoi scritti.
Me ne sono accorto leggendo con attenzione le sue numerose lettere. Si resta stupefatti trovando che la Callas cita spesso il nome di Dio. E lo cita non come intercalare, ma con uno specifico riferimento ai problemi che sta vivendo. Nelle situazioni emergenti di gioia o di dolore della sua vita, Maria Callas rivolgeva il suo pensiero a Dio, in forma semplice, istintiva, spontanea, che qualcuno potrebbe definire “infantile”, ma lo faceva. E la frequenza di queste citazioni denota un forte senso religioso, per niente conclamato in atteggiamenti esteriori, ma vissuto.
Nella mia lunga carriera di giornalista mi sono interessato molto di Maria Callas. Su di lei ho scritto decine di articoli e quattro libri. L’ho intervistata, ho parlato con lei varie volte, e negli ultimi anni della sua vita ho avuto con lei un rapporto di amicizia e di fiducia. Dopo la sua morte, ho scritto le memorie del marito, Giovanni Battista Meneghini, il quale, per documentare quanto mi raccontava, ha messo a mia disposizione il suo archivio personale: ho così potuto consultare tutti gli scritti della Callas. In particolare le lettere che aveva inviato a Meneghini durante i suoi viaggi artistici. Ho letto e riletto quelle lettere che sono quasi un centinaio e tutte lunghe, appassionate. E non tanto riguardanti la vita pubblica di Maria, la sua carriera, i suoi successi, ma soprattutto i suoi sentimenti intimi, i suoi ideali di vita, i suoi sogni, le sue sofferenze, le sue ansie e, dopo il matrimonio, la gioia immensa di avere finalmente una famiglia sua.
Ed è in quelle lettere che ho rilevato la presenza di continui riferimenti a Dio.
Frasi come “Grazie a Dio”, “Che Dio mi aiuti”, “Prego Dio”, “Dio è buono” sono ripetute in continuazione. Soprattutto la frase “Se il Dio vuole” è presente in tutte le situazioni. Maria dimostra di avere in Dio una fiducia grandissima e una totale disposizione a fare la sua volontà, sapendo che è la scelta più giusta.
Leggendo simili frasi, mi chiedovo quale fosse l’origine di una sensibilità religiosa così accentuata in una donna tanto famosa.
Non mi sembra che Maria abbia ereditato questo modo di pensare dai genitori. La sua famiglia era ortodossa, ma la madre, la sorella, il padre, per quanto ho potuto appurare, non erano praticanti. Anche Maria non mi risulta fosse praticante in modo tradizionale. Frequentava le chiese in giro per il mondo, ma senza seguire regole precise. Il suo rapporto con Dio, così diretto e filiale, era istintivo. Ed era forte.
L’esistenza della Callas fu travagliata da tante brutte situazioni. Soprattutto, nell’infanzia e nella giovinezza, per una completa mancanza di affetto materno di origine patologica. Ma nelle lettere non si trovano mai frasi di rabbia, di ribellione, di condanna verso la madre. Maria sopporta e cerca di ignorare. Ma il successo, la salute, il bel tempo e tutte le cose belle della sua vita, le attribuiva alla bontà di Dio.
“Il Dio mi aiuta sempre”.
“Grazie a Dio sto meglio”.
“Che il Dio mi dia la pazienza per resistere”.
Dio la aiuta nel lavoro. Quando deve affrontare un’opera teatrale particolarmente impegnativa, si affida a Dio: “Che il Dio mi aiuti e mi tenga in buona salute e spirito perchè è un’occasione grande questa al Teatro La Fenice di Venezia, e la mia responsabilità aumenta”..
“La Norma va in scena il 17, cioè 8 giorni domani, e voglio – se il Dio vuole – stare bene!!”
“Che il Dio mi aiuti. Prega! C’è molta aspettativa”.
“Quando riceverai questa lettera, sarà passata la “prima”. Che il Dio mi aiuti!”
Maria è certa che Dio la protegge, che si schiera dalla sua parte e la difende dai nemici, perché Dio è buono e giusto. Se un collega, dal quale aveva ricevuto qualche sgarbo, non aveva successo, scriveva: <<Iddio mi ha vendicata>>.
“Be! La mia rivincita il nostro Buono e Grande Dio c’è la da sempre”.
Anche i trionfi li attribuiva alla giustizia di Dio: <<Lui ha visto i miei sacrifici e le mie sofferenze e mi ha fatto giustizia>>.
