All’alba nella Cappella Sistina

1Ricorrono 540 anni della nascita di Michelangelo Buonarroti,  pittore, scultore,  poeta, artista tra i più grandi di sempre. “Il Faustino” lo ricorda con questa visita singolare che Roberto Allegri,  nostro collaboratore, ha fatto alla Cappella Sistina, dove si trovano immortali capolavori di Michelangelo, in particolare il Giudizio Universale. Ogni giorno, la Cappella Sistina è meta di migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo. Roberto Allegri ha avuto la fortuna di visitarla al mattino presto, quando non c’erano turisti,  in compagnia del direttore dei Musei Vaticani, il professor Antonio Paolucci,  massimo esperto dell’opera di Michelangelo. E ne ha riportato emozioni intense, che ha affidato a questo suo articolo..

INCONTRO ALL’ALBA, NELLA CAPPELLA SISTINA

Di Roberto Allegri – Foto di Nicola Allegri

Anche il silenzio pare dipinto. E le figure negli affreschi, sulle pareti e sulla volta, sembrano parlare. Un brusio, come il ronfare di un alveare. Le immagini che raccontano mentre io sono al centro e rimango in ascolto.

Pochi passi. Ma ad ogni passo ho l’impressione di scavalcare il tempo. Perché lì, nelle sale dei Musei Vaticani, il tempo rallenta la corsa e si mette a camminare al mio fianco.

2Fuori, Roma è spenta dalla pioggia. L’acqua cade e ingrigisce il marmo. Il mattino è appena nato. Dentro i Muse  brucia una luce che sembra irreale. Complice è il silenzio, l’assenza del pubblico, i miei passi che risuonano nei lunghi corridoi.

Matteo, il mio accompagnatore, lavora per l’Ufficio Stampa dei Musei e porta la barba lunga come quella di un profeta. Forse abita un dipinto, penso. Uno degli innumerevoli che scorrono ai lati, con le statue, le teche, i marmi, gli arazzi, l’oro e gli argenti, le armi e i tesori del tempo trascorso. Vorrei dire qualcosa e invece sto zitto. Mi lascio condurre e attendo di arrivare alla meta. Emozionato. Perché quando Matteo mi ha detto <<il professore ti aspetta nella Sistina>>, il respiro è inciampato, perdendo il ritmo.

Poi prendiamo una piccola porta e siamo già nella zona proibita, quella dei Conclavi. Alla mia sinistra, l’ingresso che viene bloccato per dare vita al segreto dell’elezione papale. Ma, a destra, lo spazio fluttua, si allunga a sfiorare il cosmo. Un tunnel che mi proietta in avanti, verso il fondo. Verso il maestoso Giudizio di Michelangelo.

Là mi attende il professor Antonio Paolucci, classe 1938, già Ministro dei Beni Culturali del governo Dini, dal 2007 direttore dei Musei Vaticani, cioè di quella che è una delle raccolte d’arte più grandi e preziose del mondo.

Siamo soli, senza turisti, circondati dai dipinti di Michelangelo, del Perugino, del Ghirlandaio, di Botticelli.

3Quell’indaco che sembra separarsi dalla parete e colare a terra, allagare lo spazio, farmi annegare. Il cinabro che sanguina e fa sanguinare lo sguardo, ferito dalla bellezza. Qui la bellezza è una lama, provoca tagli profondi che però non fanno male.

Antonio Paolucci mi prende sottobraccio e mi fa danzare. Mi conduce come in un valzer per la Sistina. Tutti e due col naso alzato verso la meraviglia. Mi dice, mi racconta, si infervora, si ferma e mi guarda fisso, timoroso di farmi capire. Mi spiega Michelangelo, mi dice di passione e preghiera, di genio e fatica, di poesia e tormento. Ed estasi.

