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Viaggio di fede e speranza

Laura Birra

Sono partiti in trecento. Un vero e proprio esercito. La destinazione, però, non è un paese in guerra, ma Lourdes, luogo di pace e solidarietà per eccellenza. Un viaggio della speranza, della fede e della solidarietà: senza i confini delle generazioni, uniti soltanto dall’attenzione al prossimo.

Centoventi pellegrini sono decollati questa mattina dall’aeroporto Giuseppe Verdi, ma gli altri sono partiti ieri, in treno, affrontando un viaggio di 20 ore. Circa una cinquantina gli ammalati, molti in carrozzina, tutti accompagnati dai volontari dell’Unitalsi.

Qualcuno giovanissimo, come Federico Mazzieri, appena diciottenne, che ha risparmiato qualche soldo per affrontare un viaggio religioso, anziché fare la vacanza con gli amici: «Non c’è un perché si sceglie di partire come barelliere – dice -. E’ una cosa che senti dentro. E che dà tanto a te stesso, prima che agli altri».

Qualcun altro ha messo a disposizione la sua professionalità, per rendersi utile. E’ il caso di Nicoletta Ricci, fisioterapista del Don Gnocchi, che aspetta pazientemente con gli altri il treno dei pellegrini: «E’ la terza volta che vado a Lourdes – dice, sorridendo -. Quando ci vai la prima volta, non puoi non tornarci. E’ un’esperienza unica, ma per capirla fino in fondo bisogna viverla».

Tra i fedeli in partenza c’è chi va a Lourdes per la decima volta e chi è alla prima esperienza, come Guido Saccani, che nella vita di tutti i giorni – o per meglio dire di tutte le notti – fa il conducente d’autobus per la Tep, e che per il viaggio si è offerto di fare il servizio notturno, essendo abituato a star sveglio la notte, fornendo assistenza agli ammalati e vigilando per la sicurezza di tutti. C’è il dolore, c’è la sofferenza della malattia. Eppure il clima che si respira tra l’esercito dei pellegrini è di gioia. Nessuno si lamenta, tutti aspettano pazientemente il treno che ha accumulato un’ora e mezzo di ritardo: «Non puoi non essere felice quando vai a Lourdes – dice Nicolò Villa, 26 anni -. Il momento più bello? Quello della celebrazione della messa in tutte le lingue. Ci sono gruppi che provengono da ogni parte del mondo, ma siamo tutti insieme, uniti nella fede. Come un’unica grande famiglia».

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