La felicità è martire anche quando guarisce a «Lourdes»
Le strade delle donne sono infinite qui in Laguna. Ed hanno percorsi tra i più originali del festival.Anche ieri, per esempio, l’itinerario al «femminile » ha offerto due vere sorprese che spaziano dall’impegno contro la violenza sulle donne all’interrogarsi sul bisogno contemporaneo di credere nei miracoli. Percorsi apparentemente opposti che mettono insieme due film di grande impatto emotivo: Desert Flower della statunitense, naturalizzata tedesca, Sherry Hormann che porta sul grande schermo la vita di Waris Dirie, l’ex top model somala diventata oggi il volto della lotta contro le mutilazioni femminili. E Lourdes dell’austriaca Jessica Hausner che, passato in concorso, si è rivelato il vero «caso» della giornata.
E non fatevi fuorviare dall’uscita in sala di quest’ultimo prevista dal Luce proprio l’8 settembre, giorno dell’Immacolata. Perché Lourdes è soprattutto uno sguardo laico sulla ricerca della felicità di ciascuno di noi. Al centro della storia è una donna costretta sulla sedia a rotelle dalla sclerosi a placche. La troviamo a Lourdes insieme a tanti altri malati e pellegrini. Intorno a lei i volontari della Croce di Malta che si avvicendano nei loro servizi al prossimo con fare «militaresco ». Le infermiere, le più giovani, fanno gli occhi dolci ai loro colleghi. Il prete del gruppo che preferisce il vino rosso all’acqua santa della Madonna. E c’è pure un premio finale al «miglior pellegrino» che si è distinto per il suo impegno coi malati. Senza mai scadere nella macchietta, ma con stile quasi documentaristico, Lourdes ci accompagna attraverso la guarigione miracolosa della protagonista: una notte, dopo tanto pregare, la donna riesce a tirarsi su dal letto. Così riprende a camminare, nonostante lo scetticismo dei medici e persino quello di certi sacerdoti. E, soprattutto, nonostante l’invidia degli altri malati.
«Mi interessava – spiega Jessica Hausner che si dichiara cattolica sbattezzata – indagare il miracolo come ricerca della felicità, attraverso l’emozione che accompagna il sentimento religioso». Da qui la scelta di Lourdes che, rispetto ad altre mete di pellegrinaggio, ha un suo primato in fatto di miracoli. Come del resto mostra il film non risparmiando i gadget e il kitch dell’industria che si cela dietro. «Ma non intendevo fare qualcosa di critico anche perché dalle lunghe ricerche che ho fatto non si può dire se i miracoli avvengano solo tra i credenti. La mia protagonista, infatti, non è così religiosa». Il suo intento, quindi, è guardare «all’ambiguità che si cela dietro a questo argomento. Per questo ho cercato la distanza dello studioso che non prende posizione, ma osserva. E osserva soprattutto la caducità della felicità».
Come nel caso della protagonista che, forse, finirà di nuovo su quella sedia a rotelle. Ma la felicità, in altri casi, può passare anche attraverso l’azione. Alla volontà di cambiare barbare tradizioni di violenza sulle donne,come quella dell’infibulazione, praticata ancora in molti paesi africani, nonostante i divieti di legge. «Mi trovo qui perché ho voluto una vita migliore», dice con piglio da combattente la bellissimaWaris Dirie, dal cui best-seller Fiore del deserto è tratto il film passato alle Giornate degli autori.Un vero inno alla liberazione delle donne africane e contro la violenza delle mutilazioni genitali – lei l’ha subita a 3 anni – che, attraverso continui flashback, ci racconta la vita di Waris: dalla sua fuga a 15 anni dal deserto somalo per sfuggire ad un matrimonio con un vecchio vedovo, fino all’incontro londinese col fotografo che l’ha trasformata in top model, alla scelta di abbandonare tutto e diventare testimonial Onu. Per questo ha voluto che il «film non fosse un documentario ma potesse arrivare al grande pubblico. Perché per fermare questa tragedia bisogna ancora fare molto».
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