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Qui a #Lourdes tutti sono accolti

Intervista al dottor Alessandro De Franciscis, presidente del “Bureau de Constatation Medical de Lourdes”.

Come riporta il sito ufficiale del Santuario (lourdes-france.org), i dossier di guarigioni depositati a Lourdes dopo le apparizioni sono oltre 7.500. Di questi, i casi riconosciuti come miracoli dalla Chiesa sono 70. L’80% dei miracolati è costituito da donne: i Paesi d’origine sono Francia (56), Italia (8), Belgio (3), Germania (1), Austria (1) e Svizzera (1). Una storia, quella di Lourdes, fortemente legata al miracolo e alla guarigione, fisica e spirituale. Ma è questo l’unico “carisma” della Madonna apparsa per la prima volta a Bernadette Soubirous l’11 febbraio 1858? Lo abbiamo chiesto all’italianissimo dottor Alessandro De Franciscis (nella foto qui sotto), grande amico di Voce, che dal 2009 vive a Lourdes ed è medico permanente e presidente del “Bureau des constatations médicales“, l’organismo che riceve le dichiarazioni di presunte guarigioni inspiegate ricollegabili all’intercessione della Madonna di Lourdes.

Dottor De Franciscis, che cosa può “dire” Lourdes ai giovani di oggi?

«A Lourdes nel 1874, a vent’anni dal riconoscimento delle apparizioni, una congregazione locale, le Figlie di Nostra Signora dei dolori, costruisce un ospedale per accogliere i malati, anche i più gravi: un ospedale che tra l’altro esiste ancora oggi, ed è il luogo preferito dai nostri amici del Piemonte quando vengono al Santuario. È “L’accueil Marie Saint-Frai”, un tempo conosciuto anche come “l’ospedale dei sette dolori”. Ebbene, intorno a questi malati si organizza e si struttura un volontariato che nel corso degli anni mette a fuoco tecniche di servizio alla persona ammalata e disabile che non hanno uguali in nessun’altra parte del mondo. Un volontariato talmente “unico” da conquistarmi quando, alla fine del quarto anno di liceo classico, mi fu proposto di accompagnare i malati a Lourdes. E io, per curiosità, con altri due compagni di classe accettai. Quello che mi capitò nell’ormai lontano 1973 è esattamente quello che vedo ancora oggi: arrivato a Lourdes, io mi sentii a casa mia, sebbene fosse la prima volta che ci mettevo piede. Non avevo assolutamente idea di che cosa avrei incontrato, ma già dalla partenza del treno che mi avrebbe portato a Lourdes mi ero reso conto che avrei potuto essere utile agli altri. Ecco, mi pare che questi due elementi, il sentirsi a casa e il poter facilmente essere d’aiuto agli altri, che parlarono a me da adolescente, parlino ancora ai giovani di oggi».

Approfondiamoli, questi due “elementi”…

«Punto primo: a Lourdes tutti sono accolti, indipendentemente dal proprio credo. E quelli che sono più in difficoltà, quelli che papa Francesco nella sua recente intervista a Fabio Fazio ha definito come la “seconda categoria” per il mondo, a Lourdes invece sono dei veri e propri “Vip”, stanno al primo posto. E io credo che i giovani, che non sono solo cercatori, ma anche “annusatori” di verità, lo capiscano molto bene».

Punto secondo?

«Come è capitato a me da ragazzo, alla Grotta di Lourdes il giovane, che per sua natura è in-esperto, cioè deve ancora imparare, percepisce intuitivamente che può essere utile agli altri. Io vedo liceali francesi, italiani o inglesi che trovano assolutamente naturale dare una mano, spingere una carrozzina, aiutare nel pellegrinaggio a spogliare e rivestire una persona malata dopo l’igiene corporale, o accompagnarla alla toilette… gesti di prossimità carnale e vera, che nella vita di tutti i giorni oggi tendiamo a non considerare, ma che a Lourdes diventano istintivi».

Da dove viene questa “naturale istintività”?

«Faccio una premessa. Da buon italiano, da buon meridionale, per me la mamma è sempre la mamma (sorride)… e la Mamma, la Madonna, ha con i propri figli una capacità di intuizione e di comunicazione fuori dal comune, diversa dal solito. Insomma: a Lourdes non si viene per fare un corso di formazione professionale su “come” mettersi al servizio dei malati, ma si arriva e si comincia a dare una mano. E questo i ragazzi e le ragazze lo comprendono».

Guardando alla sua esperienza a Lourdes, lei direbbe che la sofferenza è il luogo privilegiato in cui si incontra Dio?

«Eh… su questo nessuno può fare il professore, nemmeno chi ha vissuto esperienze “forti”. Si entra in un mistero, “nel” Mistero. Penso al dolore “scandaloso”, che umanamente non si spiega. Da pediatra, ho capito un po’ di più che cosa diceva domenica sera (nella trasmissione “Che tempo che fa” di Fabio Fazio, ndr) il Papa sul dolore innocente e sulla sofferenza dei bambini, che rimane comunque una questione “complicata”. Il bambino mica si interroga sull’esistenza di Dio, come potremmo fare noi. È un mistero… Così come da diverso tempo la vicenda della Shoah mi tormenta: quegli ebrei, catturati e uccisi con metodo e precisione tedesca, come le lenti Zeiss… è una roba accaduta nella nostra Europa: nel continente dei diritti civili, patria di Mozart e Beethoven, nell’Europa cristiana delle cattedrali e delle abbazie! Quando si tocca la sofferenza, affermazioni apodittiche io non ne farei. Qui si entra veramente nel Mistero».

Andrea Antonuccio per LA VOCE ALESSANDRINA

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