Il segreto di #Lourdes
Lourdes, il sorriso di Maria
Il segreto di Lourdes? Ti insegna a «stare con»: una medicina salutare anche per i sani. Parola di Rocco Palese, nuovo presidente dell’Unitalsi.
«Lourdes è una medicina per l’anima: per gli ammalati, ma anche per i sani. Un’esperienza salutare che tutti dovrebbero fare». Il nuovo presidente nazionale di Unitalsi, Rocco Palese, definisce così uno dei santuari mariani più noti e frequentati al mondo: quello che sugli alti Pirenei, quasi al confine tra Francia e Spagna, sorge attorno alla grotta di Massabielle, sulle rive del fiume Gave, dove nel 1858 la Madonna apparve alla pastorella Bernadette Soubirous. L’Unitalsi, acronimo di Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e santuari internazionali (le altre destinazioni sono Loreto, Santiago, Fatima e Terra Santa), da più di un secolo vi accompagna malati, pellegrini e volontari, soprattutto con i «treni bianchi» che, dotati della carrozza «barellata», sono l’unico mezzo ad alta percorrenza capace di trasportare persone affette da gravi patologie. Palese, 65 anni, di Potenza, di professione ragioniere commercialista, è sposato e ha quattro figli. Da un trentennio è attivo nell’associazione che guiderà per i prossimi cinque anni.
Msa. Presidente, qual è il vostro carisma?
Palese. Dal 1903 i volontari di Unitalsi organizzano, accompagnano e assistono i malati e i disabili in viaggio. Presenti sul territorio, abbiamo 300 tra sezioni, sottosezioni e gruppi. Il pellegrinaggio prima di tutto è un’esperienza di carità. Sorelle, barellieri, operatori sanitari, giovani e famiglie, sacerdoti e benefattori, formano una grande famiglia che cerca di mettersi a servizio delle persone più fragili. Tante di loro non possono più muoversi da casa o dall’istituto dove sono ricoverate e aspettano un anno intero di poter andare alla Madonna di Lourdes. Persone da incontrare e scoprire come fratelli e sorelle.
Come è arrivato in Unitalsi?
Andai la prima volta alla grotta di Massabielle a 19 anni, da giovane scout. Mi ero appena diplomato e per regalo ricevetti un viaggio col treno bianco. Quell’esperienza mi cambiò. A distanza di anni, quando io ero diventato capo scout, ci portai i «miei» ragazzi. In questa seconda volta, quel qualcosa che mi aveva preso la prima si consolidò dentro di me. Nel 1991 mi sono avvicinato stabilmente all’associazione. Per me è commovente vedere i giovani che vogliono scoprire che cos’è Lourdes e si fanno coinvolgere con entusiasmo nel servizio. Finché ci saranno i giovani possiamo stare sereni.
Ci racconta un episodio significativo per lei?
A Lourdes sarò andato 60-70 volte, ma sempre è come se fosse la prima volta, perché sempre c’è qualcosa di nuovo, di diverso, che ti attrae e cattura. Un episodio, però, mi è rimasto indelebile. Era un pomeriggio e il tempo era cambiato rapidamente, dal sole a una pioggia fitta, battente. Mi trovavo non distante dalla grotta e lì cercai rifugio. Mi imbattei in un giovane tetraplegico dalla nascita. Si chiamava Luciano, veniva da Vicenza, ora è con il Signore. Scambiammo due parole. Tra noi nacque un’intesa spontanea. Insieme recitammo il rosario. Quell’incontro è stato decisivo per me, è come avessi ricevuto risposta a molte domande che avevo dentro.
Chi oggi va a pregare la Madonna a Lourdes?
Si trovano persone di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali. In chiunque c’è un bisogno di spiritualità. In fondo ogni domanda di salute è una domanda di salvezza. I malati affidano alla Madonna le loro sofferenze. I sani imparano a stare con i malati, scoprendosi allo stesso modo bisognosi. Chi si rimette alla protezione della Madonna non chiede prodigi miracolosi, forse anche, ma soprattutto consolazione. Ho visto molte persone scoprire che la fede è un dono per tutti, che spesso ha solo bisogno di essere riscoperto. Alla grotta si incontra una Mamma che apre le braccia a chiunque tu sia, con la tua storia e il tuo fardello. E ti fa sentire immensamente la sua protezione e il suo amore.
Quanto il covid ha cambiato le cose?
È stato uno spartiacque. Prima della pandemia vivevamo di una serenità apparente. Il covid che ci ha relegato in casa, ci ha fatto sprofondare nella solitudine e nella precarietà che fanno parte della natura umana, sebbene spesso si voglia rimuoverle. È stata l’opportunità per guardare nelle pieghe di noi stessi. E per capire che ognuno di noi ha bisogno di qualcuno che gli cammini accanto, perché davvero non ci si salva da soli. Girando il territorio in tutta Italia, sento la voglia diffusa di riprendere i pellegrinaggi. Il 2022 si è chiuso con circa 12.500 pellegrini. Prima della pandemia erano circa il doppio. Contiamo di ritornare su quei livelli nel giro di qualche anno.
Intanto stanno ripartendo i treni bianchi.
Gli aerei e i pullman non possono garantire il trasporto dei malati gravi che, invece, è possibile con le carrozze «barellate». In treno, invece, il pellegrinaggio inizia alla stazione di partenza. Si crea in un batter d’occhio una comunità viaggiante che mette assieme tutto: spazi, tempi, emozioni; che prega, pranza e dorme insieme; che ammira i paesaggi che scorrono dal finestrino, sapendo che la destinazione sarà l’arrivo davanti alla Madonna. Senza una meta e senza una fede solida, la nostra vita è poca cosa. La ripresa a pieno regime sarà un’ulteriore spinta al ritorno di una normalità in cui la straordinarietà di un viaggio lungo, faticoso e impegnativo, diventa la normalità di un’umanità condivisa.
Ci sono sofferenze nuove?
Per le persone fragili, il covid è stato un trauma triplo che ha acuito le fatiche. Le sofferenze nuove sono i mali dell’anima: la depressione e tutte quelle forme di disagio interiore che magari non vengono esteriorizzate, che forse non si vedono e non si colgono, ma ci sono e minano gravemente la salute mentale. Situazioni che hanno bisogno di cure farmaceutiche, ma soprattutto di buone relazioni. Ecco che come volontari siamo chiamati soprattutto ad ascoltare. A metterci al fianco dei sofferenti senza avere la pretesa di risolvere i problemi, spesso in silenzio, perché anche una sola parola potrebbe essere sbagliata. Questa è la compassione che ci insegna nostro Signore e così dobbiamo fare.
Perché consiglierebbe un’esperienza con l’Unitalsi a Lourdes?
Perché ti cambia la vita. Abbiamo visto giovani del servizio civile e ragazze partite come volontarie che hanno scoperto la loro vocazione e al ritorno hanno deciso di dedicarsi interamente al Signore entrando in seminario o facendo la professione religiosa perpetua. Ma in generale Lourdes è una palestra di vita anche per chi si dice non credente o non a sufficienza. Per chi può essere arrabbiato col Signore per mille motivi. Perché davanti alla Madonna ci si allena a vedere chi è in difficoltà e ad apprezzare di più quello che si è e si ha. S’impara a fare qualcosa per gli altri, uscendo da se stessi, dalle proprie finte priorità. Ecco, s’impara «a stare con»: una medicina salutare anche per i sani.
11 Febbraio 2023 | DI ALVISE SPERANDIO
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