Quel treno per Lourdes: il miracolo dei volontari
“Io non ero uno di chiesa, non ero uno di quelli che la domenica vanno a Messa”. Marino Farusi è seduto fra le ultime file, nascosto dalla penombra della sala di CarraraFiere. Nelle sue mani intrecciate, solcate dalle rughe, il bastone di legno trema appena, e sembra quasi scusarsi, accennando un sorriso un po’ imbarazzato, mentre racconta di come la pensasse diversamente, una volta…
di Agnese Pini
“Io non ero uno di chiesa, non ero uno di quelli che la domenica vanno a Messa”. Marino Farusi è seduto fra le ultime file, nascosto dalla penombra della sala di CarraraFiere. Nelle sue mani intrecciate, solcate dalle rughe, il bastone di legno trema appena, e sembra quasi scusarsi, accennando un sorriso un po’ imbarazzato, mentre racconta di come la pensasse diversamente, una volta: “Da giovane facevo il sindacalista, facevo le lotte operaie. Poi sono stato toccato anch’io, come è successo a tanti altri. Basta vedere in faccia la sofferenza, basta fermarsi e saperla ascoltare”.
Marino, oggi, è uno dei miracolati di Lourdes. Da 19 anni va in pellegrinaggio in quel fazzoletto di terra aspra nascosto fra i Pirenei, dove l’11 febbraio di 151 anni fa la Madonna apparve a una pastorella analfabeta che si chiamava Bernadette. “Lavoravo alla Dalmine, a Massa — racconta Marino — una mattina ho accompagnato i miei suoceri alla stazione: andavano a Lourdes con il treno dell’Unitalsi. Quando li ho aiutati a caricare i bagagli, sbagliammo carrozza. Eravamo saliti su quella delle barelle, dei malati gravi. Fra loro c’era anche una ragazza. Non so come si chiamasse, non l’ho mai più rivista. Mi disse di seguirla, di andare a Lourdes. Io rifiutai, ma restai un anno intero con quel peso sullo stomaco, sul cuore. Alla fine decisi di partire, e poi di tornare, sempre, come un richiamo”. In uno dei suoi ultimi pellegrinaggi, Marino ha anche rischiato di morire. Mentre era ancora sul treno, un’improvvisa emorragia interna stava per portarselo via. Nessuno credeva che ce l’avrebbe fatta, ma lui è sopravvissuto: “Grazie alla preghiera, grazie alla fede. Tutto così diventa più semplice, anche la sofferenza”.
A fianco a Marino c’è Giovanna, una signora sorridente, forte. E’ una ‘dama’, una volontaria: da quando aveva 15 anni accompagna i malati con i treni dell’Unitalsi, indossando la sua divisa bianca. Le generazioni si confondono, si sovrappongono: tra i malati, tra gli infermi, ci sono anche i giovani, i giovanissimi. C’è Eleonora Galeotti, che abita a Pietrasanta e ha solo 21 anni, e che a Lourdes ha trascorso un anno per il servizio civile. E c’è la sua sorellina Rebecca, che di anni ne ha solo 7 e va a Lourdes da quando ne aveva due.
Le storie di questi uomini, di queste donne, di questi malati, pellegrini per convinzione, talvolta, invece, per caso, sono rese simili da un momento comune: una sorta di rivelazione, un gesto, uno sguardo, una lacrima. Tanto basta per cambiare la propria vita. 2Chi spera nel sensazionalismo della guarigione, non lo troverà fra i pellegrini di Bernadette, costretti su una carozzina, o su una barella — spiega Eleonora, con il sorriso aperto dei suoi 21 anni —. Chi vuole cercare nei volti di quei malati, nei loro occhi umidi, il miracolo di Lourdes, lo troverà nella loro capacità di non spendere una lacrima, di non cacciare un lamento di fronte alla sofferenza”. Lo troverà, il miracolo, nella loro forza, nel loro sorriso, anche, che affiora malgrado mali così atroci da far arrivare molti a desiderare la morte. Loro, i miracolati di Lourdes, vogliono vivere.
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