Ricordando Eugenio Corti

1-eugenio-cortiUno dei grandi scrittori del nostro tempo, ingiustamente emarginato perché credente.

ANCHE BENEDETTO CROCE LO STIMAVA MOLTO

Di Roberto Allegri

Il 4 febbraio scorso è scomparso il grande scrittore Eugenio Corti. Aveva 93 anni da poco compiuti. Di lui e del suo lavoro si è scritto sempre poco. Era un autore fieramente cattolico e per questo, come accade spesso, purtroppo, messo da parte. Poco importa che all’estero fosse molto conosciuto, che in Francia fosse stato accumunato a Proust e Bernanos, che il suo capolavoro, “Il Cavallo Rosso”, sia stato tradotto in parecchie lingue,  che in Italia sia giunto alla 28esima ristampa per le Edizioni Ares di Milano e che molti critici lo abbiano indicato come “il grande romanzo cattolico del Novecento”. Poco importa che Corti godesse della stima di Benedetto Croce e che nel 2011 un comitato promotore appoggiato dal Consiglio della Regione Lombardia avesse raccolto oltre ottomila firme per proporre la sua candidatura al Premio Nobel. Tutto questo non è mai stato sufficiente per considerare Eugenio Corti uno dei più grandi della nostra letteratura.

Per certi versi mi ha sempre ricordato Giovannino Guareschi, altro gigante della scrittura che, nonostante sia l’autore italiano più tradotto nel mondo, paga ancora oggi la colpa della sua fede cattolica e delle sue idee politiche. A queste persone andrebbero intitolate piazze, strade, scuole e premi. Invece li commemoriamo con il silenzio.

Anche in occasione della sua morte, si è parlato pochissimo di Eugenio Corti. Diversi giornali non hanno dato neppure l’informazione della sua scomparsa, e tra essi uno dei maggiori nostri quotidiani. Anche la stampa cattolica lo ha trascurato. Ed è un male perché la grandezza di questo scrittore è veramente sublime.

Lo avevo incontrato nel giugno 2013. Ero andato a trovarlo nella grande casa della sua  famiglia a Besana Brianza e avevo trascorso con lui un’intera mattinata. Il maestro era su una sedia a rotelle, reso sottile e delicato dai suoi 92 anni. Gli occhi azzurri erano velati e tremanti ma lanciavano a tratti bagliori d’acciaio soprattutto quando acchiappava un ricordo che stava fuggendo. Allora la sua candida barba si apriva in un sorriso dolcissimo.

Per l’incontro avevo preparato poche domande, per non stancare il maestro. Dalle sue parole, ora lievi e deboli e ora energiche e sicure, emergevano ricordi, definizioni, convinzioni e aneddoti preziosi. Non delineavano la sua intera esistenza, il corpo completo della sua opera, perché non amava parlare di se stesso, ma più che altro ribadivano concetti che arricchiscono la sua figura di grande vecchio della letteratura mai sul serio riconosciuto. Penso sia stata una delle ultime interviste che Corti abbia rilasciato.

Il maestro mi aveva ricevuto in una sala luminosa, ad un tavolo ricco di libri e fogli scritti. Corti lavorava, adagio e secondo i ritmi imposti dalla salute, alla revisione di un suo saggio sulla crisi post-Concilio Vaticano II. Un’ampia finestra dava sul parco della villa e accanto ai vetri diverse gabbie rilasciavano il cinguettio dei canarini.

<<La definiscono uno scrittore cattolico. Ma cosa significa?>>, gli domandai.

<<Uno scrittore cattolico è uno scrittore universale>>, rispose. <<E’ legato in tutto e per tutto alla sua fede. La fede per lui è non solo in ciò che sente di dover dire col proprio lavoro ma è in tutto quello che esiste. Tutta quanta la realtà è legata al rapporto tra l’uomo e Dio.>>

<<Lo scrittore cattolico ha quindi una grande responsabilità>>.

<<Già il fatto che una persona si presenti come “autore” ha una grande responsabilità. Ogni uomo ha la grande responsabilità di testimoniare quello che è, quello che sente, quello che vede attorno a sé. Ciascuno è responsabile di se stesso ed è la più grande responsabilità che si possa immaginare. Ogni essere umano ha il dovere di divulgare messaggi puliti, positivi. Se poi uno è scrittore e ha credito, questa responsabilità aumenta in modo enorme.>>

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<<In Italia, gli scrittori cattolici sono però un po’ messi da parte>>, osservai.

