Io non ho fede. Ma in quel posto qualcosa c’è
L’autore di ‘Apnea’ pubblica il suo secondo lavoro, “Perché non lo portate a Lourdes?“. Un romanzo in equilibrio tra fantasia e curiosità che passa attraverso le speranze e le vite di chi incontra. Dal ‘treno bianco’ alla grotta di Massabielle o alle piscine, un racconto senza pregiudizi che non affronta temi sacri ma parla di persone
Lorenzo Amurri, diario di viaggio a Lourdes: “Io non ho fede. Ma in quel posto qualcosa c’è”
ROMA – “Perché non lo portate a Lourdes?”. Una domanda indiretta, fatta da una signora durante una cena e riportata testualmente al destinatario. Lorenzo Amurri, scrittore, da quasi vent’anni su una carrozzina, paralizzato dopo un incidente di sci avvenuto quando di anni ne aveva 26. A quella stessa cena era stato invitato per essere entrato nella cinquina di candidati al Premio Strega con il suo primo romanzo, Apnea (Ed. Fandango Libri, 251 pp, euro 16), in cui racconta la sua storia o almeno ne affronta una gran parte. “E’ un’idea geniale”, andare a Lourdes, ha risposto l’autore quella sera. Non c’è stato bisogno di ‘portarlo’, un uomo su una sedia a ruote al massimo si accompagna. Amurri a Lourdes c’è andato da solo. Il nuovo libro (Ed. Fandango Libri, 201 pp, euro 15) è il diario di un viaggio fatto con rispetto. Con fiducia, fantasia, e senza fede. E’ sulla consapevole differenza tra queste tre parole che si muove l’esistenza di una persona. “La fede religiosa è indiscutibile. Io, semplicemente, non la possiedo”, dice Amurri. Che sul Treno Bianco dell’Unitalsi – l’Unione Nazionale Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali che si occupa dell’organizzazione, del pernottamento, dell’arruolamento dei volontari e della liturgia (non solo religiosa) – c’è salito appena passata l’estate, con un quaderno per prendere appunti e senza immaginare il finale di ciò che avrebbe scritto. “Capricorno. E’ il segno di Gesù Cristo. La Madonna sa riconoscerlo, e farà la grazia” aveva detto ancora la stessa signora della cena. Come se la possibilità di un miracolo, in fondo, non si neghi a nessuno. Condividi “Io non sono un uomo di fede, sono partito pronto anche a un crollo totale delle mie certezze, pronto anche a credere”, racconta l’autore. Nel libro Amurri mantiene un equilibrio costante tra fede, fedeli e un lucido, laico, distacco personale. Annota i negozi che vendono mercanzia sacra a ogni angolo di strada, pubblicità, presentazioni di libri a tema, e il sapore del cibo, l’inconsistenza dei rumori e delle litanie, racconta la poca sicurezza del ‘Treno Bianco’, i letti e il vagone dei disabili, non nega il fastidio di sentirsi definire ‘malato’ da altoparlanti che cadenzano impegni e raduni, sottolinea che lui è sano anche se non può camminare. Ma di Lourdes descrive soprattutto le persone, gli occhi che incontra, la speranza di sguardi che valgono come i suoi, non di meno, non di più. Persone che passano, che resteranno nella sua memoria e tra le pagine, non personaggi di un romanzo ma compagni di un viaggio suggerito da chi la speranza la racchiude nell’idea di un miracolo. Amurri li chiama “i miei simili”, ne racconta le storie, le vite da cui hanno preso una pausa partendo verso il santuario del comune francese di 15.491 abitanti. E’ nella loro storia che si uniscono fantasia e fede, sacro e profano, e il miracolo diventa l’incontro di una settimana in cui la disabilità scompare, diventa un’altra normalità.
