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#Lourdes e il miracolo di Bartali

A tutti i nostri lettori proponiamo un bell’articolo sul grande Gino Bartali, tratto dal quotidiano cattolico di opinione on-line “La Bussola Quotidiana” di giovedì 14 luglio 2011.

bartali

“LOURDES E IL MIRACOLO DI BARTALI”

di Antonio Giuliano

Il Tour de France ritorna a Lourdes e chissà che non sia ancora una volta una tappa provvidenziale. Viste le tante cadute che stanno funestando questa edizione della grande corsa ciclistica a tappe sembrerebbe quasi una deviazione obbligata dell’ultim’ora. In realtà gli organizzatori avevano messo in calendario da tempo questo “omaggio”.
Il 15 luglio, la carovana dei corridori approda nella cittadina transalpina famosa per le apparizioni della Madonna alla giovanissima Bernadette Soubirous. Ma già dalla sera prima c’è stato un inconsueto fuori programma: i 180 ciclisti al via della caratteristica processione “aux flambeaux” con tutti i pellegrini. E a seguire c’è stata la messa per loro presso la Grotta di Massabielle. Una nottata in preghiera prima di ritornare a scalare ancora le vette pirenaiche nella tappa Pau-Lourdes che sancisce il ritorno nel luogo benedetto. Solo una volta infatti il Tour nella sua storia aveva posto il suo arrivo qui e non è un caso se si trattò di un evento destinato a lasciare il segno.
Vinse e non poteva farlo che lui, Gino “il Pio” Bartali (1914-2000), “le pieux” come lo avevano ribattezzato i francesi per la sua fede rocciosa di cui orgogliosamente non fece mai mistero. E fu un successo dall’alto valore simbolico in un Tour che incise non poco sulla storia del nostro Paese. Bartali vi era arrivato all’apice di una carriera strepitosa e un palmares già straordinario: con la conquista, tra l’altro, di 3 Giri d’Italia (1936, 1937 e 1946) e un Tour nel 1938. Solo la guerra frenò il suo bottino. Oltre ovviamente ai duelli leggendari con Fausto Coppi, il “Campionissimo”, in una rivalità che divise l’Italia.
Quel Tour del 1948 (con Coppi a casa per scelta personale) si presentava più duro del previsto. Nonostante la conquista della maglia gialla già nella prima tappa, Bartali incontrò sulla sua strada l’astro nascente del ciclismo francese Luison Bobet. Il nostro fuoriclasse s’impose ancora a Lourdes e a Tolosa, ma a metà Tour accusava già un ritardo di oltre 20 minuti dal transalpino. E molti giornalisti italiani cominciavano ad andar via.
«Fu un momento molto difficile – ricorda oggi Andrea Bartali, settantenne, figlio primogenito del campione -. Mio padre pensava che la colpa fosse sua, per il suo ritardo in classifica e perché veniva considerato ormai vecchio, aveva infatti 34 anni. In realtà poi comprese che i giornalisti andavano via perché in Italia c’era un gran caos…».
Era il 14 luglio, esattamente come 63 anni fa. E quel giorno il leader del Partito comunista, Palmiro Togliatti, fu ferito gravemente in un attentato. Sarebbero seguite giornate di scontri e arresti, con circa 20 morti e 200 feriti. Il Paese, già provato dalle accese elezioni del ’48 che sancirono la schiacciante vittoria della Dc di Gasperi sul Fronte popolare social-comunista, sembrava davvero sull’orlo di una guerra civile. «Mio padre cercò di mettersi in contatto con noi – spiega Andrea Bartali – perché era molto preoccupato. E invece proprio la sera del 14 luglio gli arrivò la telefonata di De Gasperi che gli chiedeva di vincere il Tour per calmare le acque. Si davano del “tu”, perché entrambi avevano militato nell’Azione Cattolica. Sulla carta era davvero un’impresa disperata per mio padre rimontare in classifica».
