Perché cerchiamo ancora il miracolo?
Un’inchiesta tra Lourdes e dintorni
Nell’ultimo numero di Superabile Magazine un reportage sulla meta di tanti pellegrinaggi. Tra gli altri servizi, un’intervista alla scrittrice Clara Sereni e un ampio servizio sulle prossime Paralimpiadi invernali che si terranno a Sochi, in Russia
ROMA – Per chi vede le persone con disabilità come soggetti di diritto e non (o non soltanto) come portatori di bisogni, parlare di miracoli è una sfida. Prova ad affrontarla un’inchiesta del mensile SuperAbile Magazine nel numero doppio di dicembre-gennaio, scaturita da un reportage a Lourdes. L’ultimo miracolo ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa e avvenuto nella cittadina francese, il numero 69, è toccato 24 anni fa a Danila Castelli, colpita da una serie di carcinomi e ormai gravemente disabile, a un passo dalla morte. Sul delicato tema esprimono il loro commento lo scrittore Erri De Luca e la collega Fiamma Satta, lo storico Matteo Schianchi, il giornalista Franco Bomprezzi e la giovane collega Marta Pellizzi, il presidente della Comunità di Capodarco Vinicio Albanesi.
“Pensavamo si trattasse di una china particolarmente scivolosa: perché noi, che abbiamo sempre creduto nella possibilità e nella capacità delle persone disabili di migliorare la vita in Terra, ora rivolgevamo gli occhi verso il Cielo? E qual era il messaggio che ne potevano ricavare i nostri lettori? Potevano forse pensare a una proposta di tipo devozionale che andasse a sostituire l’ottimismo della volontà?”, scrive Antonella Patete. “Eppure quei cinque milioni di pellegrini che ogni anno partono alla volta di Lourdes ci interrogavano: presentavano davanti ai nostri occhi una realtà potente, spesso confinata nell’ambito di una religiosità ingenua e popolare in cui nessuno ama riconoscersi. Ma che molti coltivano nel loro intimo, in maniera forse più complessa e articolata di quanto riesca a cogliere l’occhio razionale dello scettico”.
Perché “il rapporto con se stessi, con i propri deficit e la propria vulnerabilità non è solo una questione di ragione. A volte può avere a che fare con la fede, con la speranza, con il conforto di rimettersi nelle mani di qualcosa (o qualcuno) che è più grande di noi. Senza necessariamente implicare la rassegnazione o la rinuncia alla grinta con cui viene affrontata la vita di tutti i giorni. In quest’ottica ha poca importanza se i miracoli esistano davvero. Così, come sempre, abbiamo scelto di girare lo sguardo verso le persone, che per noi sono le vere protagoniste dell’azione. Per tentare di dare una risposta all’interrogativo che più ci stava a cuore: cosa si cerca davvero quando si invoca un miracolo”. Nello stesso numero, un’ampia intervista alla scrittrice Clara Sereni, madre di un figlio disabile, e un servizio sulle prossime Paralimpiadi invernali in programma a Sochi, in Russia. Spazio, come sempre, alla cultura e a tante strenne curiose e originali da mettere sotto l’albero. (lab)
L’INCHIESTA Occhi al cielo – Ma i miracoli li vogliamo davvero?
Tanti ci credono, alcuni ci sperano, ma quasi nessuno osa confessarlo. Cronaca di un viaggio a Lourdes, tra desiderio e realtà. Insieme ai commenti di credenti e non, faccia a faccia con l’imponderabile
Laura Badaracchi
L’ultimo miracolo ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa e avvenuto a Lourdes, il numero 69, è toccato 24 anni fa a Danila Castelli, colpita da una serie di carcinomi e ormai gravemente disabile, a un passo dalla morte. Ma quando racconta la sua vicenda durante una conferenza stampa, i giornalisti restano perplessi, in silenzio. E migliaia di aderenti all’Unitalsi le dedicano un applauso tiepido, quasi stentato, durante una serata di festa nella monumentale cripta Pio XII, sottostante alla Esplanade che circonda il santuario: forse per timore reverenziale o per vago scetticismo. La messinese Elisa Aloi, guarita nel 1958, resta più defilata e silenziosa, confondendosi con la sua divisa tra centinaia di altre volontarie a servizio di malati e disabili.