Corti cercò di fissarmi con i suoi occhi velati e rispose: <<Lo scrittore cattolico è universale, il suo stesso nome lo dice. Katholikòs in greco significa appunto universale. Come tale, va di traverso a molti, lo considerano un disturbo nel quadro. Questo dipende dal fatto che oggi le opinioni che tengono il campo non prendono in considerazione l’intera realtà. Sono opinioni parziali. Se qualcuno si presenta invece con opinioni complete, che comprendono tutta la realtà e quindi anche Dio, non viene accolto. La visione cattolica della realtà complessiva è assai superiore a quella di tutte le altre in quanto è più aperta, mira al totale e non a un qualche cosa di frazionato. Il fatto è che la visione frazionata predomina e le idee allineate con questa visione vanno bene. Il resto è messo da parte. Ma questo solo fatto sconfessa tali visioni come possibili giudici della realtà perché non la considerano nella sua interezza. In Italia, lo scrittore cattolico è messo da parte per lo stesso motivo per cui è messo da parte l’insegnamento di Dio: sono cose che vengono accettate solo se non urtano i non cristiani.>>

<<Chi sono per lei gli scrittori cattolici più importanti?>>, chiesi ancora

<<Difficile dirlo. Vorrei dire tutti e nessuno. Le scelte sono odiose. Mi viene in mente Manzoni. E anche Guareschi. Mi ricordo che ero andato a trovare Guareschi quando viveva a Milano. Conservo ancora in me la gioia e la soddisfazione di quell’incontro, di quello stare insieme e parlare. Abbiamo parlato di tutto>>.

<<Lei è stato molto amico anche di don Gnocchi>>.

<<Lo conoscevo bene. Lui era nativo di San Colombano al Lambro e quando aveva solo cinque anni aveva perso il padre. Con la madre allora era venuta a vivere a Montesiro, una frazione di Besana Brianza, dove era nato anche mio padre. Così don Carlo è cresciuto qui. Poi era andato in seminario e tornava in paese solo per le vacanze.>>

3-eugenio-corti<<Quando lo ha incontrato la prima volta?>>

<<Fu qui a casa nostra. Subito dopo la guerra, don Carlo veniva spesso a casa per vedere mio padre. Mio padre era un industriale tessile, aveva più di mille dipendenti. E così don Carlo veniva a chiedergli aiuti economici per le sue opere. Lui era stato cappellano negli Alpini e aveva promesso ai soldati morenti che si sarebbe occupato dei loro figli. “I miei bambini, i miei bambini”, gli dicevano. E lui rispondeva: “Non pensarci. Ci penserò io!”. A guerra finita, lui si è trovato a doverci pensare veramente. Ma non era uno che parlava a vanvera. Si era impegnato e così è andato a trovare tutti i figli dei suoi soldati. Erano tutte famiglie povere che, morto il padre, non avevano la possibilità di andare avanti. Don Carlo li aiutava. Aveva sempre bisogno di soldi e così veniva a chiedere anche a mio padre che era un cristiano cattolico apostolico. Mio padre lo aiutava sempre. A quel tempo, don Carlo era già diventato un punto di riferimento. Lo conoscevo di nome ma non lo avevo mai incontrato. Lo vedevo qui a casa nostra ma allora non avevo la precisa cognizione del bene che stava compiendo. Lui mi fece cambiare idea su alcune cose.>>

<<Quali?>>

<<Avevo quasi trent’anni, avevo fatto la guerra ed ero stato sul fronte russo anch’io. Quello che avevo visto in guerra, quello che era successo aveva fatto nascere in me un senso negativo sugli uomini, sull’umanità in generale. Un giorno don Carlo mi sentì che parlavo con mio padre della Russia. “Non sono d’accordo con quanto sostieni”, mi disse. “Non va bene che tu abbia queste opinioni e questi giudizi”. Le sue parole mi fecero riflettere molto, e furono l’inizio del mio ripensamento.>>

2-eugenio-corti<<So che don Gnocchi ha celebrate le sue nozze nel 1951>>

<<Proprio così. Non mi ero ancora sposato e allora don Carlo mi diceva in dialetto: “Alura, quant l’è cà ta sa spuset? Allora quando ti sposi?”. E io non sapevo che rispondere. Una volta ero in Stazione Centrale a Milano e stavo prendendo il treno per tornare a casa. Don Carlo era su un binario più in là, mi vide e si mise a gridarmi la solita frase: “Quando ti sposi?”. Quella volta però le cose erano diverse, mi ero fidanzato e avevo anche già deciso la data delle nozze, che si sarebbero celebrate ad Assisi, dato che mia moglie è di origini umbre. Così attraversai di corsa i binari, andai da don Carlo e gli dissi: “Non oso chiederle di celebrare il mio matrimonio. Ma se potesse darci una benedizione, le sarei molto riconoscente.” Lui allora tirò fuori dalla tasca un quaderno e prese nota della data. “Vengo io a sposarti ad Assisi!”, disse. Ricordo che la sera prima del matrimonio io, la mia fidanzata e gli amici più intimi eravamo ad Assisi tutti insieme. All’improvviso è comparso anche don Carlo. Aveva mantenuto la parola e ci aveva raggiunti. Cenammo tutti insieme e poi andammo a passeggiare per le strade di Assisi. Era primavera, era tutto meraviglioso. Anche l’aria che si respirava era un incanto.>>

Roberto Allegri

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