Eppure “Ginettaccio” stupì tutti alla sua maniera, volando sulle Alpi e infliggendo distacchi epici. Riuscì in un miracolo doppio: vinse un Tour da guinness (unico ciclista a vincerne due a distanza di 10 anni, un primato che gli valse il soprannome di “Intramontabile”) e rasserenò il clima italiano. Le feroci manifestazioni di protesta si tramutarono incredibilmente in cortei di giubilo per la sua vittoria. A proposito di quell’anno così travagliato segnato dalla dura competizione elettorale, Giovanni Guareschi pare abbia detto: «Ci salvarono le zie, Don Camillo e Bartali». Ma i meriti del campione toscano emergono anche da un bel libro ristampato di recente: Sia lodato Bartoli. Ideologia, cultura e miti dello sport cattolico (1936-1948) di Stefano Pivato (Edizioni Lavoro 1996, pp. 208 euro 13,43).
Di sicuro il clamore fu generale: «Andreotti mi disse – continua Andrea Bartali – che il giorno in cui mio padre riconquistò la maglia gialla, i deputati al parlamento, di destra, centro e sinistra, non appena arrivò la notizia si alzarono in piedi e applaudirono a lungo. Solo anni dopo mio padre si renderà conto di quanto incise la sua impresa. Eppure rimase male per il trattamento ricevuto. “Ho salvato l’Italia – ci confidò – ma lo Stato mi ha dimostrato poca riconoscenza”. In effetti al suo ritorno in patria fu ricevuto dai politici che si dissero disposti a concedergli qualsiasi cosa, anche una coppa d’oro… Ma lui, che finì con una misera pensione sociale, aveva solo chiesto l’esenzione da alcune tasse. E non gli fu concesso. Ne fu addolorato e non volle più saperne. La verità è che era un uomo scomodo, tutto d’un pezzo, non era un fine diplomatico. Era certo un brontolone. Ma non ho mai sentito da lui una parolaccia, né ha mai parlato male di nessuno».
Nemmeno di Coppi. «No, assolutamente. Certo non aveva approvato la sua relazione extraconiugale con la “Dama Bianca”. Avevano due concezioni diverse della vita. Al di fuori delle gare si stimavano anche, sebbene non si frequentassero. Ma ovviamente in corsa entrambi volevano vincere. Per mio padre il rispetto dell’avversario era sacro. Si discute ancora su chi abbia passato la borraccia in quella famosa foto… In realtà so che più volte se la passarono a vicenda in altre gare. Nei momenti di difficoltà ci si aiutava. Certo mio padre era un uomo di profonda fede».
Curzio Malaparte scrisse: «Bartali possiede la fede ingenua e profonda dei toreri spagnoli. Ogni volta, prima di sfidare il toro, si inginocchia e prega. Ogni volta, dopo aver ucciso la tappa, si inginocchia e prega per ringraziare Dio di avergli concesso la vittoria». «Sì – ammette il figlio Andrea – Mio padre non ha mai nascosto la sua religiosità. Tutt’altro. Aveva voluto a tutti i costi diventare terziario carmelitano (e la mantella tipica l’ha voluta portare con sé anche nella tomba). Era devoto di santa Teresa del Bambin Gesù che aveva scoperto anche in seguito alla tragica morte di suo fratello in un incidente fatale. Ma aveva anche una venerazione particolare per la Madonna di Lourdes. Per questo quella vittoria nel 1948 ebbe per lui un valore speciale e gli diede una carica senza pari. Quel giorno i fiori che ottenne sul podio non li regalò ai tifosi, ma li portò poi alla Grotta. Ci andava tutti gli anni quando passava lì vicino. E ci portò diverse volte noi di famiglia. Ricordo ancora i souvenir che mi portava quando studiavo in collegio…». In verità anche Coppi, a cui hanno voluto far indossare a tutti i costi la laica maglia rossa, era credente e pare che l’ “Airone” al Santuario di Lourdes si rifugiasse spesso.