Lourdes è un pianeta abitato da ruote dove la casualità di un pilone di cemento nascosto dalla neve a spezzare colli o di un errore chirurgico a paralizzare braccia, o disfunzioni ereditate a cambiare il sangue, è una cartaccia in comune della stessa partita. Lourdes e la possibilità offerta di un miracolo. Vite, e vite a cui tornare. Lorenzo Amurri incontrerà i lettori l’8 dicembre alla Fiera della Media e Piccola Editoria (Piulibripiuliberi). Eur, Palazzo dei Congressi, Sala Diamante, presenta Serena Dandini Condividi “Angelo nella casa famiglia, Renata a casa sua, in quella che ho capito essere un’esistenza precaria e organizzata male. Marcello alle sedute di logopedia e fisioterapia che non ama. Raffaele alla sofferenza da cui non riesce a prendere le distanze, Emma alla sua vita da separata, con tanti figli intorno, ma sempre sola. Un ritorno in una società che tende a respingerli, verso realtà complicate e dense di solitudine. Quella solitudine che conosco bene anch’io, e che spesso riesco ad apprezzare, ma che a volte mi stritola lo stomaco e mi lascia in silenzio per giorni. Quella solitudine impossibile da condividere, perché scolpita su diversità particolari che ci rendono unici anche di fronte ai nostri simili. Mettendo per un attimo da parte religione, fede e miracoli, forse, per loro, è stata una parentesi felice, un momento di condivisione, di divertimento senza le barriere della diversità, un sentirsi liberi da cappi esistenziali, lontani dalla noia di giorni che scorrono sempre uguali. Forse è questo il vero miracolo che avviene a Lourdes”, scrive Amurri nel suo libro. Perché non lo portate a Lourdes si legge in poco tempo, è divertente come Apnea non poteva essere. Involontariamente ne è il seguito. Se il primo romanzo racconta l’incidente e la trasformazione, questo è consapevole e intraprende un viaggio. Alieno fra alieni, Lorenzo Amurri è un musicista, un produttore, un uomo che sa ridere, che ha imparato ad ascoltare, a ricordare per non perdere nessun particolare della sua vita, a notare particolari. Sa giocare col tempo, e se prima lo faceva con una chitarra elettrica e spartiti, poi lo ha fatto con le ore immobili di un letto dal quale non poteva alzarsi, infine con le parole che usa per raccontare tutto. Non c’è pesantezza nel libro, nessuna ferita aperta. Amurri si diverte. Come quando una signora in pellegrinaggio gli indica un uomo che si muove con difficoltà e commenta: “E’ meglio stare così che essere drogati”. E lui scrive: “Ecco, su questa affermazione, avendo provato entrambe le condizioni, posso dire di non avere alcun dubbio: è decisamente meglio essere drogati”. Il lettore si trova in un posto nuovo, pagina dopo pagina, in una terra dei miracoli dove arriva lasciando i pregiudizi chiusi in una valigia da rimettere a posto, casomai, nel viaggio di ritorno. Si siede, scivola, e guarda Lourdes da risciò “su due ruote, con cappottina blu e gancio trainato da crocerossine vestite di bianco”. Ha la sensazione che nulla accadrà oltre a quello che sta già accadendo. La Roma che vince un derby (“Mica sto chiedendo di rimettermi in piedi. Francesco Totti dispensa miracoli ogni domenica da vent’anni…”), il problema di una connessione a orari. Differenze e affinità di mondi che si sciolgono nella promessa di una gelida acqua benedetta. “Ci credono profondamente, la fede dona loro forza e il pellegrinaggio è una grande festa che le rende felici. Esattamente come succede a me quando vado a un festival musicale, dove l’unica divinità è la musica. In effetti, ora che ci penso, somiglia molto a quei viaggi di gruppo che facevo con i miei amici verso mete di concerti”, si legge nel libro. E in un altro punto: “Mi sento eccitato come nei viaggi che facevo senza una meta precisa, alla scoperta di qualsiasi cosa mi aspettasse dietro l’angolo (…)”. Condividi Non c’è delusione per l’immersione nelle piscine o la visita alla grotta di Massabielle, ma Amurri denuncia una sicurezza e un’organizzazione che l’Unitalsi “potrebbe migliorare”, dice che è pronto a un confronto, una discussione, avendone la possibilità. “Sono 110 anni che organizzano il viaggio, eppure ci sono cose che non funzionano”. E’ tutto in un diario, ci sono decine di libri su Lourdes, questo è stato scritto da un ragazzo di 43 anni che voleva fare il musicista, che non crede in Dio, che ha visto nelle mani dei volontari esperienza e bellezza, grazia, gentilezza, onestà: “Incontro piccoli gruppi di volontari che tornano nei rispettivi alberghi. Sono loro il motore positivo del pellegrinaggio. Si pagano viaggio e permanenza di tasca propria, faticano tutto il giorno scarrozzando persone in giro e assolvendo i vari servizi assegnati, e la sera, nonostante la stanchezza, trovano la forza per portarti al pub. Sempre molto disponibili e con un sincero sorriso stampato sul viso”. Questo libro parla di loro, in qualche modo. Celebra e ringrazia tra le righe le persone che sanno assistere e rendere normale una diversità. E’ dedicato al saper sorridere, alla forza di chi sa farlo, non importa da quale altezza, se appoggiati su piedi o su ruote. Chi si aspetta un libro sulla fede religiosa potrebbe contestarlo, Amurri non affronta l’argomento, non cerca di convincere, non dimostra nulla. Non cambia idea, mantiene intatto il suo rispetto, mette alla prova la sua stessa speranza di guarigione. Prova, assaggia, si butta, e riesce a farlo senza superficialità. Senza pietà, senza pietire, senza impietosire. L’acqua santa di Lourdes non ha messo a posto la sua colonna vertebrale ma Amurri parla di un cambiamento “che è avvenuto anche nel mio corpo. Ho scoperto molti aspetti interessanti e capito che, indubbiamente, in quel posto qualcosa c’è”.
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