<<Michelangelo non voleva dipingere la volta della Sistina>>, spiega sorridendo. <<Disse infatti al Papa Giulio II, che gli aveva commissionato il lavoro: “Non sono un pittore, non è il mio mestiere! Io sono uno scultore!”. Aveva già scolpito opere immortali, come la “Pietà” che si trova nella Basilica di San Pietro, e il “David” che sta nella Galleria dell’Accademia a Firenze. Pensate che quando scolpisce la “Pietà”, Michelangelo ha solo 24 anni

<<La cappella Sistina era un posto orrendo per lavorare. Usò proprio l’espressione: “sembra un granaio”. La Sistina è lunga 40 metri, larga 14: si trattava di lavorare su un soffitto di 1080 metri quadrati. Ma Giulio II fu irremovibile e così Michelangelo, in quattro anni, tra il 1508 e il 1512, dipinse tutta la volta con le storie bibliche tratte dal libro della Genesi, per un totale di oltre 300 figure. Lavorò sempre da solo perché non tollerava collaboratori, cacciava via tutti. Aveva un temperamento collerico, era un misantropo. E dipinse in condizioni davvero terribili.

4<<Era costretto a lavorare sempre rivolto verso l’alto, piegato all’indietro. Michelangelo, che era anche un grandissimo poeta, ci ha lasciato dei versi in cui descrive benissimo la situazione. Dice che aveva “la barba al cielo e la memoria in sullo scrigno, e ‘l petto fo d’arpia”, cioè la testa rivolta all’insù e la schiena piegata al punto da toccare le reni con la nuca, spingendo in fuori il petto come gli uccelli. E aggiunge anche un verso bellissimo che dice: “E ‘l pennel sopra ‘l viso tuttavia mel fa, gocciando, un ricco pavimento”, descrivendo il colore del dipinto, l’azzurro lapislazzuli, il rosso cinabro, il verde rame, che dal pennello gli cadeva sul viso.>>

Ascolto. Lo faccio con gli orecchi ma anche con gli occhi, seguendo le mani del professore, i gesti, le espressioni del suo viso innamorato dell’arte. Lo invidio per la confidenza che dà alle opere immortali, per la conoscenza dei testi, la cultura, l’esperienza. Ma soprattutto avverto forte la gratitudine per l’occasione. Occasione di apprendere, sapere e per quella danza claudicante sul pavimento della Sistina, pestando le orme invisibili di Papi e artisti.

Penso alla mia infanzia, e ad occhi chiusi vedo un albero pieno di foglie. Un ulivo.

Le foglie dell’ulivo, quando la mano del vento le accarezza, si tramutano in tanti pesciolini d’argento. Si agitano e catturano la luce per poi rifrangerla in ogni direzione a dare come risultato una melodia luminosa. Ecco, le foglie del “mio” ulivo sono i ricordi e la musica è la memoria che li somma tutti quanti.

Molte di quelle foglie argentate, cioè molti ricordi lontani, sono i film visti da bambino insieme a mio padre. Gli western di John Wayne, le fiabe di Frank Capra, le pellicole in bianco e nero di Fernandel e Gino Cervi. E poi i film sulla vita dei grandi artisti. Anthony Franciosa nella parte di Francisco Goya. Kirk Douglas come Van Gogh. Anthony Quinn ad interpretare  Gaugain. E Charlton Heston nella parte di Michelangelo.

7“Il tormento e l’estasi”. Quello è il film del 1966. E racconta la realizzazione da parte di Michelangelo Buonarroti della volta della Cappella Sistina. Nel ruolo del Papa Giulio II della Rovere, l’immenso Rex Harrison.

La potenza delle immagini, la musica, i personaggi, il genio dell’artista: tutto svelato con parole semplici dal film e dai commenti di papà. Era come quando mi raccontava l’Odissea camminando in riva al mare. Tutto rimane sempre nitido nel ricordo, nella foglia dell’ulivo.

Crescendo, di quel film ho saputo tante altre cose, per esempio che aveva vinto il David di Donatello nel 1966 e che aveva avuto cinque candidature agli Oscar. E poi che era basato su un romanzo scritto da Irving Stone. Romanzo che poi ho letto nell’estate dei miei diciott’anni.

“Il tormento e l’estasi”. Vecchio film, foglia d’ulivo cui sono molto affezionato. Michelangelo sdraiato a dipingere il soffitto della Sistina, tormentato dalla scomodissima posizione ma in preda all’urgenza dell’estasi creativa – una delle più immense della storia dell’arte – mi aveva colpito dentro, tanto da lasciare il segno, una piccola cicatrice di emozione. La volta della Sistina. Il Giudizio Universale. Il Cristo guerriero e giudice spinto a forza dalla luce dell’indaco verso chi guarda.