E fra le persone che partecipano al pellegrinaggio nazionale organizzato a fine settembre dalla celebre associazione, in occasione dei suoi 110 anni di vita, si “nascondono” altri miracolati che non ci tengono ad apparire, né vogliono rilasciare interviste. Chiedono solo di confondersi tra la folla, di pregare come gli altri e in mezzo a chi, inconsciamente o meno, forse un miracolo lo chiede ancora. «Il fatto di non essere creduti o di essere tenuti a distanza è comune», assicura il dottor Alessandro De Franciscis, presidente dell’Ufficio constatazioni mediche presso il santuario francese, che avvia personalmente un iter «per ogni caso di presunta guarigione inspiegabile. A noi compete soltanto decretare se la persona è guarita senza alcuna spiegazione scientifica. La parola miracolo non ci appartiene, riguarda la Chiesa».
Ma come funziona, in pratica? La persona che suppone di «aver beneficiato di una guarigione straordinaria per l’intercessione della Madonna e desidera darne testimonianza, si rivolge a me e rilascia una dichiarazione, vagliata criticamente», spiega De Franciscis. Il suo singolare ufficio ha una lunga storia: già nel 1859, un anno dopo le apparizioni mariane a Lourdes, il titolare della facoltà di medicina di Monpellier fu incaricato di esaminare alcune guarigioni. Nel 1905 papa Pio X chiese di «sottomettere a un processo regolare» le guarigioni più notevoli, così nacque il Bureau constatations medical. «I fatti ritenuti credibili – scientificamente parlando – vengono trasmessi al Comitato medico internazionale di Lourdes, una consulta operativa dal 1947 e formata anche da esperti non credenti o non cattolici, che si riunisce una volta all’anno», precisa ancora De Franciscis. Questa commissione è formata da una ventina di dottori e specialisti che esaminano i dossier relativi alle presunte guarigioni. Ricordando che «usare la parola “miracolo” non compete a loro, ma al vescovo della diocesi in cui risiede il guarito», sottolinea il presidente dell’Ufficio constatazioni mediche. E di fronte ai progressi terapeutici, giudizi e pareri del Comitato sono diventati ancora più rigidi: se oggi malattie gravi e disabilità vengono trattate con terapie intensive e sempre più sofisticate, in una guarigione dichiarata come valutare l’effetto delle cure in corso o dell’intervento soprannaturale? Gli esperti studiano per anni i casi, consultando le ricerche pubblicate in merito dalla letteratura medica mondiale e anche i colleghi esterni al Comitato.
Che, infine, dichiara o nega che una determinata guarigione sia inspiegabile, nello stato attuale della scienza. «Inspiegabile e inspiegata», precisa il professor Federico Baiocco, responsabile dei volontari medici (circa 800) dell’Unitalsi, Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e santuari internazionali: «Vuol dire che la guarigione resta un mistero anche dopo i progressi scientifici più recenti. La persona guarita in mondo inspiegato nel secolo scorso, in altre parole, lo sarebbe anche oggi. Quindi il fatto resta scientificamente inspiegabile».
Secondo una ricerca fra circa 12mila pellegrini approdati a Lourdes lo scorso anno, crescono i giovani affetti da patologie neurologiche e psichiche che vanno alla grotta di Massabielle mossi dalla fede, sperando anche di guarire. A coordinare l’indagine su circa 900 persone fino a 34 anni giunte nella cittadina francese con l’Unitalsi, lo stesso dottor Baiocco. Che rileva un incremento di circa due punti percentuali dei giovani pellegrini malati (il 7% del totale) rispetto al 2011 (5,2%) e al 2010 (3%). Se nel 2012 il 25% dei pazienti tra zero e 5 anni aveva una malattia genetica, il 20% una patologia neurologica e l’11,5 disturbi psichici, quasi uno su tre (27,5%) ha problemi neurologici degenerativi nella fascia 6-14 anni, mentre fra i 15-34enni questi disturbi salgono al 34,5-38% e le patologie psichiche al 24-25,5%. Gli adulti, invece, hanno soprattutto disabilità derivate da sclerosi multipla e ictus, poi tetra e paraplegie.
