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Al cinema i registi scoprono la fede

Da “Lourdes” a Verdone missionario in crisi, tutti pazzi per Dio

Lassù qualcuno ci ama. O almeno, speriamo. Nel frattempo guardiamo in alto, verso il cielo, allontaniamoci dalle pene terrene, interroghiamoci sull’aldilà, consoliamoci con una preghiera. «Avere fede – dice Jessica Hausner, regista 37enne di Lourdes, dall’11 febbraio nei cinema dopo il gran successo all’ultima Mostra di Venezia – significa credere che esista qualcosa che non si può spiegare e che supera i limiti della comprensione. I credenti lo chiamano Dio. Nella mia storia il miracolo esiste, accade qualcosa di “miracoloso” che però in seguito appare piuttosto banale, le guarigioni possono anche essere spontanee, i miglioramenti momentanei, allora forse il miracolo è soltanto un caso». Nella ricerca della fede il dubbio è il punto di partenza, il traguardo la conversione, in mezzo ci sono gli incidenti di percorso, come quelli descritti da Carlo Verdone, regista e prete in Io, loro e Lara. Anche se qualcuno lo ha addirittura accusato di nichilismo, Verdone ha raccontato, nel suo ultimo film, la parabola esemplare di un missionario in crisi che, davanti al quadro desolante di una famiglia slabbrata e di una comunità incattivita, sceglie di rimettere la tonaca e tornare nella sua Africa, ad aiutare gli ultimi della Terra.

Provare anche con Dio, come cantava la Vanoni, è una strada sempre più battuta, anche da personaggi strutturalmente legati al lato più terreno dell’umana esistenza. Nelle tante interviste rilasciate a proposito del suo esordio alla regia, lo stilista texano Tom Ford, veneratissima icona dell’eleganza internazionale, spiega che il desiderio di portare sul grande schermo il romanzo di Christopher Isherwood A Single Man è il frutto di una fase di smarrimento spirituale: «Avevo letto il libro negli Anni Ottanta e ne ero rimasto molto colpito, l’ho riletto tre anni fa e, ora che ho il doppio dell’età di allora, ne ho scoperto i significati più profondi, cioè la spiritualità e l’universalità dell’amore». Più le vite sono spericolate e più forte risulta, quando arriva, il richiamo della Fede. Lo dimostra l’epopea di Agostino, ex-peccatore divenuto Santo, ricostruita nella fiction di Raiuno.

Certe volte la tensione verso il divino può diventare travolgente, esagerata perfino agli occhi di chi ha scelto di vivere in nome di Dio. È la vicenda di Hadewijch, narrata da Bruno Dumont, ex-professore di filosofia, regista, più volte premiato a Cannes, di film duri e disturbanti come L’età inquieta e L’umanità: «L’idea mi è venuta leggendo la storia di una mistica fiamminga del tredicesimo secolo, mi ha colpito il suo bisogno assoluto di amore, la sua tensione spirituale. Ho provato a trasporre quei sentimenti in una ragazza di oggi e ho provato un forte turbamento pensando che quel tipo di esigenze spinte al massimo possono condurre alla violenza del terrorismo che ben conosciamo». Nel film, Cèline è una novizia che aspira a pronunciare i voti, ma l’intensità della sua fede e le privazioni cui si sottopone sono eccessive al punto da procurarle l’allontanamento dal convento. Tornata a Parigi incontra Nassir, animatore di un gruppo di riflessione religiosa islamica, tra i due nasce un’intesa basata sulla devozione religiosa: «Il desiderio di spiritualità è utile e necessario, il problema sta nel modo in cui viene espresso. Le religioni rivelate offrono una modalità di espressione arcaica, credo sia necessario raggiungere un nuovo umanismo mistico».

Il film è stato acquistato in molti Paesi del mondo ma, per il momento, non in Italia e nemmeno in Spagna: «Immagino sia colpa di una cultura cattolica tradizionale, eppure il mio non è uno stupido discorso anticlericale. Ritengo solo che i cattolici debbano rivolgersi verso un tipo di spiritualità più vicina agli uomini. In Hadewijch c’è sempre, dall’inizio alla fine, l’aspirazione alla grazia». Cinema e mistica, osserva Dumont, hanno molto in comune, e proprio in Italia la cosa non dovrebbe stupire: «Avete avuto Pasolini che era nello stesso tempo mistico e ateo, mi sembra che il suo atteggiamento riguardi oggi molte persone. Il mio film mostra la vacuità della fede, ma non della vita spirituale».

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