Ma Bartali era davvero un fedele integerrimo: «E Pacelli – assicura il figlio Andrea – era un suo tifoso sfegatato. Difatti lo ricevette in udienza dopo l’impresa al Tour del ’48 per congratularsi personalmente. Lui si era già sentito davvero onorato quando Pio XII affacciandosi a piazza San Pietro per un raduno di Azione Cattolica fece il suo nome come esempio di uomo attaccato alla fede e alla famiglia. E ancor di più quando Pio XII gli aveva chiesto di iscriversi alla Dc e di partecipare alle elezioni. Peraltro era amico già di De Gasperi e Gedda (il quale lo cita spesso nelle sue memorie). Lui ci pensò e poi rispose: “Dire di no al Papa è come dire no al Padreterno, ma devo rifiutare per rispetto di una parte dei miei tifosi”. E ora capisco perché in un inedito Guareschi scrive che anche Peppone tifava per lui…».
Per Bartali il ciclismo era quasi una vocazione monastica. Con questo spirito salvò 800 ebrei durante la seconda guerra mondiale. Un’opera eccezionale venuta alla luce solo pochissimo tempo fa, anche grazie al libro di un giovane corridore e studioso Paolo Alberati: Gino Bartali. “Mille diavoli in corpo” (Giunti 2010, pp. 192, euro 15). «Mio padre – confessa Andrea – aveva voluto mantenere segreta questa storia. Lui mi ripeteva: “Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”. Nessuno di noi, nemmeno mia madre sapeva che faceva anche 380 km in un giorno per andare e tornare da Firenze ad Assisi, per portare a francescani e clarisse documenti di ebrei da falsificare. Su mandato del cardinale Dalla Costa di Firenze era pronto a saltare in sella e arrivare ovunque: foto e documenti li nascondeva accuratamente nella canna, sotto il sellino o dentro le impugnature del manubrio. Di recente un avvocato di Firenze, Renzo Ventura, mi ha detto che deve a mio padre la vita avendo trovato il diario della mamma in cui si cita esplicitamente Gino Bartali come salvatore».
Grazie a testimonianze come questa lo Stato di Israele è pronto a conferirgli il massimo riconoscimento: un albero in suo onore nel Giardino dei Giusti dello Yad Vashem, il memoriale delle vittime della Shoah. «Rischiò tante volte – ammette Andrea – Era finito nel mirino dell’Ovra, la polizia fascista. Mio padre non sopportava Mussolini perché voleva a tutti i costi imporgli i suoi programmi. Una volta poi per portare dei documenti a Genova si fermò alla certosa di Farneta a Lucca dove di lì a poco, nel 1944, i nazisti trucidarono certosini e civili. Spesso lo fermavano e lui sviava parlando di ciclismo… Una volta lasciando però la bici in un angolo la trovò spezzata: pensavano fosse un’arma per il suo colore verde ramarro. Un atto sacrilego per lui che trattava la bici come una persona. gli parlava addirittura… Ma non si demoralizzò. E continuò a pedalare imperterrito. Se lo ricorda benissimo suor Eleonora, clarissa oggi 96enne del convento di San Quirico ad Assisi».
Si avventurava su strade secondarie e di montagna per centinaia di chilometri, quasi sorretto da una mano invisibile e con la stessa grinta con cui sprintò a Lourdes e a quel Giro di Francia del ’48. Ed è davvero singolare che il Tour ripassi da Lourdes a cavallo del 14 luglio, festa nazionale francese che ricorda la presa della Bastiglia. Ma quel luogo parla di un’altra rivoluzione. Quella di una fede prodigiosa capace di spostare le montagne o di scavalcarle con classe sui pedali, proprio come Bartali.

Qualche foto storiche del Tour de France a Lourdes:

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