Chiedere la soluzione di un problema serio è un’aspirazione forse universale. Ma spesso a confortare, in mancanza di una guarigione fisica o psichica, sono un’accoglienza sincera, relazioni calde, amicizie durature. Il fatto di non sentirsi “strani” o “diversi”. I sordi, invece, «normalmente non vengono a chiedere il miracolo, hanno un grande senso di spiritualità. Alcuni mi dicono che essere a Lourdes significa provare un po’ di paradiso, per il piacere di vivere questa esperienza, anche se la disabilità uditiva resta ancora piuttosto invisibile e ignorata», ribatte padre Savino Castiglione, vicario generale della Piccola missione per i sordomuti. Ascoltando i pellegrini non disabili, poi, si scopre che ognuno ha una sua richiesta molto personale di «grazia» da avanzare: il lavoro per un figlio, la pace in famiglia, la riconciliazione con il marito o la moglie o fra parenti, un concepimento che non arriva. Come Lia, campana, sposata e madre di due figli, nonna a tempo pieno di due nipoti, che racconta: «La prima volta sono venuta per chiedere una grazia per me, poi mi sono vergognata di averlo fatto, vedendo tante persone sofferenti e malate». Per l’ottantenne Anna Maria, napoletana doc e “veterana” di Lourdes – ci viene da mezzo secolo, prima come pellegrina e poi come volontaria Unitalsi – «alcune persone malate e disabili vengono per domandare il miracolo, poi imparano a convivere con la loro croce».
D’altronde, le guarigioni fisiche accertate ammontano a poche decine e sono guardate sì con fede, mista talvolta a disincanto. E gli stessi miracolati, in moltissimi casi, non avevano chiesto un prodigio per se stessi, come testimonia Danila Castelli, 67enne originaria di Pavia: la sua è la 69a guarigione riconosciuta, l’ultima finora. «Sembra assurdo, ma la guarigione più sentita – prima di quella del corpo – è la restituzione di un cuore capace di perdonare», ricorda. Arrivata a Lourdes nel maggio 1989 ormai in fin di vita, accompagnata dal marito medico, dopo il bagno nelle piscine Danila avverte che qualcosa è cambiato: «Non chiedevo la salute, ma la pace interiore. Durante il bagno ho avvertito una gioia immensa, perdonando e sentendomi perdonata. Appena uscita dalle piscine del santuario, ho incontrato mio marito: anche lui era pacificato. Allora ho pensato che quella fosse la vera guarigione, la fine del rancore; la parte fisica era il segno».
A 34 anni Danila, quattro figli, aveva cominciato a soffrire di crisi ipertensive spontanee e gravi; nel 1982 subisce una isterectomia e un’annessectomia, seguite da un’asportazione parziale del pancreas; l’anno dopo una scintigrafia conferma la presenza di un tumore nella zona rettale, vescicale e vaginale. «Il miracolo più grande e profondo è il perdono di tutti i peccati, la conversione. Danila lo sa e s’impegna nell’Unitalsi come volontaria per servire i malati: è il suo modo di continuare a ringraziare il Signore», commenta il gesuita argentino padre Horacio Brito, rettore del santuario e compagno di papa Bergoglio durante gli studi universitari.
L’iter per il riconoscimento della guarigione «completa e duratura» della signora Castelli è durato oltre 20 anni: solo il 19 novembre 2011, a Parigi, la Commissione medica internazionale di Lourdes ha certificato che «il modo della sua guarigione resta inspiegato allo stato attuale delle conoscenze scientifiche». Poi il fascicolo è passato «nelle mani della Chiesa», riferisce Baiocco, membro della Commissione che ha esaminato il caso di Danila. E lo scorso 20 giugno il vescovo di Pavia Giovanni Giudici ha dichiarato che si tratta di un miracolo.
Un’altra volontaria Unitalsi si confonde con la sua divisa fra centinaia di altre: in perfetta salute, la ultra 80enne messinese Elisa Aloi ne aveva 14 di anni quando fu colpita da una tubercolosi ossea multipla fistolosa, vissuta senza il conforto dei genitori, scomparsi quando aveva solo 11 anni. «La più grande sofferenza per me era essere sola».
Dopo 33 interventi chirurgici, è immobilizzata in un gesso dal collo alla coscia destra, che la costringende a stare supina. «Non chiedevo la guarigione: ritenevo un lavoro il dolore, ascoltavo il silenzio e pregavo». Il 5 giugno 1958, per la terza volta a Lourdes, aveva la febbre alta e chiese di essere portata alle piscine in barella: «Ho avvertito un senso di svuotamento, poi le gambe dentro al gesso che si muovevano, e ho pensato a una suggestione».