Ma è soprattutto nelle vicende della sua vita sentimentale che i riferimenti a Dio sono continui. Semplici come quelli di una bambina che si rivolge alla madre.
“Grazie a Dio, Egli mi ha dato questa persona an¬gelica (il marito, Meneghini) e per la prima volta in vita mia non ho bisogno di nessuno”.
“Sei mio, sono tua, e abbiamo la più grande felicità. Pensa! Io starò bene (se il Dio vuole) per te, canterò e avrò glorie per te! Tu devi stare bene per me”.
“ Sei il mio uomo, davanti a Dio e a tutti, e sono fiera di esserlo, e non chiedo altro nella vita che di farti felice sempre”.
Quando nelle lettere parla del suo matrimonio, lo ricorda come un dono di Dio. Le sue riflessioni sono bellissime, degne di una credente che conosce bene il significato religioso del matrimonio. “Il pensiero che m’hai fatta tua davanti a Dio e al mondo, che sono tua sposa, mi fa piena di forza e pazienza…. Vedi, Battista, noi dobbiamo considerarci i prediletti di Dio perchè ci ha donati l’uno all’altro e ci ha dato tanta comprensione, adorazione e fusione che a nessuno credo abbia dato. Per questo non ho mai crisi di nervi e sono la donna più fiera e felice”.
“ Il Dio è così buono con me. M’ha dato successo, salute, un po’ di bellezza, intelligenza, bontà e soprattutto te: la ragione della mia vita e la credenza nella vita.
“Caro, possiamo essere fieri di avere avuto da Dio un amore così sublime e tanto irraggiungibile e raro per tutti. Se il Dio ci ha concesso questa cosa suprema, dobbiamo ripagarlo col conservare e vivere per questo sentimento.
“Non ho più parole per esprimerti tutto quello che sento per te, mio marito, amico, protettore, e “secondo Dio”. Non dico, “Dio”, perché c’è il nostro Dio che è lui prima di tutto! Vero? Pensa, tutti aspirano ad avere uno amore sublime nobile e tutto; e noi, noi siamo stati destinati da Dio per averlo. Pensa, il Dio quanto bene ci vuole. Ci ha dato tutto! Tante volte ho paura di avere troppa felicità e soddisfazione. Che Lui ci protegga sempre. Lui che ha la forza su tutti!!”
Secondo Meneghini, la Callas pregava molto. <<In ogni città>>, mi disse, <<prima di andare in scena, si recava in qualche chiesa e restava a lungo inginocchiata, immobile come una statua. Quando cantava alla Scala, prima delle recite dovevo accompagnarla in Duomo: si inginocchiava davanti a una statua della Madonna che si trovava appena entrati in chiesa, e rimaneva lì, a pregare, anche per mezz’ora. Per ingannare il tempo, io andavo a visitare i vari altari e le statue>>.
L’amore di Meneghini per Maria Callas era stato improvviso, un colpo di fulmine scoccato al primo incontro. Maria, che allora viveva a New York con il padre, era arrivata a Verona il 29 giugno 1947, per cantare nella “Gioconda” di Ponchielli, opera che avrebbe aperto la stagione del Festival lirico areniano di quell’anno. Era giovane, aveva 23 anni, ed era squattrinata. Aveva fatto il viaggio da New York all’Italia su una nave da carico.
La sera stessa del suo arrivo, i dirigenti del Festival avevano organizzato una cena per tutto il cast della stagione, e avevano invitato anche alcuni notabili della città, che erano i sostenitori finanziari della manifestazione. Tra questi, Giovanni Battista Meneghini, un industriale molto ricco e appassionato di lirica. Aveva allora 51 anni. Data la sua posizione economica, era un ottimo partito, ma non aveva mai trovato la donna giusta e non si era mai sposato. Ma, appena vide Maria Callas, rimase folgorato. Quella sera stessa, al termine della cena, organizzò, per il giorno successivo, una gita a Venezia, portando, a sue spese, tutti i componenti del cast dell’Arena, ma lo scopo nascosto era quello di poter stare con Maria. Infatti, volle che la giovane cantante viaggiasse in macchina con lui.
Nei giorni successivi le scrisse otto lettere, palesando apertamente i propri sentimenti.
