11 febbraio 2010: XVIII Giornata Mondiale del Malato
L’organizzazione tecnica dell’evento patrocinato dal Comune di Roma è stata affidata dal Dicastero della Salute all’Unitalsi, che per celebrare l’avvenimento, ha predisposto diversi appuntamenti liturgici a partire da martedì 9 febbraio alle 16.45 presso la Basilica Santa Maria Maggiore quando saranno accolte le reliquie di Santa Bernadette, provenienti dal Santuario Notre Dame di Lourdes, alla presenza dell’Arciprete della Basilica il Cardinal Bernard Francis LAW e del Sindaco di Roma, Gianni ALEMANNO.
Il Pontificio Consiglio della Salute ha poi organizzato un Simposio Internazionale, un concerto ed una mostra di pittura a cui parteciperanno le massime autorità religiose e istituzionali.
Particolarmente suggestiva la giornata dell’ 11 febbraio: alle ore 10.30 la celebrazione della Santa Messa nella Basilica di San Pietro, presieduta da Sua Santità Papa Benedetto XVI.
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI ER LA XVIII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
Cari fratelli e sorelle!
Il prossimo 11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, si celebrerà nella Basilica Vaticana la XVIII Giornata Mondiale del Malato. La felice coincidenza con il 25° anniversario dell’istituzione del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari costituisce un motivo ulteriore per ringraziare Dio del cammino sinora percorso nel settore della pastorale della salute. Auspico di cuore che tale ricorrenza sia occasione per un più generoso slancio apostolico al servizio dei malati e di quanti se ne prendono cura.
Con l’annuale Giornata Mondiale del Malato la Chiesa intende, in effetti, sensibilizzare capillarmente la comunità ecclesiale circa l’importanza del servizio pastorale nel vasto mondo della salute, servizio che fa parte integrante della sua missione, poiché si inscrive nel solco della stessa missione salvifica di Cristo. Egli, Medico divino, “passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo” (At 10,38). Nel mistero della sua passione, morte e risurrezione, l’umana sofferenza attinge senso e pienezza di luce. Nella Lettera apostolica Salvifici doloris, il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha parole illuminanti in proposito. “L’umana sofferenza – egli ha scritto – ha raggiunto il suo culmine nella passione di Cristo. E contemporaneamente essa è entrata in una dimensione completamente nuova e in un nuovo ordine: è stata legata all’amore…, a quell’amore che crea il bene ricavandolo anche dal male, ricavandolo per mezzo della sofferenza, così come il bene supremo della redenzione del mondo è stato tratto dalla Croce di Cristo, e costantemente prende da essa il suo avvio. La Croce di Cristo è diventata una sorgente, dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva” (n. 18).
Il Signore Gesù nell’Ultima Cena, prima di ritornare al Padre, si è chinato a lavare i piedi agli Apostoli, anticipando il supremo atto di amore della Croce. Con tale gesto ha invitato i suoi discepoli ad entrare nella sua medesima logica dell’amore che si dona specialmente ai più piccoli e ai bisognosi (cfr Gv 13,12-17). Seguendo il suo esempio, ogni cristiano è chiamato a rivivere, in contesti diversi e sempre nuovi, la parabola del buon Samaritano, il quale, passando accanto a un uomo lasciato mezzo morto dai briganti sul ciglio della strada, “vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno»” (Lc 10, 33-35).
A conclusione della parabola, Gesù dice: “Va’ e anche tu fa’ così” (Lc 10,37). Con queste parole si rivolge anche a noi. Ci esorta a chinarci sulle ferite del corpo e dello spirito di tanti nostri fratelli e sorelle che incontriamo sulle strade del mondo; ci aiuta a comprendere che, con la grazia di Dio accolta e vissuta nella vita di ogni giorno, l’esperienza della malattia e della sofferenza può diventare scuola di speranza. In verità, come ho affermato nell’Enciclica Spe salvi, “non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore” (n. 37).
Già il Concilio Ecumenico Vaticano II richiamava l’importante compito della Chiesa di prendersi cura dell’umana sofferenza. Nella Costituzione dogmatica Lumen gentium leggiamo che “come Cristo… è stato inviato dal Padre «ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore contrito» (Lc 4,18), «a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda di affettuosa cura quanti sono afflitti dall’umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne l’indigenza e in loro cerca di servire il Cristo” (n. 8). Questa azione umanitaria e spirituale della Comunità ecclesiale verso gli ammalati e i sofferenti nel corso dei secoli si è espressa in molteplici forme e strutture sanitarie anche di carattere istituzionale. Vorrei qui ricordare quelle direttamente gestite dalle diocesi e quelle nate dalla generosità di vari Istituti religiosi. Si tratta di un prezioso “patrimonio” rispondente al fatto che “l’amore ha bisogno anche di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato” (Enc. Deus caritas est, 20). La creazione del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, venticinque anni or sono, rientra in tale sollecitudine ecclesiale per il mondo della salute. E mi preme aggiungere che, nell’attuale momento storico-culturale, si avverte anche più l’esigenza di una presenza ecclesiale attenta e capillare accanto ai malati, come pure di una presenza nella società capace di trasmettere in maniera efficace i valori evangelici a tutela della vita umana in tutte le fasi, dal suo concepimento alla sua fine naturale.
Vorrei qui riprendere il Messaggio ai poveri, ai malati e a tutti coloro che soffrono, che i Padri conciliari rivolsero al mondo, al termine del Concilio Ecumenico Vaticano II: “Voi tutti che sentite più gravemente il peso della croce – essi dissero – … voi che piangete… voi sconosciuti del dolore, riprendete coraggio: voi siete i preferiti del regno di Dio, il regno della speranza, della felicità e della vita; siete i fratelli del Cristo sofferente; e con lui, se lo volete, voi salvate il mondo!” (Ench. Vat., I, n. 523*, [p. 313]). Ringrazio di cuore le persone che, ogni giorno, “svolgono il servizio verso i malati e i sofferenti”, facendo in modo che “l’apostolato della misericordia di Dio, a cui attendono, risponda sempre meglio alle nuove esigenze” (Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus, art. 152).
In quest’Anno Sacerdotale, il mio pensiero si dirige particolarmente a voi, cari sacerdoti, “ministri degli infermi”, segno e strumento della compassione di Cristo, che deve giungere ad ogni uomo segnato dalla sofferenza. Vi invito, cari presbiteri, a non risparmiarvi nel dare loro cura e conforto. Il tempo trascorso accanto a chi è nella prova si rivela fecondo di grazia per tutte le altre dimensioni della pastorale. Mi rivolgo infine a voi, cari malati, e vi domando di pregare e di offrire le vostre sofferenze per i sacerdoti, perché possano mantenersi fedeli alla loro vocazione e il loro ministero sia ricco di frutti spirituali, a beneficio di tutta la Chiesa.
Con tali sentimenti, imploro sugli ammalati, come pure su quanti li assistono, la materna protezione di Maria Salus Infirmorum, e a tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
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