I medici, vedendo le fistole chiuse, le garze e i tubi di drenaggio puliti accanto alle gambe, rimangono senza parole e decidono di rimandarla all’ospedale di Messina per la rimozione dell’ingessatura. Dove le radiografie attestano come il femore destro, che aveva subito un’asportazione di dieci centimetri nel tentativo di frenare l’infezione tubercolare, risultava completo. Nello sconcerto del medico: «Non hai assolutamente nulla, neanche tracce di decalcificazione. L’osso che ho operato io, che con le mie mani ho tolto dalla tua gamba, è ricresciuto». Il miracolo viene riconosciuto dalla Chiesa il 26 maggio 1965; Elisa si sposa quattro mesi dopo: «I dottori mi dicevano che non avrei potuto avere figli, invece dopo un mese di matrimonio aspettavo il primo; ne ho avuti quattro, tre sono sposati e uno è fidanzato, e sono nonna di tre nipoti».
Elisa, Danila e gli altri: in tutto, si contano solo una decina di miracolati ancora viventi.
C’è chi ritiene un miracolo essere viva, pur se biamputata: l’atleta paralimpica e volontaria Unitalsi Giusy Versace si sente protagonista di un miracolo interiore capace di cambiare la prospettiva con cui vivere la disabilità. «Quando ho avuto l’incidente in cui ho perso le gambe, ero lucida: ho visto quello che stava succedendo. Mi sono appellata alla Madonna come si fa con una mamma, chiedendo di non morire. Comunque le mie preghiere le ha sentite, perché anche se ho due gambe finte – che mi ostino a chiamare gambe, non protesi – comunque sono in piedi», sottolinea. E ricorda: «Mentre ero in ospedale, ho fatto un voto: venire a Lourdes, davanti alla Grotta delle apparizioni, se avessi camminato di nuovo. E ci sono venuta, anche se il passaggio alle gambe finte non è stato immediato e avevo bisogno ancora delle stampelle, della sedia a ruote. Così ho chiesto alla Madonna: “Perché proprio a me?”. E lei mi ha suggerito di girare la domanda: “Perché non a te? Che hai più degli altri”. In quel momento ho capito che anche con due gambe finte potevo fare tante cose. E se ce l’ho fatta io, possono farcela anche gli altri».
Tuttavia, «chi non ha desiderato almeno una volta la grazia di essere guarito?». A formulare la domanda retorica è don Danilo Priori, 43 anni, vice-assistente nazionale dell’Unitalsi, colpito in particolare dalla sofferenza dei bambini e dalla forza dei loro genitori.
«Quando ero più piccolo, guardavo e riguardavo in tv la videocassetta della vita di Gesù e chiedevo alla mamma: “Perché Gesù non fa il miracolo anche a me?”», scrive Stefano Crescini, di Salò (Brescia), nel suo sito Stefylandiasalo.it. Ma questo desiderio di salute può avere a volte degli esiti devianti e patologici, dal punto di vista psicologico: «Su circa 150 racconti che ascolto ogni anno, un quarto arriva all’istruttoria. Arriva nel mio ufficio pure chi grida al miracolo per essere guarito da un eritema alla pelle», riferisce il dottor De Franciscis. Che precisa: «Ci sono molte persone che scompaiono, nonostante io abbia ritenuto la guarigione medicalmente plausibile, verosimile e possibile: non vogliono vogliono sottoporsi all’iter dei controlli medici, o si scoraggiano durante la ricerca dei documenti necessari all’indagine medico-legale, oppure non intendono esporsi alla pressione mediatica. Perché il miracolato vive una condizione d’incomprensione: la gente fa fatica a credere che sia avvenuta una guarigione inspiegabile. Con me condividono la difficoltà di essere creduti. Poi ci sono le persone malate e disabili che accettano la loro condizione e si sentono riconosciute nella loro dignità».