Non potevo immaginare che a distanza di tanti anni, in un’occasione molto particolare, a quei dipinti avrei “dato del tu”, ammirandoli in un silenzio quasi irreale <<Michelangelo dipinge  il Giudizio quarant’anni dopo la volta, quando aveva più di sessant’anni>>, dice il professor Paolucci. <<Il nuovo papa, Paolo III Farnese, gli ordinò di completare la cappella Sistina. Dopo le storie di Gesù e di Mosè fatte dai pittori del Quattrocento, dopo la Genesi dipinta nella volta, il Papa voleva concludere con la fine della storia, con l’apocalisse, il giudizio finale. E Michelangelo dipinge questi 600 metri quadrati in cinque anni, tra il 1536 e il 1541.

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<< Il Vasari dice che quando Paolo III Farnese, il 31 ottobre del 1541, vide il “Giudizio Universale” per la prima volta, si buttò in ginocchio con le lacrime agli occhi. <<Michelangelo sentiva questo impegno, che gli era stato affidato dal Papa, come una importante responsabilità. Era un grande conoscitore delle Scritture Sacre e aveva uno spirito religioso profondissimo, probabilmente uno dei più profondi della storia. Inoltre, aveva la piena coscienza del suo genio e del suo valore. Sapeva che sarebbe stato ricordato nei secoli>>.

Temo si senta il mio ansimare agitato. Ho paura si sentano scricchiolare le mie ginocchia diventate di cristallo.

Davanti al maestoso Giudizio di Michelangelo e sotto le volte della Cappella Sistina, a quest’ora, non c’è nessuno tra il professore e me. Eppure mi sento schiacciare come da una folla. Non riesco a divorare subito con gli occhi gli affreschi della volta e del fondo della Cappella. Non riesco a dare sfogo all’urgenza. Vorrei ma lo sguardo è calcato dalla soggezione. Poi poco a poco sollevo la testa, adagio, misurando il rispetto coi battiti del cuore. Il capolavoro di Michelangelo è lì. E’ insieme a me in pochi metri. E il pensiero va ancora agli ulivi.

Sono stato diverse volte davanti ad un ulivo millenario. Nel silenzio della campagna. Col sole e con la luna. Materia vivente plasmata dai secoli. Tremando ho toccato la sua scorza, bevendo attraverso le dita la sua energia quasi immortale. Anche allora, mi legava la soggezione verso l’opera della Natura più pura. La riverenza che si esprime nel parlare sottovoce, il rispetto verso uno dei grandi anziani del popolo degli alberi, denso di saggezza senza voce. Una montagna di anni, uno sull’altro, inverni ed estati torride, cicale e lucertole, passeri sui rami, nidi di gazze, fulmini che scolpiscono la corteccia, siccità che contorce e pioggia che disseta. Capolavoro di pazienza.

5Ma gli affreschi della Sistina, il Giudizio immobile ma così animato da figure e colori e ombre e grida e luci. Non è la Natura l’artefice. Non sono i secoli gli artisti. E’ stato un uomo. Solo. Un uomo come lo sono io, con mani e piedi e occhi e stomaco di riempire. Ne ho coscienza e questo è il Mistero. Dio parla a tutte le sue creature ma qualcuna la prende sulle ginocchia e la accarezza come un nonno coi nipoti.

Non può durare a lungo un simile incontro, anche se vorrei fosse  senza termine. Non può durare perché una tale emozione sfibra. Vengo dai boschi e dalle colline e pensavo di sopportare la bellezza estrema ma non è così. Dopo la nascita di un figlio, la vicinanza del Giudizio di Michelangelo è quanto di più potente abbia sperimentato. Così ho le vertigini quando saluto il professore. Ma anche malinconia. Tormento ed estasi, come nel film. Come sulla lontana foglia d’ulivo della mia infanzia.

Roberto Allegri

2 commenti

  1. Ho appena finito di leggere questo articolo che ho divorato rapita dalle sue parole, un condensato di senso e vibrazioni: non potevano essere più puntuali e potenti di così! Questa è la forza delle emozioni e la ringrazio di aver pubblicato questo articolo.Lo considero un grande regalo che la sua anima ha fatto a chi ha l’anima per saperla vedere.
    Grazie

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