Tutti i biografi della cantante hanno sempre scritto che Meneghini si innamorò della Callas sentendola cantare, ma non è assolutamente vero. Meneghini ascoltò per la prima volta il canto della Callas, la sera del 3 agosto 1947, durante la prima recita di “Gioconda”, ma già da un mese era il suo spasimante, il suo protettore, il suo compagno inseparabile: tutte le mattine le mandava dei fiori in albergo; a sue spese aveva arricchito il misero guardaroba della giovane; e aveva già firmato con lei un contratto impegnandosi a farle da manager. Aveva cioè “legato” in modo concreto e stabile la sua vita a quella della Callas.
Il 2 agosto, vigilia del debutto di Maria in Arena, Meneghini le scrisse due lettere. La prima accompagnava un omaggio floreale; l’altra, un dono prezioso: una Madonnina del Cinquecento, pregevolissimo dipinto di grande valore e nella lettera scriveva: “Maria mia diletta, ti mando la piccola Madonnina che ti ho promesso per oggi ancora agli inizi della nostra fascinosa relazione, e pur riconoscendo che essa è troppo poca cosa di fronte a ciò che sentirei di offrirti pur tuttavia ti appartiene e segna una data per noi incancellabile”.
In tutte e due le lettere, nessun cenno alla musica, al debutto in Arena. Era già in atto un progetto di vita insieme, indipendentemente dalla carriera.
Le parole della seconda lettera, “ti mando la piccola Madonnina che ti ho promesso per oggi ancora agli inizi della nostra fascinosa relazione”, accennano a un fatto particolare e significativo, come si ricava da un altro piccolo documento che possiedo, una cartolina che raffigura la Madonna Assunta del Tiziano.
Fin dal primo viaggio a Venezia, Meneghini aveva portato Maria a visitare la basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, dove si conserva l’Assunta del Tiziano, capolavoro di grandissimo interesse artistico. Meneghini non era molto religioso, ma aveva una particolare devozione verso la Madonna, ereditata certamente da sua madre che era una pia donna. Quando andava a Venezia, si recava sempre a fare una visita in quella chiesa fermandosi davanti al dipinto dell’Assunta. E fin dall’inizio, deve aver portato varie volte Maria in quella chiesa e deve avere, in un certo senso, consolidato, davanti a quel dipinto, il loro legame amoroso con delle promesse di tipo religioso. Lo si ricava appunto da ciò che c’è scritto sul retro della cartolina raffigurante l’Assunta del Tiziano e che Meneghini conservava come un oggetto preziosissimo. Sul davanti c’è l’immagine a colori del grande dipinto di Tiziano. Sul retro, a sinistra, Maria scrisse: “Tu sai bene cosa vuol dire questa per noi. Tua Maria”. Meneghini, a destra, commentò: “Il giuramento di volersi sempre bene”.
Questo suggerisce che il loro amore nacque e si consolidò proprio durante quelle visite alla Chiesa dei Frari. Ecco perché Meneghini, per il debutto di Maria in Arena le regalò “La piccola Madonnina che ti ho promesso”.
Maria non volle mai separarsi da quel quadretto. Lo portava sempre con sé, in tutti i suoi viaggi, e lo esponeva nel camerino dei teatri dove cantava. Una volta, a Vienna, se lo era dimenticato nella casa di Milano. Fece venire subito la cameriera a Vienna, in aereo, con il quadretto, minacciando di non andare in scena se non lo avesse avuto in tempo.
Meneghini mi raccontò che anche nell’estate 1959, quando andarono in crociera sullo yacht di Onassis, Maria volle portare con sé quel quadretto, e annotò nel suo diario: “Alla sera nella nostra cabina, ci inginocchiavamo insieme davanti a quel quadretto della Madonna, e pregavamo”.
Nel corso di quella crociera, come è noto, Onassis fece una corte spietata alla cantante e Maria perse la testa. Nelle settimane successive si separò dal marito, e l’unica cosa che volle assolutamente portare con se lasciando la casa coniugale, fu quel quadretto della Madonna.
Meneghini mi raccontò anche che, dopo la morte della cantante, quando si recò a Parigi, trovò che nella camera, accanto al letto, Maria aveva un antico inginocchiatoio e sopra vi teneva quel quadretto della Madonna. Accanto c’era anche un libretto di preghiere, consunto dell’uso, segno che, la sera prima di coricarsi, Maria lo usava per recitare le preghiere.
Renzo Allegri