Un miracolo molto prosaico, che dovrebbe essere la regola ovunque, è il fatto della normalità di essere disabili. A Lourdes è ormai completamente sdoganata la convinzione civile che le persone disabili sono proprio come le altre: clienti, turisti, visitatori, fruitori di mezzi pubblici e privati, di luoghi di culto e alberghi. «In questi luoghi si vedono tanta attenzione e rispetto nei confronti delle persone malate e disabili: un comportamento che poi dovrebbe continuare anche nella vita quotidiana», ci tiene a sottolineare Anna, approdata per la terza volta alla Grotta di Massabielle con il marito Massimo e un gruppo di pellegrini partiti da Civita Castellana, in provincia di Viterbo. Un tour in pullman fra santuari perché «la fede è una fiamma che va continuamente alimentata, altrimenti rischia di spegnersi».
Che la cittadina ai piedi dei Pirenei sia accessibile sembra quasi scontato: ogni anno viene visitata da cinque milioni di pellegrini, molti dei quali con disabilità. Così non solo il santuario mariano celebre in tutto il mondo è accessibile, ma anche hotel e negozi, strade e cinema. Luoghi per tutti, insomma. Certo, in molti hanno fiutato il business. Ma camminando e vivendo a Lourdes per qualche giorno, ci si rende conto di come sia possibile (e come ci voglia davvero la collaborazione di ciascuno) rendere ogni città bella, pulita e accessibile a tutti. Gettando un colpo di spugna su pregiudizi e discriminazioni. «Da qualche anno è stato fatto un salto di qualità in questo campo», conferma Massimiliano Fiore, responsabile della comunicazione per l’Unitalsi, che gestisce nella meta principale dei pellegrenaggi associativi cinque strutture ricettive; in alcune vengono garantite anche cure e visite mediche. A Lourdes pure lo stigma del deficit mentale non fa paura. I disabili si sentono a casa, non diversi. E questo miracolo molto umano si può replicare ovunque, senza scomodare comitati medici e gerarchie ecclesiastiche. Tantomeno la sfera soprannaturale e divina.
Sfogliando il dizionario
Nel vocabolario Treccani il termine miracolo – dal latino miracŭlum, «cosa meravigliosa» – indica «qualsiasi fatto che susciti meraviglia, sorpresa, stupore, in quanto superi i limiti delle normali prevedibilità dell’accadere o vada oltre le possibilità dell’azione umana. In particolare, per la teologia cattolica, fatto sensibile straordinario, fuori e al di sopra del consueto ordine della natura, operato da Dio direttamente o per l’intermediazione di una creatura […], in quanto per definizione teologica i miracoli possono essere attribuiti soltanto a Dio».
Guarigioni d.o.c.
Per essere miracolosa, una guarigione deve avvenire secondo modalità straordinarie e imprevedibili, ed essere vissuta in un contesto di fede. Ecco i criteri per valutarla:
- guarigione constatata (dichiarazione volontaria, parere del/dei dottori del paziente, consultazione di documenti amministrativi ed esami medici prima e dopo la guarigione che escludano frode, simulazione o illusione);
- guarigione confermata sul piano medico da specialisti (oltre a una valutazione della personalità del paziente) e psico-spirituale da una commissione diocesana. In caso di approvazione, la persona guarita sarà autorizzata a rendere pubblica la «grazia»;
- guarigione ratificata dal punto di vista medico ed ecclesiale (repentina, improvvisa, istantanea, senza convalescenza, duratura);
- guarigione certificata dai medici;
- guarigione proclamata dal vescovo della diocesi del guarito, con il riconoscimento canonico del miracolo.
Lourdes in cifre
Su circa 7mila casi di guarigioni registrate a Lourdes dal tempo delle apparizioni a oggi, sono 69 i casi riconosciuti miracolosi dalla Chiesa. Il più giovane dei miracolati aveva due anni, mentre nell’80% dei casi sono donne. I Paesi d’origine? Francia (55), Italia (8), Belgio (3) Germania (1) Austria (1), Svizzera (1). Sei affermano di essere guariti per l’intercessione della Madonna di Lourdes, senza aver compiuto un pellegrinaggio nella cittadina dei Pirenei. La maggioranza (50) è guarita a contatto con l’acqua di Lourdes, 40 dopo il bagno nelle piscine.
Cambiamento, mutazione, passaggio. Di mentalità
Cos’è un miracolo? Un cambiamento, una mutazione, il passaggio da una condizione a un’altra. Comunemente si parla di miracoli in relazione a malattie e il mutamento implica il passaggio a una condizione di salute. In caso di malattia cronica, progressiva, incurabile e degenerativa lo spazio per la speranza di un miracolo diventa davvero talmente esiguo che non conviene proprio concentrare la propria breve e preziosissima vita a desiderare di ottenerlo. Un po’ come l’amore, che arriva quando non ti intestardisci a trovarlo, considero un vero miracolo riuscire a non far risultare la malattia la regina incontrastata, dispotica e tirannica della propria vita. Miracolo è non fare della malattia un’ossessione, un pensiero unico e il metronomo che scandisce il ritmo e il tono dell’esistenza. Miracolo è riuscire ad accettare la malattia il prima possibile, aiutando chi ci vuole bene a percorrere quella difficile strada. Miracolo è comprendere che chi non riesce ad accettare la nostra malattia non è un nostro nemico, bensì una persona bisognosa, invece, del nostro aiuto. Miracolo è gestire la propria paura per non rovesciarla sugli altri. Miracolo, infine, è trasformare la malattia in “servizio” rivolto all’esterno. Personalmente, spero davvero in questi miracoli. Alcuni sono avvenuti, per me, altri no. Ma l’importante è crederci, nei miracoli. Sempre. [Fiamma Satta, giornalista e autrice del blog Diversamenteaff-abile.gazzetta.it e della rubrica omonima del martedì su La Gazzetta dello Sport]
Inavvertito e segreto. Come un’ombra alle spalle
Il miracolo per me somiglia al fulmine: una immensa energia che si concentra in un punto ma che ha bisogno per raggiungere il bersaglio di una scintilla pilota che parte dal basso. Ecco, il miracolato è qualcuno che ha sfregato così forte la domanda di salvezza dentro di sé da innescare la scintilla. A quel punto di carica elettrica si scatena il miracolo. Non sono credente, non posso rivolgermi alla divinità. Nei confronti dei miei genitori ho accudito le loro malattie, vivendo con loro fino al termine. Credo che ognuno sia responsabile del dolore che ha intorno, nei suoi stretti paraggi. Se non si è coinvolti per professione o per missione nel dolore del vasto mondo, basta fare anche solo il proprio dovere nei dintorni. Il miracolo avviene di continuo, ma passa inavvertito, segreto come un’ombra alle spalle. Quando succede una disgrazia, penso a quante volte non è successa. Tutti i milioni di immigrati che sono venuti da noi con viaggi da funamboli, da eroi della necessità, sono il risultato di una tempesta di miracoli accorsi per ognuno. E, ai miei occhi, un vero miracolo potrebbe essere riabbracciare i miei scomparsi. Lo faccio in sogno. [Erri De Luca, scrittore]
Gli ex voto?
Uno strumento espressivo per rappresentare un infortunio sul lavoro, per formulare la richiesta di protezione oppure manifestare la gioia per la grazia ricevuta. Lo conferma una ricerca iconografica della Direzione regionale Inail Piemonte, racchiusa nel volume Prevenzione e tutela del lavoratore. Origini, prospettive e sviluppo nella cornice dei dipinti votivi. Le opere analizzate, infatti, sono interessanti dal punto di vista storico e antropologico, non solo religioso: raccontano nei particolari gli incidenti e nel contempo l’evoluzione tecnologica dell’ultimo secolo.
Il matematico Odifreddi sui miracoli
«Ci illudiamo di ottenere un miracolo a Lourdes, benché in centocinquant’anni la Madonna ne abbia ufficialmente concessi solo 65 a 100 milioni di pellegrini. Una media, inferiore a uno su un milione, di gran lunga più bassa della percentuale delle remissioni spontanee dei tumori, che è dell’ordine di uno su 10mila. Senza contare che, come osservava Émile Zola, fra gli ex voto si vedono molte stampelle ma nessuna gamba di legno». Non ha peli sulla lingua Piergiorgio Odifreddi – matematico, logico, saggista e storico della scienza –, in questa citazione tratta dal volume C’era una volta un paradosso. Storie di illusioni e verità rovesciate (Einaudi 2001).
Un fenomeno collettivo. E non è importante che succeda davvero
Il fenomeno del miracolo mi pare particolarmente interessante da un punto di vista storico, poiché costituisce un osservatorio privilegiato per comprendere l’immaginario e le percezioni della disabilità nelle diverse epoche. Da questo punto di vista l’interesse del miracolo sta nel fatto che sia un fenomeno collettivo e non è affatto importante che avvenga davvero. Attorno al miracolo è infatti possibile studiare la portata culturale e sociale delle credenze, della pena che suscitano le infermità al punto di pensare che si possa guarirne attraverso un miracolo, dei luoghi in cui dovrebbero avvenire, dei viaggi che si fanno per raggiungerli, dei riti che li officiano, delle persone che il miracolo stesso mobilita indipendentemente dal fatto che avvenga realmente. E poi, resta tale anche se l’autorità preposta dice che in realtà non è accaduto nulla di davvero miracoloso? Allo stesso modo è interessante studiare i dibattiti che animano la ratifica o meno dell’avvenuto prodigio.
Attorno al miracolo è possibile misurare il sottile confine tra malattia e disabilità che oggi esiste, mentre nei secoli passati le due dimensioni erano spesso accomunate. In ogni caso, continuo a pensare che anche per il presente il miracolo sia un fenomeno collettivo interessante, capace di svelare numerosi meccanismi della percezione culturale e sociale della disabilità. Naturalmente è necessario tarare le questioni. A me sembra interessante cercare di capire le ragioni del permanere della credenza nel miracolo all’interno di società decisamente meno cristianizzate rispetto ai secoli precedenti. Sono certo che sperare e credere in un’avvenuta guarigione nel 2014 abbia significati completamente diversi rispetto a quanto si credeva anche solo 100 anni fa. Sono altrettanto certo che tutto ciò che si è costruito da qualche tempo attorno ai luoghi del miracolo abbia un valore culturale e sociale ugualmente da tenere in considerazione per comprendere il fenomeno attuale. Mi riferisco alle possibilità di viaggio che abbiamo oggi, sconosciute fino a qualche decennio fa. Penso al turismo che circonda i luoghi miracolosi, al proliferare di libri e trasmissioni radiotelevisive attorno ai miracoli, ai film. [Matteo Schianchi, storico]
Spiritualità o conseguenza di un’azione?
Spesso per miracolo intendiamo un avvenimento che ci cambia profondamente la qualità di vita e viene associato alla spiritualità, come se solo da un qualche Dio potessero venire atti e gesti che noi non saremmo mai in grado di produrre. Certamente il miracolo è anche correlato a situazioni spiacevoli e a persone che non hanno vite propriamente abitate dalla buona salute e dalla buona .sorte
Forse – come molti – affronto questi aspetti straordinari quali avvenimenti che cambiano il percorso della vita non roseo. E lo faccio con naturalezza, come se questa concezione fosse innata negli esseri umani. Inconsapevolmente anch’io affido a un Qualcuno, nei momenti peggiori, il mio destino, e lo faccio quando ho finito le possibilità da me gestibili. Se da una parte gestiamo noi il cammino di vita e le nostre azioni, dall’altra non possiamo arrivare a compiere cose che mai avverranno, anche se con la volontà lo desideriamo. Dunque ci viene spontaneo invocare un Dio e il miracolo, pregare e desiderare che avvenga un cambiamento e che tutto – quasi per magia e come nelle favole – possa cambiare grazie a una bacchetta magica. Io ho invocato il miracolo a volte, però non ho notato nessun cambiamento se non quello tangibile prodotto dalle mie o dalle altrui azioni. Ovvio, i miracoli possono accadere e, se mai me ne accadrà uno sarò lieta di poterlo dire. Però siamo sempre su un filo: quello che ci divide tra spiritualità, credenze, speranze e fatti reali. Dipende da noi, da cosa abbiamo vissuto nel nostro passato, dalla qualità di vita che abbiamo e sicuramente dal nostro stato di salute. Credo proprio che questo argomento – così intimo e delicato, a tratti astratto – ci viene facile da affrontare quando siamo in situazioni dolorose e in momenti in cui abbiamo davvero vissuto cose che ci hanno in peggio stregato l’anima e la ragione. Se le nostre fantasie e speranze seguissero il loro corso, avremmo molti miracoli al mondo. Purtroppo gli appigli che la nostra mente realizza non sempre avvengono. E allora rimarrà sempre questo dubbio, questo “non sapere” se il destino può o meno aiutarci, e soprattutto se quel Qualcuno che invochiamo è dalla nostra parte. [Marta Pellizzi, autrice di Quella che ero e quella che sarò, disponibile su amazon.it]
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